Cass. civ., sez. I, sentenza 28/04/2010, n. 10221

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Nel procedimento di cui all'art. 814 cod. proc. civ. non può essere accertato il diritto degli arbitri al compenso per l'avvenuta pronuncia di un lodo avente i requisiti di cui all'art. 823 cod. proc. civ., né può procedersi all'accertamento incidentale delle cause di nullità o di inesistenza presenti nella decisione, le quali devono essere invece oggetto del giudizio di impugnazione del lodo previsto dalla legge; qualora, poi, tale giudizio si concluda con l'accertamento definitivo che un lodo con tali caratteri è mancato e con la declaratoria della sua inesistenza giuridica, ne rimane automaticamente travolto e caducato il provvedimento determinativo del "quantum" del compenso arbitrale emesso dal presidente del tribunale, con effetto "de iure", come conseguenza obiettiva e necessaria del rapporto di dipendenza con il titolo in forza del quale la liquidazione è avvenuta, restando di converso irrilevante la mancata impugnazione del provvedimento presidenziale.

Il principio secondo cui il diritto dell'arbitro al compenso sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico e non viene meno allorquando il lodo sia stato caducato dal giudice perché affetto da uno dei vizi di cui all'art. 829 cod. proc. civ., trova un limite nell'avvenuta effettiva pronuncia di un lodo avente i requisiti minimi previsti dall'art. 823 cod. proc. civ.: esso resta inapplicabile, pertanto, in tutte le ipotesi in cui un provvedimento di tal natura sia mancato del tutto, come avviene ove emesso a seguito di arbitrato irrituale o di arbitraggio o di perizia contrattuale, ovvero in ogni altra fattispecie in cui le parti abbiano predisposto speciali tipologie di conciliazione o di procedimenti preliminari finalizzati alla ricerca di una soluzione extragiudiziale della controversia, dato che, in ciascuno di questi casi, la decisione, di natura negoziale, che li conclude è sfornita dell'elemento che caratterizza l'arbitrato rituale, ossia l'attitudine a divenire "sentenza" a seguito del deposito del lodo, ed il compenso dovuto agli arbitri irrituali non si connota come spesa, ma come debito "ex mandato", per l'adempimento del quale è attivabile un ordinario giudizio di cognizione.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 28/04/2010, n. 10221
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10221
Data del deposito : 28 aprile 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V U - Presidente -
Dott. S S - rel. Consigliere -
Dott. P C - Consigliere -
Dott. D P S - Consigliere -
Dott. N A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 20285-2005 proposto da:
CARDONE FRANCESCO (c.f. CRDFNC43T18I062S), ZERRILLO ANTONIO G. (c.f. ZRRNNG51S08H898E), PERUGINI EMILIO (c.f.
PRGMLE66E06A783C), elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE GIUSEPPE MAZZINI

145, presso l'avvocato L R, rappresentati e difesi dall'avvocato DE C P, giusta procura a margine del ricorso;



- ricorrenti -


contro
COMUNE DI MORCONE;

- intimato-
avverso la sentenza n. 1939/2004 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/02/2010 dal Consigliere Dott. S S;

udito, per i ricorrenti, l'Avvocato C F, per delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R R Giovanni che ha concluso per l'accoglimento del ricorso, rigetto nel merito dell'opposizione del Comune e condanna alle spese di tutti i gradi del giudizio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Benevento,con sentenza del 1 febbraio 2002 accoglieva l'opposizione del comune di Morcone contro l'atto di precetto notificato in data 15 maggio 1998 con cui gli era stato ingiunto il pagamento della somma di L. 332.859.624,oltre interessi ed IVA in favore di Francesco Cardone, Antonio Berillo ed Perugini Emilio, componenti del Collegio arbitrale che avevano emesso un lodo in data 27 dicembre 1996 e successivamente ottenuto il provvedimento di liquidazione ex art. 814 cod. proc. civ.. Ciò perché il lodo era stato annullato dalla Corte di appello e la Corte di Cassazione con sentenza 1191/2001 aveva ritenuto l'insussistenza giuridica dell'arbitrato, perciò caducando il titolo posto a base dell'esecuzione.
L'impugnazione di costoro è stata respinta dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 10 giugno 2004,la quale ha osservato: a) l'ordinanza ex art. 814 cod. proc. civ. presuppone necessariamente l'esistenza di un lodo emesso a seguito di arbitrato rituale, laddove nel caso la pronuncia della Suprema Corte l'aveva escluso in radice (e non semplicemente annullato), caducando lo stesso titolo in base al quale il Cardone e consorti avevano intimato il precetto;
b)a differenza dell'annullamento la giuridica inesistenza di un atto,come era avvenuto nel caso in cui la Cassazione aveva dichiarato che si era in presenza di un mero tentativo di conciliazione, dà origine ad un'anomalia genetica così radicale da rendere inidonea l'ordinanza ex art. 814 cod. proc. civ. a passare in giudicato e da consentire di farne valere il relativo vizio anche al di fuori dell'impugnazione nello stesso processo.
Per la cassazione della sentenza Francesco Cardone ed i consorti hanno proposto ricorso per due motivi,illustrati da memoria. Il comune di Morcone non ha spiegato difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo,i ricorrenti, deducendo violazione dell'art. 814 cod. proc. civ. censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che
l'esecuzione era stata intrapresa in forza del lodo ritenuto inesistente dalla Corte di Cassazione,mentre invece il titolo era costituito dall'ordinanza di liquidazione emessa dal Presidente del Tribunale ai sensi dell'art. 814 cod. proc. civ. che il comune non aveva impugnato e che quindi era passata in giudicato. Con il secondo,denunciando altra violazione della norma, ribadiscono che per far valere l'illegittimità del provvedimento in questione era necessario impugnarlo ed evitarne il passaggio in giudicato;assumono che la giurisprudenza citata dalla Corte di appello in relazione alla nullità dell'ordinanza di liquidazione si riferisce esclusivamente alle ipotesi in cui la stessa manchi dei suoi elementi costitutivi ;

ed infine che Cass. 1191/2001 aveva inteso statuire soltanto la inidoneità della pronuncia degli arbitri a vincolare le parti del giudizio conciliativo, ma ha conservato efficacia alla clausola compromissoria in base alla quale dunque gli arbitri avevano l'obbligo di pronunciarsi: perciò non influendo sulla validità ed efficacia esecutiva del titolo successivamente formatosi in forza del lodo. Entrambi i motivi sono infondati.
È noto che per il disposto dell'art. 474 cod. proc. civ. il procedimento di esecuzione forzata può essere intrapreso soltanto in presenza di un titolo esecutivo, la cui giuridica esistenza costituisce condizione di detta azione;e che allorquando venga notificato sulla base di esso un atto di precetto, come nel caso è avvenuto nei confronti del comune di Morcone,contro di esso il debitore può proporre anzitutto opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c., comma 1 adducendo l'inesistenza (materiale o giuridica) del titolo esecutivo (Cass. 696/2001;
13021/1992
). È poi ius receptum che in sede di opposizione a precetto la pretesa esecutiva fatta valere dal creditore può essere neutralizzata soltanto con la deduzione di fatti, estintivi o modificativi del rapporto sostanziale consacrato dal provvedimento con cui si è formato il titolo, verificatisi successivamente alla formazione di quest'ultimo, e non anche sulla base di quei fatti che, verificatisi in epoca precedente, avrebbero potuto essere dedotti nel processo di cognizione preordinato alla costituzione del titolo esecutivo;ovvero facendo valere fatti e vizi nella formazione del titolo che ne determinino la giuridica inesistenza (Cass. 8331/2001;
12664/2000
). Ora la sentenza impugnata ha accertato che proprio quest'ultima fattispecie ricorre nel caso concreto in quanto tra detta amministrazione e la s.p.a. Janton era insorta una controversia sulla vendita di alcuni suoli individuati in un contratto stipulato il 9 luglio 1991, contenente una clausola in base alla quale "Per tutte le controversie resta incaricata una commissione di arbitrato, che dovrà essere composta dal presidente del tribunale competente per territorio o un suo delegato, da un tecnico del Comune e da un tecnico di parte;
resta convenuto che per adire la magistratura ordinaria dovrà essere comunque esperito il tentativo dell'arbitrato".
Ha riferito la Corte di appello che le parti avevano fatto ricorso alla suddetta "commissione di arbitrato", ne avevano poi impugnato la decisione;
e che il giudizio si era concluso con sentenza 1191 del 2001 di questa Corte, la quale ha escluso che detta clausola predisponesse un vero e proprio arbitrato,fosse esso rituale o irrituale,ed affermato che con la relativa previsione le parti non avevano inteso affatto rinunciare alla tutela giurisdizionale,ma avevano introdotto una specie di tentativo di conciliazione, sulla base della proposta formulata dalla Commissione, prima di potersi rivolgere al giudice secondo le regole ordinarie. Con la conseguenza che la proposta in questione in nessun caso poteva costituire un lodo quale configurato dall'art. 820 e segg. cod. proc. civ., ne' venire ad esso equiparato: e quindi rientrare fra "i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente" la medesima efficacia delle sentenze, ed l'art. 474 cod. proc. civ., comma 2 qualifica "titoli esecutivi".
Questo risultato non può essere paralizzato dalla circostanza prospettata dai ricorrenti che essi non erano parti nel giudizio di impugnazione in questione, la cui sentenza quindi non può costituire giudicato nei loro confronti;
ne' essere escluso per il fatto che il titolo da essi azionato non era più il lodo, bensì il provvedimento di liquidazione in data 27 dicembre 1996 del Presidente del Tribunale, da essi adito ex art. 814 cod. proc. civ. per la liquidazione dei loro compensi, e dal comune non impugnato, si da essere passato in giudicato.
La prima di queste argomentazioni non tiene conto, infatti, che nella specie il lodo non opera come decisione della lite che lo stesso ha definito, e perciò in relazione al contenuto, all'interpretazione ed agli effetti nei confronti delle parti, o dei terzi;
ma solo ed esclusivamente quale titolo esecutivo, che necessariamente si è formato fuori dal processo esecutivo e, pur con le sue peculiarità, è assimilabile, per la natura e la funzione che esplica nel processo esecutivo, agli altri titoli esecutivi, indicati;
per cui venendo in considerazione come uno dei titoli in virtù dei quali l'esecuzione forzata può aver luogo, il creditore è tenuto a dimostrarne ancor prima della validità ed efficacia, la giuridica esistenza. La quale non dipende soltanto dai requisiti di forma indicati dall'art. 823 cod. civ., ma anche dalla natura, dagli effetti e dalla funzione che
gli vengono attribuiti nel procedimento in cui è inserito e che sono soltanto quelli indicati dalla decisione definitiva - non impugnabile o non impugnata - che li accerta.
Vero è che la giurisprudenza ha enunciato il principio che il diritto dell'arbitro di ricevere il pagamento dell'onorario sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico e che non viene meno allorquando il lodo sia stato impugnato con il giudizio di cui all'art. 828 cod. proc. civ. e successivamente caducato dal giudice dell'impugnazione perché risultato affetto da uno dei vizi di cui all'art. 829 cod. proc. civ.: salva restando l'ammissibilità dell'azione risarcitoria nei suoi confronti, esperibile nella diversa sede competente, allorquando il lodo sia annullato per causa a lui imputabile (Cass. 17 settembre 2002 n. 13607;
17 ottobre 1996 n. 9074
). Ma siffatto principio trova un limite nella avvenuta effettiva pronuncia di un lodo avente i requisiti minimi previsti dal menzionato art. 823 cod. proc. civ., per cui non è applicabile in tutte le ipotesi in cui un provvedimento di tal natura sia mancato del tutto come avviene allorquando sia stato emesso a seguito di arbitrato irrituale o di arbitraggio o di perizia contrattuale (Cass. 4347/1997);
ovvero in ogni altra fattispecie in cui le parti abbiano
predisposto speciali tipologie di conciliazione o di procedimenti preliminari finalizzati alla ricerca di una soluzione extragiudiziale della controversia. In quanto in ciascuno di questi casi la decisione comunque di natura negoziale che li conclude è sfornita dell'elemento che caratterizza l'arbitrato rituale, ossia l'attitudine a divenire "sentenza" a seguito del deposito del lodo e posto che il compenso dovuto agli arbitri irrituali non si connota come spesa ma come debito "ex mandato", per l'adempimento del quale è attivabile un ordinario giudizio di cognizione.
Nè tale natura può esserle conferita dal procedimento ex art. 814 cod. proc. civ. e dall'ordinanza del Presidente del Tribunale che lo
definisce, e che secondo la prospettazione dei ricorrenti si sovrappone ad essa operando in piena indipendenza dalla sua fonte genetica;
ed acquistando autonoma valenza di titolo esecutivo, in quanto le Sezioni Unite di questa Corte (sent. 15586/2009) hanno osservato al riguardo: a) che un'interpretazione non solo letterale,ma anche sistematica della normativa regolatrice del procedimento ex art. 814 cod. proc. civ. evidenzia che lo stesso risulta inteso all'accertamento non del diritto soggettivo al rimborso delle spese ed alla percezione degli onorari, bensì alla sola determinazione quantitativa da parte del Presidente del Tribunale dell'entità economica delle pretese (il quantum del loro eventuale diritto) fatte valere dagli arbitri che il procedimento abbiano introdotto;
b)che l'attività di tale organo risulta dunque di natura non giurisdizionale contenziosa, bensì di natura essenzialmente privatistica, svolta nell'ambito di un procedimento di giurisdizione non contenziosa, all'esito del quale è espressa di conseguenza una manifestazione di volontà da parte di un terzo qualificato, cui la determinazione pecuniaria è stata rimessa dal legislatore ;
e che quindi non incide su diritti soggettivi delle parti, ne' risolve alcun conflitto tra di esse;
c) che, data la carenza di carattere giurisdizionale nella decisione adottata dal Presidente del Tribunale,deve escludersene la natura decisoria e l'attitudine al giudicato,donde l'inesperibilità contro di essa dei rimedi di giurisdizione contenziosa, anche extra ordinem, quale il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.. Ed il titolo di formazione extragiudiziale ex art. 814 cod. proc. civ. può e deve essere contestato, con tutte le garanzie della giurisdizione,mediante l'opposizione all'esecuzione intrapresa da coloro che l'hanno ottenuto.
Consegue che nel procedimento di cui all'art. 814 cod. proc. civ. utilizzato dai ricorrenti non poteva essere accertato il loro diritto al compenso,quali arbitri che avevano pronunciato un lodo ai sensi dell'art. 823 cod. proc. civ.;
ed a maggior ragione restava precluso ogni accertamento incidentale in ordine non solo alle cause di nullità presenti nella decisione, ma anche alle eventuali cause di inesistenza,che dovevano essere stabilite,come di fatto è avvenuto,nel giudizio di impugnazione instaurato tra le parti legittimate a proporlo, ovvero a contraddire. Ragion per cui, siccome detto giudizio si è concluso con l'accertamento divenuto definitivo che un lodo con tali caratteri è mancato e con la declaratoria della sua inesistenza giuridica,ne rimane automaticamente travolto e caducato il provvedimento determinativo del quantum del compenso arbitrale emesso dal Presidente del Tribunale;
e la caducazione opera de iure come conseguenza obbiettiva e necessaria del rapporto di dipendenza con il titolo in forza del quale la liquidazione è avvenuta. Al pari di quanto avviene esemplificativamente in campo processuale allorquando la riforma della sentenza non definitiva pone nel nulla le statuizioni di quella definitiva che dipendono da essa. Ovvero in quello sostanziale nell'ipotesi di negozi fra loro collegati da una comune finalità,e concepiti l'uno in funzione dell'altro di modo che la mancanza (anche solo giuridica) dell'uno faccia venir meno la ragione giuridica dell'altro (Cass. 13580/2004;

14000/2004).
Ed allora appare corretta la decisione impugnata che ha ritenuto,da un lato che l'accertata inesistenza giuridica del lodo (nella sede giudiziale sua propria) ha posto del nulla il provvedimento di liquidazione del compenso degli arbitri ex art. 814 cod. proc. civ. dato il nesso di consequenzialità logica e necessaria tra quest'ultimo e la menzionata decisione di accertamento che ne costituiva il presupposto indefettibile;
e dall'altro, ha considerato irrilevante la mancata impugnazione del provvedimento presidenziale da parte dell'amministrazione comunale non solo per il suo limitato contenuto e la sua inidoneità a costituire giudicato,ma anche perché nel relativo giudizio non è consentito contestare la giuridica esistenza del lodo e la sua attitudine a costituire titolo ex art. 474 cod. proc. civ., comma 2;
che invece il debitore può e deve fare valere nell'apposita sede prevista dall'art. 615 cod. proc. civ. onde privarlo dell'idoneità a legittimare l'instaurazione della
procedura esecutiva.
Nessuna pronuncia va emessa sulla disciplina delle spese processuali perché il comune di Morcone, cui l'esito del giudizio è stato favorevole,non ha spiegato difese.

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