Cass. pen., sez. III, sentenza 16/07/2019, n. 31202
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Testo completo
a seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da VE BR, nato a [...] il [...] TE LA, nata a [...] il [...] AC s.r.I., in persona del legale rappresentante avverso l'ordinanza del Tribunale di Verona del 30 ottobre 2018 visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi i difensori avv.ti FA Zanini e FA Giuseppe Gomiero.
RITENUTO IN FATTO
1. - Con ordinanza del 30 ottobre 2018, il Tribunale del Riesame di Verona ha rigettato le richieste di riesame presentate nell'interesse degli indagati TE GA e VE BR, nonché dalla società AC s.r.I., rappresentata legalmente da IS FA AN, avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona in data 4 ottobre 2018, in ordine ai reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 2 del d. Igs. n. 74 del 2000, sui conti correnti societari e dell'indagato VE BR, fino alla concorrenza di euro 6.964.681,61 in relazione ai periodi di imposta 2012, 2013, 2014, 2015 e 2016. Secondo la prospettazione accusatoria, dagli atti risulta che, a seguito di una verifica fiscale condotta nel 2017 nei confronti della società AC s.r.l. - avente come oggetto sociale attività logistica nel settore dell'alta moda per noti marchi internazionali - era emerso che la stessa aveva appaltato i servizi di facchinaggio e le prestazioni accessorie (quali pulizia, etichettatura dei capi, confezionamento ecc.) a vari consorzi che, a loro volta, assegnavano tali attività alle cooperative facenti parte dei medesimi che operavano nei numerosi magazzini della società presenti nel territorio nazionale. Il Tribunale del riesame afferma che le indagini svolte hanno permesso di accertare che, contrariamente al dato puramente formale, tra la società AC e i consorzi non sono stati instaurati appalti genuini, avendo la società fatto ricorso, in maniera sistematica, a moduli di gestione di tali rapporti in fase esecutiva che, di fatto, integravano delle ipotesi di somministrazione (illegale) di manodopera da parte delle cooperative, per il tramite del consorzio che si interponeva fittiziamente in tale rapporto. A loro volta, i consorzi adottavano il medesimo meccanismo nell'ambito del rapporto di subappalto con le società cooperative di lavoro che fornivano, di fatto, solo la manodopera tramite i propri soci lavoratori. Tale meccanismo, dunque, aveva permesso alla società AC s.r.l. di utilizzare la manodopera messa a disposizione delle cooperative instaurando di fatto - attraverso l'elusione delle norme imperative in materia giuslavoristica - un rapporto in tutto assimilabile a quello di lavoro dipendente;
con la conseguenza, sotto il profilo fiscale, che le fatture emesse dalle società consorziate sono da qualificare come oggettivamente inesistenti in quanto, pur essendo state emesse avuto riguardo ad una prestazione "reale" - e cioè quella collegata alla somministrazione del lavoro - nel caso di specie, non è prevista ab origine la fatturazione (in quanto vietata ai sensi dell'art. 18 del d. Igs. 276 del 2003), con la conseguenza che la società appaltante avrebbe inserito le relative fatture in contabilità, facendo figurare elementi passivi fittizi e detraendo VIVA per tali operazioni 2. - Avverso l'ordinanza del Tribunale del Riesame, hanno proposto ricorsi per cassazione, per il tramite del loro difensore e con unico atto, gli indagati VE e TE, chiedendone l'annullamento. 2.1. - Con un primo motivo di impugnazione, i ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 111, settimo comma, Cost. in quanto il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sull'eccesso di sequestro per euro 2.000,01, nonché sulla necessaria proporzionalità tra il calcolo del beneficio fiscale e l'ammontare del sequestro. Secondo la difesa, il totale della somma sottoposta a sequestro,euro 6.964.681,61, sarebbe errato per eccesso nella misura di euro 2.000,01, in quanto nell'importo relativo all'anno di imposta 2014, viene riportato il totale IVA delle fatture emesse da FINGROUP per la somma di € 234.247,74, in luogo della somma reale che emergerebbe anche dalla CNR della Guardia di Finanza di Verona, e cioè euro 232.247,74. Inoltre, mancherebbe la proporzionalità tra il calcolo del beneficio fiscale e l'ammontare del sequestro, non essendo stata computata esattamente l'evasione ipotizzata. *() - 2.2. - Con un secondo motivo di ricorso, la difesa censura l'esercizio da parte del Tribunale di una potestà riservata dalla legge a organi amministrativi con riferimento alla violazione degli artt. 12 del d.lgs. n. 124 del 2012, 15 del d.lgs. n. 149 del 2015 e 414 cod. proc. civ. Il Tribunale avrebbe errato nel richiamare gli abrogati artt. 27 e 28 del d.lgs. n. 276 del 2003, che prevedevano la possibilità, per il prestatore di lavoro irregolarmente somministrato di ottenere, previo ricorso al giudice del lavoro, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore;
ciò farebbe venire meno la base giuridica del sequestro. A parere dei ricorrenti, a fronte della depenalizzazione della somministrazione della manodopera prevista dall'art. 18 del d. Igs. n. 276 del 2003 ai sensi del d.lgs. n. 8 del 2016, il Tribunale, nel ritenere accertata la non genuinità degli appalti, avrebbe esercitato i poteri riservati dalla legge all'Ispettorato nazionale del Lavoro, organo amministrativo competente per l'irrogazione delle sanzioni. 2.3. - In terzo luogo, la difesa lamenta l'erronea applicazione delle norme di attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30 del 14 febbraio 2003 (d.lgs. n. 276 del 2003). Secondo i ricorrenti, il Tribunale avrebbe errato nel rigenere le fatture emesse dalla AC s.r.l. come oggettivamente inesistenti e gli appalti come"non genuini", in quanto avrebbe fatto propria la tesi sostenuta nelle CNR, ritenendo di poter accertare la non genuinità nella mancanza di autonomia imprenditoriale in capo alle Cooperative che vengono descritte come una longa manus di AC, di cui la stessa si serviva per utilizzarne i dipendenti. A parere della difesa, il Tribunale del riesame avrebbe errato nel ricavare l'esistenza di indizi del reato dallo scambio di email intercorso tra i vari dipendenti e nel qualificare l'attività posta in essere dalla società AC come somministrazione di manodopera e non come appalto di servizi, pur in presenza dell'autonomia imprenditoriale e del rischio di