Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 25/10/2012, n. 18287

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In tema di licenziamento individuale, deve escludersi la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo quando, al di là di ogni eventuale riferimento a ragioni relative all'impresa, il licenziamento sia fondato su di un comportamento riconducibile alla sfera volitiva del lavoratore lesivo dei suoi doveri contrattuali, ed esprima pertanto un giudizio negativo nei suoi confronti, tale da esigere il rispetto dell'iter prescritto dall'art. 7 della legge n. 300 del 1970, senza che assuma rilievo la circostanza che la valutazione sfavorevole non abbia ad oggetto le qualità strettamente tecniche del lavoratore, ma investa altri aspetti dell'attività professionale o della sua personalità, che siano concorrenti ad integrarne il patrimonio professionale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittimo, in quanto "ontologicamente" disciplinare, il licenziamento intimato a una lavoratrice per comportamenti ritenuti non in linea con le disposizioni aziendali e incidenti sul corretto funzionamento dell'impresa).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 25/10/2012, n. 18287
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 18287
Data del deposito : 25 ottobre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R F - Presidente -
Dott. B G - Consigliere -
Dott. D'

ANTONIO

Enrica - Consigliere -
Dott. A R - rel. Consigliere -
Dott. M C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S
sul ricorso 28488/2008 proposto da:
DE BORTOLI LIDIA domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato C F, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
CO.IM. ITALIA HOLDING S.P.A. 08339500012;

- intimata -
Nonché da:
CO.IM. ITALIA HOLDING S.P.A. 08339500012, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LUDOVISI

16, presso lo studio dell'avvocato C M, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati V G, TORAZZI VITTORIO, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentelale -
contro
DE BORTOLI LIDIA;

- intimata
avverso la sentenza n. 72/2008 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 05/03/2008 r.g.n. 1325/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2012 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l'Avvocato MAURIZIO CORAIN;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA

Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 5.3.2008, la Corte di Appello di Torino respingeva il gravame proposto dalla s.p.a. CO.IM. Italia Holding e quello incidentale della lavoratrice avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a D B Lidia, ritenuto di natura disciplinare;
condannato l'azienda al pagamento di 2,5 mensilità di retribuzione, ritenendo applicabile la tutela obbligatoria, dal momento che l'azienda occupava quattordici lavoratori a tempo pieno e due part time a 25 ore, e respinto la domanda di risarcimento dei danni, rilevando che non fossero emerse condotte del datore di lavoro lesive o inquadrabili entro lo schema di un comportamento costituente abuso del rapporto gerarchico. Rilevava, quanto all'appello incidentale, che nella lettera di recesso del 25.9.2006 era rinvenibile la chiara volontà dell'azienda di addebitare alla lavoratrice mancanze connesse con lo svolgimento dell'attività e violazioni delle norme di organizzazione del lavoro e non il riferimento a ragioni giustificative del recesso inerenti all'attività produttiva che incidessero sulla posizione della lavoratrice.
Con riguardo all'appello principale, la Corte del merito rilevava che la L. n. 300 del 1970, art. 18, prevedeva che, ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui al comma 1, doveva tenersi conto anche dei lavoratori assunti part time per la quota di orario effettivamente svolto, considerando che il computo delle unità lavorative faceva riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva di settore e che le altre norme in rilievo nella fattispecie, ed in particolare il D.Lgs. n. 61 del 2000, art.6, comma 1, come risultante dalla nuova formulazione introdotta dal
D.Lgs. n. 100 del 2001, art. 1, comma 1, lett. D), avevano previsto che, nelle ipotesi in cui si rendeva necessario l'accertamento della consistenza dell'organico, i lavoratori a tempo parziale venissero computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno, e che l'arrotondamento operasse per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno. Riteneva che tra la norma statutaria e quella del decreto legislativo vi fosse un rapporto di integrazione e non di specialità e che la nuova disciplina indicasse inequivocabilmente la volontà del legislatore di estendere l'applicabilità della disposizione, e quindi il meccanismo dell'arrotondamento, a tutte le ipotesi in cui si ponesse la necessità di accertare la consistenza dell'organico, risultando infondata anche la tesi secondo cui l'art. 6 del D.Lgs. citato esaurirebbe la sua disciplina all'interno del'istituto del tempo parziale, senza estendersi a regolare la questione del regime di tutela applicabile. Con la nuova formulazione della disposizione, peraltro, i lavoratori a tempo parziale andavano computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all'orario svolto, prendendo in considerazione la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno, effettuando l'arrotondamento non sull'orario del singolo lavoratore part time, ma sulla somma degli orari di tutti i lavoratori part time in forza all'azienda. Nel caso specifico la somma degli orari dei lavoratori part time era pari a 50 minuti, che comprendevano una unità oraria di 40 minuti ed una frazione di 10 minuti, di talché i quattordici dipendenti salivano a quindici, dal momento che i dieci minuti venivano portati a zero con arrotondamento per difetto.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la D B con unico articolato motivo, illustrato con memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. Resiste con controricorso la società, che propone ricorso incidentale, affidato a tre motivi illustrati anche essi con memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
Va, preliminarmente, disposta la riunione dei giudizi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Con l'unico motivo del ricorso principale, D B Lidia denunzia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione della L. n.300 del 1970, art. 18, comma 2, e falsa applicazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, comma 1, circa il criterio di computo dei
dipendenti a tempo parziale, ai fini dell'applicazione della tutela reale contro i licenziamenti illegittimi e, con riferimento all'art.360 c.p.c., n. 5, deduce omessa ed insufficiente motivazione sul
rapporto tra le due norme citate. Osserva che il meccanismo dell'arrotondamento della frazione eccedente la somma degli orari individuali corrispondenti ad una unità intera di orario a tempo pieno è previsto dal D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, di attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEP e dalla CES, come criterio da adottare per il computo dell'organico dei dipendenti comprendente lavoratori a tempo parziale, indifferentemente intesi come categoria, senza distinzione tra gli assunti a tempo parziale indeterminato e gli assunti a tempo parziale a termine, laddove l'art. 18, comma 2, dello Statuto dei Lavoratori, in relazione all'individuazione del regime di tutela applicabile, non prevede alcun criterio di arrotondamento della frazione di orario eccedente il numero intero esprimente la somma degli orari individuali e considera i soli lavoratori assunti con contratto a tempo parziale indeterminato, escludendo dal computo gli assunti con contratto a tempo parziale determinato.
Assume che l'art. 18 costituisce evidente norma particolare o speciale, volta a regolamentare la garanzia della stabilità del posto di lavoro per i lavoratori illegittimamente licenziati escludendo i lavoratori a tempo parziale a termine e che il silenzio del comma 2, art. 18 dello Statuto dei Lavoratori circa il meccanismo dell'arrotondamento della frazione eccedentaria non autorizza a far ritenere che tale meccanismo possa essere stato introdotto dalla nuova disposizione di cui al D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, la quale, nel ribadire il principio dell'arrotondamento, ne stabilisce l'applicabilità a tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della consistenza dell'organico.
Aggiunge che il disposto dell'art. 18 non è stato modificato dal legislatore e che il D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, non contiene alcuna normativa specifica sui licenziamenti individuali, che le due normative hanno finalità ed ambiti propri che non consentono sovrapposizioni, salvo che non si voglia pervenire, proprio per l'effetto integrativo, ad ipotizzare una abrogazione della esclusione contenuta espressamente nella norma statutaria ed affermare la estensione della base di calcolo, ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro, immettendovi anche i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato parziale.
Per affermare una siffatta tesi, la ricorrente non ritiene sufficiente il riferimento alla sola ampiezza della locuzione per cui il criterio stabilito dal D.Lgs. n. 61 del 2000, si applicherebbe in "tutte le ipotesi in cui per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della consistenza dell'organico", in quanto l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori costituisce una disciplina speciale a tutela del lavoratore licenziato e l'ipotetica abrogazione dell'art. 18, comma 2, per la parte in cui esclude dal computo i lavoratori a tempo parziale determinato e prevede il superamento dell'unità sol perché la somma delle quote superi l'orario previsto dalla contrattazione collettiva, potrebbe sostenersi solo in forza dei principi stabiliti dall'art. 15 preleggi. Osserva, però, al riguardo che nessuna delle ipotesi ivi previste sia riscontrabile nella fattispecie, non essendovi ne' una abrogazione espressa, ne' una incompatibilità, ne' una nuova regolamentazione dell'intera materia relativa alla tutela reale dei lavoratori illegittimamente licenziati. Con quesito formulato ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., domanda se permanga nel nostro ordinamento la disciplina della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 2 anche dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 61 del 2000. Il ricorso principale è infondato.
La questione riguarda la computabilità o meno, ai fini della determinazione del numero di dipendenti utile ai fini della tutela reale, dei lavori part time in forza all'azienda secondo il criterio sancito dall'art. 18, comma 2 dello Statuto dei lavoratori, ovvero secondo quello più articolato prescritto dal D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, comma 2 e la valutazione del carattere integrativo o meno di
quest'ultima disciplina nei riguardi della prima.
Con riferimento ai lavoratori assunti part time la norma di cui all'art. 18, comma 2 dello Statuto dei Lavoratori prevede che essi debbano essere computati per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva di settore. Le questioni interpretative sollevate, in parte avanzate anche in dottrina, devono, a giudizio della Corte, essere ora affrontate alla luce della nuova disciplina del lavoro a tempo parziale introdotta dal D.Lgs. n. 61 del 2000, così come integrato e modificato dal D.Lgs. n. 100 del 2001. All'art. 6 il decreto, in fatti, dispone il principio generale del computo dei lavoratori part time nel numero dei dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno come definito dal decreto stesso, "in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della consistenza dell'organico". Detto criterio di valutazione, adesso l'unico, stante l'abrogazione dell'eccezione contenuta nel secondo comma della norma da parte del D.Lgs. n. 276 del 2003, art.46, comma 1, lett. p), (conformemente alle disposizioni della Legge
Delega n. 30 del 2003 (art. 3, comma 3, lett. F), è poi seguito dall'indicazione delle regole per l'eventuale arrotondamento, che opera "per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente ad unità intere di orario a tempo pieno".
La estensione della disciplina di cui al D.Lgs. n. 61 del 2000, art.6, comma 1, per effetto dell'abrogazione espressa della disposizione
che prevedeva che "ai soli fini dell'applicabilità della disciplina di cui al titolo 3^ della L. 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, i lavoratori a tempo parziale si computano come unità intere, quale che sia la durata della loro prestazione lavorativa" conforta il convincimento che i criteri di cui al D.Lgs., per effetto della disposizione di carattere generale si applicavano immediatamente in relazione alla regolamentazione della disciplina della tutela reale, di cui al titolo 11 dello Statuto e l'inesistenza del carattere di specialità della norma di cui art. 18, comma 2 St. Lav., rispetto alla quale la disciplina successiva di cui al D.Lgs. successivo, deve ritenersi di carattere integrativo. Del resto la tesi è già stata sostenuta in precedenti di questa Corte di legittimità, che, risolvendo la questione specifica della efficacia temporale della nuova disciplina ha affermato il principio alla cui stregua. "Ai fini dell'operatività della disciplina riguardante il regime di stabilità reale, il requisito dimensionale dell'impresa in rapporto al numero dei dipendenti occupati, stabilito dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla L. n. 108 del 1990, art. 1,
deve tenere conto dei lavoratori a tempo parziale in proporzione della sola quota di orario effettivamente svolto e tale modalità di calcolo va applicata, per non incorrere in irragionevoli e quindi costituzionalmente illegittime disparità di trattamento, anche in riferimento a periodi precedenti all'entrata in vigore del D.Lgs. n.61 del 2000, art. 6, che una siffatta regola ha esplicitato" (cfr., Cass. 13 marzo 2008 n. 6754). Neanche rileva poi, per confutare la validità dell'interpretazione delle norme qui sostenuta, l'osservazione della ricorrente secondo cui il meccanismo dell'arrotondamento, previsto dal D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, come criterio da adottare per il computo dell'organico dei dipendenti comprendente lavoratori a tempo parziale, prevede che questi ultimi siano indifferentemente intesi come categoria, senza distinzione tra gli assunti a tempo parziale indeterminato e gli assunti a tempo parziale a termine, laddove l'art. 18, comma 2, dello Statuto dei Lavoratori, in relazione all'individuazione del regime di tutela applicabile, considera i soli lavoratori assunti con contratto a tempo parziale indeterminato, escludendo dal computo gli assunti con contratto a tempo parziale determinato, onde, escludendo che le due normative abbiano finalità ed ambiti propri, si perverrebbe ad ipotizzare ed affermare, anche ai fini dell'individuazione del regime di tutela applicabile ai licenziamenti, la estensione della base di calcolo, ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro, immettendovi anche i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato parziale.
A prescindere dalla considerazione che da parte della dottrina è stata sostenuta la computabilità prò rata temporis anche del lavoratore part time a termine, la questione non risulta avere un'incidenza determinante ai fini considerati, essendo la regola di computo introdotta dalla nuova disposizione legislativa applicabile anche ritenendo che nello specifico ambito applicativo non debbano considerarsi i lavoratori part time a termine.
Per le considerazioni svolte, deve ritenersi che la norma sopravvenuta sia applicabile, così come del resto previsto nella sua stessa formulazione, in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della consistenza dell'organico e che nelle stesse rientri anche la disciplina dei licenziamenti per la parte relativa appunto alla individuazione del regime di tutela applicabile, non potendo ritenersi il carattere di specialità di tale ultima normativa, che sola precluderebbe alla legge generale posteriore di derogare alla precedente connotata da tale natura, per essere i rispettivi ambiti di applicabilità non sovrapponibili.
Passando all'esame del ricorso incidentale, con il primo dei motivi la società lamenta la falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n.604, art. 3, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo che
integri un vizio di falsa applicazione di norme di diritto una interpretazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, che riconduca al giustificato motivo oggettivo solo i licenziamenti che si ricolleghino a specifiche esigenze aziendali e non anche quelli che traggano origine da comportamenti del prestatore di lavoro diversi dall'inadempimento, i quali, se pure non rilevanti sotto il profilo disciplinare, incidano sul regolare funzionamento dell'organizzazione del lavoro.
Con il secondo motivo, la CO.IM. s.p.a. si duole della omessa o comunque insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n.

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