Cass. pen., sez. II, sentenza 25/09/2020, n. 26807

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 25/09/2020, n. 26807
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 26807
Data del deposito : 25 settembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: DE ROSA GIUSEPPE nato a NAPOLI il 23/11/1989 avverso l'ordinanza del 21/01/2020 del TRIB. LIBERTA' di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE COSCIONI;
sentite le conclusioni del PG V S, il quale ha chiesto l'annullamento con rinvio con riferimento al secondo motivo di ricorso ed il rigetto del ricorso nel resto;
Udito l'Avv. L P, il quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso con annullamento dell'ordinanza impugnata;
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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 21 gennaio 2020 il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame respingeva il ricorso avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano del 16 dicembre 2019, che aveva disposto il sequestro preventivo a carico di D R G, indagato per i reati di cui agli artt.110 cod.pen. e 648 bis, cod.pen., 166 comma 1 lett. c) D.Igs. 58/98 e 493 ter cod.pen. della somma di C 206.442,32 e degli ulteriori beni (carte che abilitano al prelievo di denaro, dispositivi elettronici, telefonini) già oggetto di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero 1'8 novembre 2019. 1.1 Avverso l'ordinanza ricorre per Cassazione il difensore di D R, eccependo la violazione degli art. 325 cod.proc.pen. e 648 bis cod.pen., 125 comma 3 cod.proc.pen. -e in relazione al combinato disposto dell'art. 324 comma 7 e 309 cod.proc.pen.: il Tribunale aveva infatti completamento omesso di motivare sui motivi nuovi depositati dalla difesa, che attenevano all'elemento soggettivo del reato e che così si riassumevano: gli accrediti sui conti correnti riconducibili agli indagati (presso l'istituto di credito N26 e presso Widiba) erano relativi a vendite di criptovalute eseguite sul sito localbitcoin.com , sito non riconducibile agli indagati;
le transazioni per l'acquisto dei bitcoin avvenivano in modo assolutamente spersonalizzato, senza nessun contatto tra venditore e acquirente, per cui il venditore non poteva avere alcuna consapevolezza circa la provenienza della provvista utilizzata dal compratore per l'acquisto di criptovalute;
gli indagati non potevano quindi avere nessuna certezza rilevante ai sensi dell'art 648 bis cod.pen. della provenienza illecita del denaro usato da D R A e da Gianluca Morello Salet (o da chi aveva utilizzato le generalità di questi ultimi) per l'acquisto di bitcoin (come, del reato, alcuna prova, vi era del loto concorso nei presunti delitti di truffa presupposti);
nessuna rilevanza aveva la tempistica di apertura dei conti correnti, visto che mancava l'elemento soggettivo del reato e non si poteva ricorrere alla figura del dolo eventuale, posto che non vi era alcun indice sintomatico che potesse far maturare il sospetto che le somme oggetto delle transazioni fossero di provenienza illecita;
neppure il dolo eventuale poteva desumersi da una omissione degli obblighi di identificazione imposti dalla normativa anticiriclaggio, essendo tali obblighi imputabili solo alla localbitcoin.com . Su tali punti, osserva il difensore, il Tribunale si era limitato ad evidenziare le vicende relative alle transazioni sul sito localbitcoin.com , per poi affermare che tali vicende, qualificate come truffaldine, sarebbero state "tutte convergenti ai conti correnti riconducibili agli odierni indagati", convergenza che non era stata posta in discussione, visto che le contestazioni avevano riguardato l'elemento soggettivo del reato.

1.2 Con un secondo motivo, il difensore lamenta la violazione degli artt. 240 bis cod.pen. e 125 comma 2 cod.proc.pen.e del combinato disposto dell'art. 324 comma 7 e 309 comma 9 cod.proc.pen.: il giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro della somma di C 206.442,32 ritenendo che fosse fortemente sproporzionata rispetto al reddito dichiarato e alla attività economica svolta, mentre con il ricorso per riesame si era dimostrato che tale sproporzione non sussisteva;
il Tribunale aveva però operato un sintetico e non puntuale riferimento alla questione, del tutto obliterata nelle motivazioni rese, che non solo non si erano peritate di vagliare argomenti e deduzioni difensive, ma avevano posto la quaestio iuris della sproporzione del tutto al di fuori di qualsiasi orizzonte valutativo.

1.3 II difensore eccepisce poi la violazione dell'art. 1 comma 2 e dell'art. 166 comma 1 lett. C) D. Igs. 58/98 (TUF), dell'art. 125 comma 3 cod.proc.pen., dell'art. 321 cod.proc.pen. e del combinato disposto degli artt. 324 comma 7 e 309 comma 9 cod.proc.pen.: l'attività di cambiavalute virtuale era stata definita dal D.Lgs. 90/17, delineando per i cambiavalute uno statb proprio e sottraendoli quindi al perimetro applicativo della normativa in materia di strumenti finanziari in quanto le valute virtuali non erano considerati prodotti da investimento, ma mezzi di pagamento (l'art. 1 comma 2 TUE prevede che "gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari");
tale scelta era perfettamente coerente con l'ordinamento comunitario e, in particolare, con l'orientamento espresso dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza pregiudiziale del 22 ottobre 2016 avente ad oggetto proprio le operazioni di cambio della valuta virtuale bitcoin contro valuta tradizionale, nella quale era stato chiarito che i bitcoin non avevano altre finalità oltre a quella di mez7o di pagamento;
a fronte di tali dati era un fuor d'opera quanto affermato dal Tribunale, secondo cui i bitcoin costituiscono uno strumento finanziario, anche se lo stesso Tribunale sembrava perfettamente consapevole della assoluta incongruità della valutazione giuridica offerta, laddove compiva un generico ed impreciso riferimento ad "atti comunitari e provvedimenti Consob" e sovvertiva la gerarchia delle fonti del nostro ordinamento, ritenendo una decisione della Corte di Giustizia UE ed un decreto legislativo minusvalenti rispetto ad un parere della Banca Centrale Europea o ad un parere della Consob o ancora ad una direttiva comunitaria priva di effetto per i cittadini perché non ancora recepita dall'ordinamento interno. Il difensore aggiunge che il Tribunale aveva richiamato l'attività che gli indagati avrebbero svolto tramite il sito bitcoingo.it che, come risultava già dalla provvisoria contestazione mossa al capo A) della rubrica, non era formalmente C '',.t\ vvv,, riferibile al ricorrente D R G, ma a D R Antonio per cui, se il Tribunale avesse voluto ipotizzare una responsabilità del ricorrente, avrebbe dovuto dimostrare che tale ditta individuale era in realtà simulata, e cioè volta a celare una società di fatto tra il ricorrente e l'intestatario, prospettiva estranea all'orizzonte valutativo del Tribunale e in contrasto con le allegazioni difensive (D R operava non con il sito bicoingo.it, ma con quello localbitcoin.com ). Il difensore eccepisce poi l'erronea determinazione del profitto sequestrabile: avendo il giudice per le indagini preliminari disposto il sequestro finalizzato alla confisca per sproporzione, sarebbe stato necessario individuare il profitto del delitto ex art. 166 TUF asseritamente connesso alla attività della Bitcoingo, profitto che avrebbe potuto rintracciarsi esclusivamente tramite una effettiva ricostruzione dei flussi finanziari riferibili alla ditta indicata, non potendo identificarsi la somma sequestrabile con il profitto della Bitcoingo;
volendo poi individuare il profitto sequestrabile, avrebbe dovuto calcolarsi il saldo positivo tra i valori relativi all'acquisto di bitcoin e quelli relativi alla vendita della criptovaluta, al netto delle tasse;
il Tribunale aveva rigettato tale sottolineatura - fatta per tuziorismo, visto che nessun profitto della Bitcoingo risultava dimostrato- con motivazione apparente mediante richiamo alla sentenza di questa Corte n.37120/19, che aveva per oggetto il delitto di riciclaggio ove, per l'individuazione del profitto, non sono necessari conteggi particolari, dovendosi avere esclusivamente riferimento alle somme oggetto del reato, meccanismo di computo non estendibile ad altre figure di reato, di modo che non pareva dubbio che il reato di abusivismo finanziario avesse un profitto immediatamente identificabile nell'eventuale saldo attivo tra il prezzo di acquisto dei prodotti e quello di collocamento, da computarsi al netto delle imposte pagate sulle transazioni finanziarie.
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