Cass. civ., SS.UU., sentenza 03/05/2019, n. 11747

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In tema di responsabilità civile dello Stato per danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, la presenza di una motivazione non è condizione sufficiente per escludere l'ammissibilità di un'azione risarcitoria per grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile, ma è di certo ausilio alla comprensibilità della decisione e quindi, di regola, è un elemento per escludere, alla luce del testo originario della l. n. 117 del 1988, la stessa sindacabilità della scelta decisionale, in quanto consapevole frutto del processo interpretativo; per contro, non tutti i casi di mancanza della motivazione, ancorché la pronunzia si ponga in contrasto con l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, sono fonte di responsabilità, purché la scelta interpretativa sia ugualmente riconoscibile.

In tema di responsabilità civile dello Stato per danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, la decisione del giudice difforme da precedenti orientamenti della giurisprudenza non integra grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile, fonte di responsabilità ai sensi dell'art. 2, comma 3, lett. a), della l. n. 117 del 1988 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 18 del 2015), atteso che il precedente giurisprudenziale, pur se proveniente dalla Corte di legittimità e finanche dalle Sezioni Unite, e quindi anche se è diretta espressione di nomofilachia, non rientra tra le fonti del diritto e, pertanto, non è di norma vincolante per il giudice; tuttavia, in un sistema che valorizza l'affidabilità e la prevedibilità delle decisioni, l'adozione di una soluzione difforme dai precedenti non può essere né gratuita, né immotivata, né immeditata, ma deve essere frutto di una scelta interpretativa consapevole e riconoscibile come tale, ossia comprensibile, ciò che avviene più facilmente se sia esplicitata a mezzo della motivazione.

In tema di azione contro lo Stato per il risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, la grave violazione di legge, fonte di responsabilità ai sensi dell'art. 2, comma 3, lett. a), della l. n. 117 del 1988, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 18 del 2015, va individuata nelle ipotesi in cui la decisione appaia non essere frutto di un consapevole processo interpretativo, ma contenga affermazioni ad esso non riconducibili perché sconfinanti nel provvedimento abnorme o nel diritto libero, e pertanto caratterizzate da una negligenza inesplicabile, prima ancora che inescusabile, restando pertanto sottratta alla operatività della clausola di salvaguardia di cui all'art. 2, comma 2, della legge citata, ipotesi che può verificarsi in vari momenti dell'attività prodromica alla decisione, in cui la violazione non si sostanzia negli esiti del processo interpretativo, ma ne rimane concettualmente e logicamente distinta, ossia quando l'errore del giudice cada sulla individuazione, ovvero sulla applicazione o, infine, sul significato della disposizione, intesa quest'ultima come fatto, come elaborato linguistico preso in considerazione dal giudice che non ne comprende la portata semantica.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 03/05/2019, n. 11747
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11747
Data del deposito : 3 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

1 1747-19 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Oggetto Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: RESPONSABILITA' GIOVANNI MAMMONE Primo Presidente - CIVILE MAGISTRATI AURELIO CAPPABIANCA - Presidente Sezione - Ud. 15/01/2019 - PU FELICE MANNA - Presidente Sezione - R.G.N. 19409/2017 ENRICA D'ANTONIO - Consigliere - Can Malt Rep. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO - Consigliere - eu ALBERTO GIUSTI - Consigliere - - Rel. Consigliere - L RINO - Consigliere - ANTONIO PIETRO LAMORGESE - Consigliere -ANGELINA M P - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 19409-2017 proposto da: S A, nella qualità di erede di S F, S Giuseppe e M L, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato L A;
-

- ricorrente -

contro

Ma ZR. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato;
- resistente avverso il decreto n. 218/2017 della CORTE D'APPELLO di PERUGIA, depositata il 07/06/2017. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/01/2019 dal Consigliere L RINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale FEDERICO SORRENTINO, che ha concluso per l'inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati Letterio Arena e Lucrezia Fiandaca per l'Avvocatura Generale dello Stato.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Messina, con sentenza in data 25.2.2002, accertato 1.- l'illecito commesso dal Comune di Giardini Naxos per occupazione illegittima ab origine, cui aveva fatto seguito la c.d. espropriazione acquisitiva, per intervenuta realizzazione di un'opera pubblica sul terreno di proprietà di Giuseppe e Francesco S, danti causa di Alessandro S, aveva liquidato i danni sulla base del valore venale del bene, in euro 273.076,58 "oltre alla rivalutazione monetaria dalla disposta CTU (16.7.1991) ed agli interessi in misura legale sulla somma liquidata prima devalutata poi via via rivalutata dal momento della definitiva trasformazione del fondo (luglio 1986) fino al soddisfo".

2. La Corte d'Appello di Messina, con sentenza in data 28.10.2004, pur confermando l'esistenza di una occupazione illegittima, e l'avvenuta, irreversibile trasformazione del suolo occupato, accoglieva l'appello del Comune, affermando, in particolare, che il giudice di primo grado avesse indebitamente sostituito alla domanda effettivamente proposta, di risarcimento danni per occupazione espropriativa, o acquisitiva, la diversa domanda di risarcimento per occupazione usurpativa, pronunciando in tal modo oltre i limiti del petitum. Ric. 2017 n. 19409 sez. SU ud. 15-01-2019 -2- - C.R. Riteneva quindi che il danno subito dagli S dovesse essere liquidato secondo le regole applicabili alla "occupazione espropriativa", ovvero non in misura pari al valore venale del bene la cui proprietà si era acquisita alla pubblica amministrazione, bensì nel minor importo derivante dall'applicazione dei criteri di liquidazione previsti per tali occupazioni (o occupazioni appropriative) dall'art. 3, comma 65, della legge n. 662/1996 che aveva aggiunto il comma 7 bis all'art. 5 bis del DL 11.7.1992 n. 333 conv. in legge 8.8.1992 n. 359, ferme le statuizioni su rivalutazione e interessi perché non impugnate.

3. La Corte di cassazione, adita dallo S sul rilievo che la fattispecie avrebbe dovuto inquadrarsi nell'illecito da occupazione usurpativa, con conseguente liquidazione del danno nella misura corrispondente al valore venale del fondo, con sentenza n. 21881 del 21 ottobre 2011 cassava la decisione impugnata e, decidendo nel merito, provvedeva ad una nuova liquidazione del danno in misura pari al valore venale del fondo individuando l'importo dovuto nel medesimo importo di euro 273.076,58 determinato nel 1991 dal c.t.u. del giudizio di primo grado che aveva attualizzato la somma a quella data. Attribuiva poi gli interessi legali a far data dalla domanda.

3.1. La sentenza rilevava che nelle more del giudizio la Corte - costituzionale aveva, con sentenza n. 349/2007 dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 5 bis, comma 7 bis, del d.l. n. 333 del 1992 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992, nel testo introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 66/1996 (dichiarazione di incostituzionalità per violazione dell'art. 117, primo comma Cost., in quanto la norma non prevedeva un ristoro integrale del danno subito per effetto dell'occupazione espropriativa da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato), ovvero della norma di legge applicata dalla Corte d'appello ai fini della quantificazione del dovuto risarcimento. -La Corte di legittimità, trattandosi di causa pendente alla data 1 3.2. gennaio 1997 e comunque relativa ad occupazione "sine titulo" anteriore al 30.9.1996, riteneva applicabile l'art. 55, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 -nel testo introdotto Ric. 2017 n. 19409 sez. SU - ud. 15-01-2019 -3- CR. dall'art. 2, comma 89, lett. e) della legge 24 dicembre 2007, n. 244 -, secondo cui "Nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilita', in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno e' liquidato in misura pari al valore venale del bene". Ciò detto, liquidava il danno da occupazione illegittima, nell'importo di euro 273.076,58, pari all'esatto importo liquidato dal tribunale, sulla base dei calcoli eseguiti dal c.t.u., in primo grado, secondo i prezzi di mercato immobiliare vigenti nel 1991, senza ulteriore rivalutazione ed attribuendo sulla somma così liquidata gli interessi legali decorrenti dalla domanda introduttiva. 4. - Lo S proponeva ricorso per revocazione, per errore di fatto, avverso la predetta sentenza, lamentando che, dovendosi inquadrare la fattispecie nell'ambito della occupazione usurpativa, non gli fossero stati riconosciuti rivalutazione monetaria ed interessi decorrenti dalla data dell'illecito. -4.1. Il ricorso veniva dichiarato inammissibile con ordinanza di questa Corte in data 2.5.2013 n. 10293, in quanto ritenuto vertere su errore di diritto e non di fatto. Il giudice della revocazione precisava che: "Né si può addurre, in senso contrario, il rilievo che la rivalutazione fosse già stata riconosciuta nel giudizio di merito, senza poi essere contestata dal debitore con specifica impugnazione. L'annullamento della sentenza in punto quantum debeatur rimetteva, infatti, in discussione l'intero risarcimento liquidato;
incluse le voci accessorie (interessi e rivalutazione monetaria): con l'unico limite del divieto di una reformatio in peius. Trattandosi infatti di pregiudizio economico derivato da ritardo nell'adempimento, esso non sopravviveva alla cassazione, con riforma, della sorte-capitale liquidata, necessitando di una nuova pronunzia ex novo”. Pertanto, il riconoscimento dei soli interessi legali sulla somma riliquidata ex art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., pressocchè doppia rispetto a quella originariamente determinata dalla corte territoriale si sottrae alla censura di errore di fatto, soggetto a revocazione".

5. Esauriti i rimedi di impugnazione del provvedimento predisposti dall'ordinamento, Alessandro S, ai sensi della legge n. 117 del 1988, Ric. 2017 n. 19409 sez. SU - ud. 15-01-2019 -4- C.R. proponeva ricorso facendo valere la responsabilità dello Stato per colpa grave imputabile ai magistrati giudicanti, deducendo che essi fossero incorsi in grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile.

5.1. Il ricorso veniva dichiarato inammissibile ex art. 5 della legge n. 117/1988 con decreto del Tribunale di Perugia in data 7.12.2016, confermato, in sede di reclamo, dalla Corte d'appello di Perugia, con decreto in data 7.6.2017. -6. La Corte d'appello di Perugia con il decreto qui impugnato ha dichiarato la inammissibilità del ricorso in quanto rivolto a contestare una attività di interpretazione normativa.

6.1. A sostegno della decisione il Giudice di appello assume che: a) nella ordinanza della Corte di cassazione del 2.5.2013 n. 10293 dichiarativa della inammissibilità del ricorso per revocazione ex art. 391 bis determinazione dell'intero danno c.p.c.- si evidenziava come la patrimoniale, estesa anche agli accessori della rivalutazione e degli interessi, era questione da ritenersi devoluta alla cognizione della Corte di legittimità, che nella specie aveva pronunciato nel merito ex art. 384 co 2 c.p.c., essendo stata impugnata la sentenza di appello in punto di "quantum debeatur";
b) la determinazione della decorrenza degli interessi e la loro qualificazione giuridica atteneva ad "attività di natura squisitamente interpretativa" di norme di diritto, come tale sottratta al sindacato di responsabilità, operando la clausola di salvaguardia di cui all'art. 2, comma 2, della legge n. 117/1988 nel testo originario, applicabile ratione temporis, non essendo consentito ridiscutere la correttezza o meno della interpretazione adottata nel provvedimento posto a base della domanda respinta;
c) nulla sembrava impedire allo S di ottenere in separato giudizio una liquidazione della rivalutazione o di entrambi gli accessori "se la precedente statuizione si ritiene possa comportare una diversa valutazione rispetto alla pronuncia precedente che aveva stabilito la liquidazione degli interessi a far data dalla domanda";
Ric. 2017 n. 19409 sez. SU ud. 15-01-2019 -5- 2.12. d) in ogni caso non sarebbe dato ravvisare la "colpa grave" in una valutazione contrastante con pronunce di legittimità di diverso tenore, emesse nella stessa materia. 7. - Alessandro S ha proposto ricorso per cassazione, articolato in un unico, complesso motivo.

8. La Presidenza del Consiglio dei Ministri alla quale il ricorso è stato ritualmente notificato in

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