Cass. civ., sez. V trib., sentenza 23/09/2022, n. 27917
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In tema di deduzioni dalla base imponibile, nel quadro normativo delineato dal combinato disposto dell'art. 96 del d.P.R. n. 917 del 1986, come risultante dalla novella apportata dalla l. n. 244 del 2007, disposizione sostanziale non retroattiva che trova applicazione dall'esercizio successivo a quello chiuso al 31 dicembre 2007, e dell'art. 110, comma 1, lett. b), del medesimo d.P.R., per gli immobili alla cui produzione è diretta l'attività di impresa, la deducibilità dal reddito degli interessi passivi sostenuti per l'acquisto, la costruzione o ristrutturazione, può avvenire soltanto attraverso una loro previa capitalizzazione quale costo di fabbricazione, in quanto costo parte integrante del valore del bene iscrivibile in bilancio, essendo gli interessi passivi già compresi nel costo per l'acquisto dei beni strumentali, e per tale ragione non autonomamente deducibili, e rilevando, a tal fine, unicamente all'interno della quota di ammortamento propria del bene al quale direttamente si riferiscono.
Sul provvedimento
Testo completo
1. Con sentenza n. 52/2/2015 depositata in data 16/2/2015 la Commissione tributaria regionale delle Marche, previa riunione, respingeva gli appelli principali proposti da M.G. e accoglieva gli appelli presentati in via incidentale dall'Agenzia delle Entrate avverso le sentenze nn. 230 e 231/2/13 della Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno, la quale a sua volta aveva parzialmente accolto i ricorsi introduttivi del contribuente proposti avverso due avvisi di accertamento successivamente sostituiti da ulteriore avviso emesso in sede di autotutela parziale, tutti relativi a maggior redditi imponibili complessivamente accertati rispetto a quelli dichiarati per gli anni di imposta 2007 e 2008.
2. Il giudice di prime cure, con le suddette due sentenze accoglieva la prospettazione del ricorrente, titolare di una impresa individuale, limitatamente agli interessi passivi indeducibili, riducendone l'ammontare. Per il resto, confermava le riprese, derivanti da movimentazioni bancarie contestate ex art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e disconoscimento di costi, ritenuti non inerenti, relativi alla costruzione di un immobile commerciale, con conseguente recupero anche dell'IVA indebitamente detratta. Il giudice d'appello confermava integralmente le riprese.
3. Avverso la sentenza d'appello il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui replica l'Amministrazione finanziaria con controricorso. Il sostituto P.G. ha depositato memoria, illustrando le conclusioni dell'udienza pubblica, fissata a seguito dell'istanza di trattazione orale formulata dal ricorrente.
Motivi della decisione
4. Con il primo motivo - in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. - il ricorrente denuncia la nullità della sentenza, per violazione dell'art. 42 del D.P.R. n.600 del 29 settembre 1973, art. 42 e del L. n. 241 del 7 agosto 1990, art. 21-septies, in quanto entrambi gli avvisi di accertamento impugnati sarebbero nulli, poichè sottoscritti da soggetti diversi dal capo dell'ufficio ovvero da un funzionario delegato.
5. Il motivo è inammissibile perchè doglianza nuova, come eccepito in controricorso, di cui non vi è evidenza di tempestiva articolazione nei due gradi di merito e della quale non fa menzione la sentenza impugnata. Inoltre, nel processo tributario la nullità dell'avviso di accertamento - se del caso per assunta sottoscrizione da persona diversa da quelle indicate nel D.P.R. n. 600 del 1973 art. 42 comma 1 e per la quale, peraltro, vale anche l'espressa previsione di cui al all'art. 61, comma 2, del decreto presidenziale citato - non è rilevabile d'ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio (Cass. 14/09/2021, n. 24669;
Cass. 24/06/2016, n. 13126;
Cass. 05/05/2010, n. 10802;
Cass. 08/09/2003, n. 13087).
6. Il secondo motivo - ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. denuncia la nullità della sentenza impugnata, per violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4), e D.Lgs. n.546 del 31 dicembre 1992 art. 61 e dell'art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c., trattandosi, in relazione alle contestazioni concernenti le movimentazioni bancarie ritenute ingiustificate dall'Agenzia, di motivazione meramente apparente.
7. Il motivo è infondato. Si rammenta che "La riformulazione del-l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 22 giugno 2012, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione" (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053).
Ciò premesso, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, la sentenza impugnata riportata estensivamente alle pagg.
1-2 della motivazione il fatto e gli snodi processuali fondamentali, incluse le contestazioni da accertamenti bancari. Inoltre, alle pagg.
3-4 della stessa decide, esaminando espressamente la questione del "puntuale risconto dei movimenti bancari" (cfr., p.3, ivi), della prova contraria offerta dal contribuente e ritenuta generica, non idonea a superare la presunzione dell'art. 32, e affrontando un compendio di elementi istruttori ulteriori a riscontro di tale presunzione: "convergono verso tale convincimento, tra le altre, le seguenti circostanze evidenziate (...)" (ibidem). Pertanto, la sentenza impugnata ha motivato in maniera tutt'altro che apparente ed è rispettosa del minimo costituzionale.
8. Con il terzo motivo (numerato 2.1. a pag.45 del ricorso), si lamenta - ai fini dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. - la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39 del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, avendo erroneamente il giudice di merito ritenuto che il contribuente non avesse dato giustificazione di tutte le movimentazioni bancarie registrate.
9. Il motivo è inammissibile. Si rammenta che, all'esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, in relazione all'art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, resta fermo che le operazioni bancarie di versamento hanno valore presuntivo nei confronti di tutti i contribuenti, mentre quelle di prelevamento solo nei confronti dei titolari di reddito di impresa, quale è, appunto, l'odierno ricorrente. Nè può dubitarsi che in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, fondando l'art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 una presunzione relativa circa la natura di ricavi sia dei prelevamenti sia dei versamenti su conto corrente, gravi sul contribuente l'onere di superare la suddetta presunzione, dimostrando la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che dev'essere fondata su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all'equità (Cass. 16/07/2020, n. 15161;
Cass. 24/07/2014, n. 16896). Ciò premesso quanto al canone di riparto dell'onere della prova discendente dall'applicazione dell'art. 32 cit. nella fattispecie, le Sezioni Unite di codesta Corte hanno chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione il quale, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame 3 circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. S.U. 27/12/2019, n. 34476).
Nel caso di specie, il giudice di merito con valutazione in fatto che si sottrae alla censura in disamina, neppure articolata sotto l'angolo del vizio motivazionale, ha come sopra riportato ritenuto che le giustificazioni addotte dal contribuente in relazione ai singoli prelevamenti e versamenti, non fossero