Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 01/04/2019, n. 09013

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 01/04/2019, n. 09013
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 09013
Data del deposito : 1 aprile 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

e SENTENZA sul ricorso 14172-2016 proposto da: LA MENDOLA GIUSEPPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

MILLE

41/A, presso lo studio dell'avvocato F B, che la rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE EUROPA

190, presso l'avvocato R C dell'Area Legale Territoriale Centro di Poste Italiane, rappresentata e difesa dall'avvocato C G;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 6382/2015 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 09/12/2015 R.G.N. 9007/2012. udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2019 dal Consigliere Dott. C M;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R S che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l'Avvocato F B. R. Gen. N. 14172/2016

FATTI DI CAUSA

1.1. Con ricorso al Tribunale di Roma Giuseppa La Mendola conveniva in giudizio la Poste Italiane S.p.A. chiedendo l'accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso inter partes per il periodi 4.2.2011 - 31.3.2011, ai sensi del d.lgs. n. 368 del 2001, art. 2, co. 1 bis, così come modificato dalla I. n. 266/2005, per lo svolgimento dell'attività di portalettere junior Presso l'Area logistica territoriale Sud del Comune di Reggio Calabria.

1.2. Il Tribunale respingeva la domanda.

1.3. La decisione era confermata dalla Corte d'appello di Roma. Riteneva la Corte territoriale che il gravame fosse inammissibile nella parte in cui l'appellante si era limitata a riprodurre le argomentazioni e deduzione già esposte in sede di ricorso di primo grado a sostegno della illegittimità del termine per ragioni afferenti alla causale, senza muovere alcuna censura alla sentenza impugnata. Quanto, poi, al mancato rispetto della clausola di contingentamento riteneva: - che correttamente nel concetto di organico aziendale fosse da ricomprendersi anche il personale addetto a servizi diversi dal recapito della corrispondenza;
- che ai fini della verifica dell'osservanza di tale clausola dovesse operare il criterio del computo 'per teste' e non il diverso criterio del full time equivalent;
- che, nella specie, l'appellante con avesse contestato i dati indicati da Poste Italiane nella documentazione da tale società e deponenti per l'avvenuto rispetto del limite relativo alla percentuale massima di assunzioni a termine previsto dall'art. 2, co. 1 bis, del d.lgs. 368/2001.R. Gen. N. 14172/2016 2. Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale Giuseppa La Mendola ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.

3. Poste Italiane ha resistito con controricorso.

4. Non sono state depositate memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 342 cod. proc. civ. primo comma e 434 cod. proc. civ. come modificato dall'art. 54 comma 1 lett. c-bis d.l. 22/6/2012 n. 83, conv. in I. 7/8/2012 n. 134 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). Lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente dichiarato inammissibile l'appello della La Mendola nella parte relativa alle censure riguardanti la nullità del termine.

1.2. Il motivo è inammissibile. E' noto che ai fini della specificità dei motivi d'appello richiesta dall'art. 342 cod. proc. civ. e, nel rito del lavoro, dall'art. 434 cod. proc. civ., l'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su Lui si fonda l'impugnazione deve risolversi in una critica adeguata e specifica della decisione impugnata che consenta al giudice del gravame di percepire con certezza e chiarezza il contenuto delle censure in riferimento ad una o più statuizioni adottate dal primo giudice. In questa prospettiva è stato ulteriormente precisato che il requisito della specificità dei motivi di appello non può prescindere dal contenuto argonnentativo della sentenza impugnata richiedendosi che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, (v. tra altre, Cass. 18 settembre 2017, n. 21566;
Cass. 10 dicembre 2005, n. 26192;
Cass. 17 dicembre 2010, n. 25588).R. Gen. N. 14172/2016 Tali affermazioni devono essere poste in correlazione con il principio secondo il quale quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l'invalidità denunciata, mediante l'accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (v. tra le altre, Cass. 13 agosto 2018, n. 20716;
Cass. 21 aprile 2016, n. 8069;
Cass.30 luglio 2015, n. 16164). Al fine di consentire tale sindacato, tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il 'fatto processuale' di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771). In applicazione di tale principio, in tema di motivo di ricorso per cassazione che censura il ritenuto difetto di specificità del motivo di appello, è stato affermato che la parte ricorrente, ha l'onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all'atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. 29 settembre 2017, n. 22880;
Cass. 20 settembre 2006, n. 20405).R. Gen. N. 14172/2016 La ricorrente non ha adempiuto agli oneri prescritti al fine della valida censura della decisione impugnata alla luce dei richiamati principi. Non risulta riprodotto il contenuto della sentenza di primo grado facendosi riferimento a tale decisione solo per affermare, in modo del tutto privo di specificità, che: "nella pur condivisibile interpretazione offerta dal giudice di prime cure dell'art. 2, comma 1, del decreto legislativo citato, come modificato dalla legge n. 266/2005, non si comprende l'iter logico che ha portato poi il decidente medesimo ad escludere, nell'ipotesi di che trattasi, la menzione nel contratto delle ragioni di ricorso a detta tipologia di contratto [...]" - v. pag. 5 del ricorso per cassazione -. Neppure è riprodotto l'atto di appello in relazione al quale sono state formulate le censure, essendosi la ricorrente limitata a riportare una mera sintesi dei motivi di impugnazione (pag. 3 del ricorso per cassazione) e a dedurre di aver censurato l'interpretazione logico-giuridica seguita dal primo giudice 'prospettando una ricostruzione dei fatti ed una esegesi della normativa delle norme dalla quale ben avrebbe potuto arrivarsi ad un progetto alternativo di decisione' (pagg. 6 e 7 del ricorso per cassazione). E' dunque mancato ciò che era indispensabile al fine di consentire la verifica della effettiva pertinenza e specificità delle censure formulate con il ricorso in appello e della loro reale idoneità a costruire un tessuto argomentativo idoneo a contrastare quello posto a fondamento della statuizione impugnata oltre che una chiara evidenziazione di tale contrapposizione ai fini della verifica ex actis del vizio ascritto alla sentenza impugnata, come, invece, prescritto (Cass. 1° luglio 2003, n. 10330).R. Gen. N. 14172/2016 2.1. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo - violazione dell'art. 156, co. 2 e 3, cod. proc. civ. (art. 360, n. 4, cod. proc. civ.). Censura la sentenza impugnata perché a fronte di un'argomentazione incentrata sull'inammissibilità di talune censure non vi era stata nella parte dispositiva una pronuncia d'inammissibilità parziale ma un rigetto integrale dell'appello.
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