Cass. civ., sez. V trib., ordinanza 09/03/2021, n. 06433
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nunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 15679/2015 R.G. proposto da G A, rappresentata e difesa dall'Avv. L V, con domicilio eletto in Roma, via Buccari, n. 3, presso lo studio dell'Avv. B F;- ricorrente -contro Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;- controricorrente - nonché contro Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Napoli, in persona del Direttore pro tempore;Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato;- intimati - avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 10802/23/14 depositata 1'11 dicembre 2014. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 dicembre 2020 dal Consigliere G N. Rilevato che: in seguito all'accesso, il 15 luglio 2008, nei locali destinati all'esercizio dell'attività commerciale, l'Agenzia delle entrate iniziò una verifica nei confronti di A G, titolare dell'omonima impresa individuale, che si concluse con la redazione del processo verbale del 24 luglio 2008, sottoscritto dalla contribuente;da tale processo verbale, riportato nella sentenza impugnata, risulta che gli impiegati dell'Agenzia delle entrate: a) determinarono in C 108.776,00 il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla data del 16 luglio 2008 (nel seguente modo: effettuato l'inventario «analitico, per quantità e valori» di tali rimanenze, ne determinarono anzitutto, sulla base dei prezzi esposti al pubblico, al netto dell'IVA, il valore "a ricavo", sempre al netto dell'IVA, in C 217.553,34;- calcolarono poi, sulla base dei prezzi di acquisto «della quasi totalità dei capi esposti» rilevato dalle fatture di acquisto degli anni 2007 e 2008 e del raffronto tra gli stessi prezzi di acquisto e i prezzi di vendita esposti al pubblico, le percentuali di ricarico per ogni articolo e la media aritmetica delle stesse, pari al 107 per cento;poiché, peraltro, la contribuente aveva dichiarato che il prezzo indicato sui cartellini, imposto dai fornitori, era il risultato di un ricarico del 100 per cento, decidevano per l'applicazione di quest'ultima percentuale, in quanto più favorevole alla contribuente, al menzionato valore "a ricavo" delle rimanenze alla data del 16 luglio 2008 di C 217.553,34, ottenendo così il valore al costo delle stesse rimanenze alla data del 16 luglio 2008 di C 108.776,00);b) determinarono in C 263.905,36 il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 (nel seguente modo: determinarono, anzitutto, in C 259.698,14 il costo del venduto nel periodo 1° gennaio/15 luglio 2008, ottenendolo, in particolare, sommando al costo del venduto al dettaglio di C 106.444,00 - calcolato, a sua volta, sottraendo agli incassi di C 138.377,50 contabilizzati nel suddetto periodo la percentuale di margine lordo del 30 per cento, «confermata dalla parte» - il costo del venduto della vendita a stock indicata nella fattura n. 1 del 12 febbraio 2008, limitatamente alla merce consegnata con la bolla n. 1 dell'Il febbraio 2008, di C 153.254,14;sommarono l'importo di C 360.200,00 delle esistenze iniziali al 10 gennaio 2008 indicato dalla contribuente all'importo di C 163.403,50 relativo agli acquisti di merce contabilizzati nel periodo 1° gennaio/15 luglio 2008;sottrassero dalla somma così ottenuta il costo del venduto nel periodo 1° gennaio/15 luglio 2008 di C 259.698,14, ottenendo, così, il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 di C 263.905,36);c) ritennero che la differenza tra quest'ultimo valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 di C 263.905,36 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data di C 108.776,00 - differenza pari a C 155.129,00 - «costituisce "vendite effettuate senza emissione di scontrino fiscale"»;d) in considerazione della rilevanza di tale importo, ritennero che la corrispondente «omissione dei Ricavi [fosse] relativa non al solo anno 2008, ma [fosse], invece, spalmabile negli anni 2004 - 2005 - 2006 - 2007 e frazione di anno 2008, in proporzione ai Ricavi dichiarati dalla parte»;e) in base a tale proporzione, calcolarono che la merce venduta senza l'emissione dello scontrino fiscale era stata pari a C 25.968,60 nel 2004, a C 27.411,30 nel 2005, a C 45.654,46 nel 2006, a C 31..460,16 nel 2007 e a C 24.634,48 dal 10 gennaio al 15 luglio 2008;f) applicarono, infine, a tali importi le percentuali di ricarico lorde, rispettivamente, del 30,97 per cento, del 28,08 per cento, del 22,38 per cento e del 19,68 per cento dichiarate dalla contribuente nelle dichiarazioni modelli Unico per gli anni 2004, 2005, 2006 e 2007 e la percentuale di ricarico lorda del 30 per cento rilevata al momento dell'accesso per il periodo dal 10 gennaio al 15 luglio 2008;g) ottennero, così, ricavi non dichiarati di C 34.011,00 nell'anno 2004, di C 35.108,00 nell'anno 2005, di C 55.872,00 nell'anno 2006, di C 37.651,00 nell'anno 2007 e di C 32.025,00 nel periodo dal 1° gennaio al 15 luglio 2008 (per un importo complessivo di C 194.667,00);sulla base di queste risultanze del processo verbale del 24 luglio 2008, l'Agenzia delle entrate notificò un avviso di accertamento delle maggiori IRPEF, Addizionali regionale e comunale all'IRPEF, IRAP e IVA dovute per l'anno d'imposta 2006;tale avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Napoli (hinc anche: «CTP») che, con la sentenza n. 18/14/2013 depositata il 7 gennaio 2013, accolse il ricorso della contribuente;avverso tale pronuncia, l'Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale della Campania (hinc anche: «CTR»), che lo accolse affermando che: a) dal riportato processo verbale del 24 luglio 2008, «appare evidente che l'affermazione contenuta nella motivazione della impugnata sentenza secondo cui i verbalizzanti avrebbero determinato i ricavi omessi negli anni 2004, 2005 e 2006 con metodo induttivo appare frutto di un evidente e clamoroso travisamento del fatto. In realtà, i funzionari dell'Agenzia delle entrate, avendo accertato all'atto della verifica ricavi non contabilizzati per € 194.667,00 (merce venduta senza scontrino, al costo, C 155.129,00, aumentata della percentuale di ricarico), anziché ritenere che tutta la merce fosse stata ceduta in evasione negli anni 2007-2008, avevano ripartito l'intero importo dei ricavi non contabilizzati per gli anni precedenti (2004-primo semestre 2008) così determinando, per ciascun anno, l'importo di ricavi non contabilizzati e di imposte evase. In altre parole, in luogo di caricare l'intero importo dei ricavi non contabilizzati sull'anno 2008 (ovvero su quello immediatamente precedente) si era ritenuto di ripartire il medesimo importo su più annualità, con una determinazione che appare se non vantaggiosa, quanto meno certamente neutra per il contribuente», sicché «non vi è stato alcun accertamento induttivo basato su congetture o ipotesi, ma solamente lo spalmamento dell'importo della merce accertata venduta senza scontrino su un numero maggiore di anni, con un'operazione che non aveva comportato alcun maggiore aggravio per il contribuente»;b) «la doglianza di merito prospettata dalla contribuente nel ricorso introduttivo era, senz'altro, insensata e incomprensibile» in quanto «[n]on è affatto vero - come affermato nel motivo di doglianza - che con riferimento all'anno 2006, sulle vendite contabilizzate, l'ufficio aveva applicato una percentuale di ricarico (44,42%) quasi doppia rispetto a quella dichiarata dalla parte (22,38%). Piuttosto, come si evince dai prospetti riportati in precedenza, alle vendite contabilizzate era stata aggiunta una quota parte delle vendite effettuate senza scontrino, calcolando su questa la medesima percentuale di ricarico dichiarata dalla parte per quell'anno»;c) «appare sicuramente strumentale e fuor di luogo riferire al 2006 situazioni di crisi del settore dell'abbigliamento verificatesi solo in epoche di gran lunga successive»;d) «[i]n presenza di un motivo di ricorso di merito palesemente inconsistente, l'avviso di accertamento impugnato, fin dall'inizio, necessariamente, doveva essere confermato»;e) «[I]a sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli aveva rigettato siccome infondate tutte le doglianze di carattere formale»;avverso tale sentenza della CTR — depositata 1'11 dicembre 2014 e non notificata — ricorre per cassazione A G, che affida il proprio ricorso, notificato 1'11 e il 10 giugno 2015, a otto motivi;l'Agenzia delle entrate, con sede in Roma, resiste con controricorso, notificato il 21 luglio 2015. Considerato che: preliminarmente, va dichiarata l'inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'economia e delle finanze, poiché privo di legittimazione passiva in quanto il procedimento è stato introdotto successivamente al 1° gennaio 2001, giorno in cui è divenuta operativa l'istituzione dell'Agenzia delle entrate, alla quale, per i procedimenti introdotti dopo detta data, spetta in via esclusiva la legittimazione ad causam e ad processum (per tutte, Cass., Sez. U, 14/02/2006, n. 3118);con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., la nullità del procedimento di appello o della sentenza impugnata per l'inesistenza o la nullità della notificazione del ricorso in appello poiché, in violazione degli artt. 16 e 17 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e degli artt. «330 C.P.C. 160 C.P.C. 291 C.P.C. 137 e SS C.P.C.», la stessa era stata effettuata «direttamente presso l'abitazione dell'odierna ricorrente, in via dell'Eremo 55, Napoli, nonostante nel giudizio di primo grado [..] la sig.ra G avesse eletto domicilio presso lo studio del dott. D M, che la rappresentava e difendeva nel primo grado di giudizio», con la conseguente violazione anche del principio del contraddittorio, di cui all'art. 101 cod. proc. civ., e dell'art. 327 cod. proc. civ.;con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., che quanto rilevato con riferimento al primo motivo comporta che la CTR ha altresì violato o falsamente applicato gli artt. «330 C.P.C. 170 C.P.C. 291 C.P.C. 137 e SS C.P.C.», il principio del contraddittorio, di cui all'art. 101 cod. proc. civ., e l'art. 327 cod. proc. civ.;con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., che «[l]e considerazioni svolte integrano, altresì, anche la violazione [ditale] tale] norma [..] sotto il profilo dell'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio», in quanto «MI corretto esame degli atti processuali avrebbe dovuto indurre la commissione [..] a dichiarare l'inammissibilità e/o l'improcedibilità del gravame»;con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 167, primo comma, dello stesso codice, degli artt. 2697, 2729 e 2217 cod. civ. e dell'art. 39, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600: a) per avere la CTR «nega[to] la natura induttiva della verifica eseguita, ex art. 39 comma 2 DPR 600/73 da parte dell'Ufficio» (come risulterebbe dalle affermazioni che: «[i]n realtà, i funzionari dell'Agenzia delle entrate, avendo accertato all'atto della verifica ricavi non contabilizzati per C 194.667,00 (merce venduta senza scontrino, al costo, C 155.129,00, aumentata della percentuale di ricarico), anziché ritenere che tutta la merce fosse stata ceduta in evasione negli anni 2007-2008, avevano ripartito l'intero importo dei ricavi non contabilizzati per gli anni precedenti (2004- primo semestre 2008) così determinando, per ciascun anno, l'importo di ricavi non contabilizzati e di imposte evase. In altre parole, in luogo di caricare l'intero importo dei ricavi non contabilizzati sull'anno 2008 (ovvero su quello immediatamente precedente) si era ritenuto di ripartire il medesimo importo su più annualità, con una determinazione che appare se non vantaggiosa, quanto meno certamente neutra per il contribuente», sicché «non vi è stato alcun accertamento induttivo basato su congetture o ipotesi, ma solamente lo spalmamento dell'importo della merce accertata venduta senza scontrino su un numero maggiore di anni, con un'operazione che non aveva comportato alcun maggiore aggravio per il contribuente»);b) perché, «ome[ttendo] di rilevare che oggetto del giudizio non era costituito dal processo verbale di constatazione [...] ma dall'avviso di accertamento», «da[ndo] per presupposto che non vi sia stata alcuna verifica degli elementi contabili riguardo ai redditi per l'anno 2006», non considerando che «il principio dello "spalmamento" di imposta non trova riscontro né contabile né normativo e viola i più elementari principi di diritto in materia di inventario non apparendo giustificabile neppure sotto il profilo logico induttivo» e spendendo «[a]podittiche [..] argomentazioni [che] censurano le doglíanze di merito del contribuente sollevate in primo grado», la stessa CTR ha violato o falsamente applicato: b.1) gli artt. 167 (primo comma) e 115 (primo comma) cod. proc. civ. in relazione al fatto che «[n]el caso di specie la controversia oggetto del giudizio andava ristretta all'accertamento fatto con metodo induttivo dei redditi per l'anno 2006»;b.2) gli artt.2697 e 2729 cod. civ., «laddove dà per provati i fatti (nella specie relativi al sistema delle presunzioni con riferimento all'accertamento operato dall'Agenzia ed al PVC) in virtù di criteri e metodi [che] erano stati oggetto di espressa contestazione da parte del contribuente ed oggetto di motivato accoglimento in prima istanza»;b.3) l'art. 2217 (primo comma) cod. civ. che «rappresenta la natura di documento a formazione progressiva e stratificata [dell'inventario] quale storico dell'impresa», il quale, quindi, «va letto in relazione all'intera evoluzione dell'arco produttivo dell'impresa e non può essere ridotto a mero simulacro rappresentativo di una annualità»;con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell'art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 e dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 nonché «avviso di accertamento - invalidità - vizio di motivazione - illogicità - art. 111 Cost. - violazione - sussistenza», per avere la CTR ritenuto la validità dell'avviso di accertamento impugnato nonostante fosse motivato per relationem al processo verbale e nonostante quest'ultimo atto non desse «minimamente conto delle ragioni di fatto e di diritto che avrebbero determinato maggiori redditi per l'esercizio 2006» nonché per avere omesso di annullare, per le dette ragioni, lo stesso avviso e, conseguentemente, di disconoscere l'obbligazione tributaria;con il sesto motivo (contrassegnato con la lettera «C» ed esposto alle pagine da 36 a 39 del ricorso), la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell'art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 nonché «avviso di accertamento - invalidità - vizio di motivazione - illogicità - art. 111 Cost. - violazione - sussistenza», per avere la CTR ritenuto la validità dell'avviso di accertamento impugnato nonostante fosse stato adottato, ai sensi dell'invocato secondo comma dell'art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, senza che nella specie sussistesse alcuno dei casi che legittimano l'ufficio a ricorrere a tale metodo di accertamento induttivo cosiddetto puro;con il settimo motivo (contrassegnato anch'esso con la lettera «C», ma esposto alle pagine da 39 a 50 del ricorso), la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la «nullità della sentenza» e l'«erronea applicazione» dell'art. 2729 cod. civ., in quanto: a) la CTR «si è limitat[a] ad un acritico riferimento al contenuto del verbale degli agenti verificatori mentre avrebbe dovuto elaborare e ricostruire un proprio accertamento in via autonoma e índípendente», atteso che «[p]er poter condividere le risultanze contenute nel verbale non è [...] sufficiente riferirsi pedissequamente alle risultanze dello stesso ma è necessario esporre in maniera compiuta i motivi che hanno portato il giudicante alle stesse conclusioni dell'organo accertatore»;b) premesso che «firutilizzo del metodo analitico induttivo puro richiede [4 che le prove logiche siano dotate dei requisiti di precisione, gravità e concordanza di cui all'art. 2729 c.c.», la CTR ha applicato tale norma nonostante la mancanza, nella specie, dei suddetti requisiti, come comprovato, in particolare, dal fatto che l'ufficio ha applicato alla merce venduta nel 2006 la percentuale di ricarico del 45,66 per cento, superiore di oltre 23 punti percentuali a quella del 22,38 per cento effettivamente da lei applicata;con l'ottavo motivo (contrassegnato con la lettera «D» ed esposto alle pagine da 39 a 53 del ricorso), la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione degli artt. 92, comma 7, e 110, comma 8, del d.P.R. n. 917 del 1986, degli artt. 2417 e 2423-bis cod. civ. e degli artt. 23 e 53 Cost., in quanto, basando l'accertamento dei maggiori ricavi sulla differenza tra il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla data del 16 luglio 2008 e il valore delle rimanenze contabili alla stessa data e ripartendo tali ricavi dal 2004 al 2008, l'«Ufficio»: a) non ha «ten[uto] conto delle differenze tra rimanenze iniziali e finali di ciascun esercizio in ossequio al principio della continuità dei valori di bilancio [..] statuito dagli artt. 92 co 7 del TUIR e 2423 bis c.c.»;b) ha violato «l'art. 110 co 8 del TUIR nella parte in cui dispone che la rettifica da parte dell'ufficio delle valutazioni fatte dal contribuente in un esercizio ha effetto anche per gli esercizi successivi»;c) «ha operato un'illegittima duplicazione di imposta in violazione di quanto disposto dagli artt. 23 e 53 Cost.»;i primi tre tre motivi - in quanto concernenti tutti la questione della validità (o no) della notificazione del ricorso in appello dell'Agenzia delle entrate in relazione al luogo di esecuzione di essa - possono essere esaminati congiuntamente;poiché i vizi denunciati attengono all'asserita inosservanza di norme processuali, questa Corte, essendo giudice anche del "fatto processuale", ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti del processo indicati dalle parti;dall'esame di tali atti risulta che: a) nel ricorso introduttivo del giudizio era indicato che esso era proposto «[n]ell'interesse di G A nata a Napoli (NA) il 24/07/1956, nella qualità di titolare della omonima ditta individuale, C.F. GDUNNA56L64F839X - P. IVA 04691590634, assistita e difesa dal dott. D M - con studio in Bacoli (NA) alla via Mozart n. 68 - iscritto all'Albo dei Dottori Commercialisti di Napoli - come da mandato in calce al presente ricorso», il quale (mandato) aveva il seguente tenore: «Delego a rappresentarmi e difendermi ai sensi dell'art. 12 d.lgs. 546/92 nel presente giudizio il dott. D M, iscritto all'Albo dei Dottori Commercialisti di Napoli, con ogni facoltà istruttoria, con facoltà di sostituire a sé altri professionisti abilitati e con espressa facoltà di definire la vertenza a norma dell'art. 48 d.lgs. 546/92»;b) il 26 giugno 2013, l'Agenzia delle entrate depositò il ricorso in appello, con la relazione di notificazione di esso, il 14 giugno 2013, nelle mani proprie di A G;c) con l'ordinanza n. 1386/23/14, emessa all'udienza del 21 ottobre 2014, la CTR, premesso che «[/]'ufficio chiede breve rinvio per dimostrare prova di nuovo indirizzo difensore per chiedere di riaprire í termini per una nuova notifica dell'appello», dispose: rinvia a N.R. e concede 30 gg all'ufficio per il deposito della prova»;c) il 29 ottobre 2014, l'Agenzia delle entrate, «[i]n risposta [a tale] ordinanza», dopo avere premesso che «[I]'appello è stato inviato per notifica al difensore eletto presso l'indirizzo risultante dall'albo del consiglio nazionale dei dottori commercialisti e precisamente in via Selvatico II Trav. 108 - 80070 Bacoli (NA), (vedasi interrogazione effettuata in data 29/052013 - allegato 1)» e che «anche dalla banca dati dell'Anagrafe Tributaria relativa al contribuente alla data del 21/10/2014 risulta come luogo d'esercizio sempre lo stesso indirizzo», chiedeva alla CTR di «[d]ichiarare valida ed efficace la notifica dell'atto di appello avendo l'Ufficio provveduto a notificare, correttamente, lo stesso anche al contribuente»;d) all'udienza del 2 dicembre 2014, la CTR, «[i]n via preliminare [..], preso atto della risposta documentata dell'ufficio all'ordinanza n° 1383/23/14 emessa all'udienza 21/10/2014, dichiar[ò] valida ed efficace la notifica dell'atto di appello»;così ricostruito il "fatto processuale", occorre rammentare che, con la sentenza 20/07/2016, n. 14916, le Sezioni unite di questa Corte, superando l'orientamento precedentemente espresso da Cass., Sez. U., 15/12/2008, n. 29290, hanno asserito che «non esistono ragioni normative che impongano di affermare che l'art. 17 [del d.lgs. n. 546 del 1992] si riferisce esclusivamente alle notificazioni endoprocessuali» e che, anzi, sia la previsione dell'ultrattività dell'indicazione della residenza o della sede e dell'elezione del domicilio di cui al comma 2 dello stesso art. 17 sia «esigenze di coerenza sistematica» inducono alla conclusione dell'applicabilità della disposizione di tale articolo, in quanto speciale rispetto all'art. 330 cod. proc. civ. e, quindi, su di esso prevalente, anche alla notificazione del ricorso in appello (nello stesso senso, Cass., 17/02/2017, n. 4233, 06/06/2018, n. 14549, 11/06/2019, n. 15630);posto tale principio - che il collegio condivide e al quale intende, perciò, dare continuità - l'art. 17 del d.lgs. n. 546 del 1992, sotto la rubrica «Luogo delle comunicazioni e notificazioni», stabilisce che «[l]e comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all'atto della sua costituzione in giudizio. Le variazioni del domicilio o della residenza o della sede hanno effetto dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata alla segreteria della commissione e alle parti costituite la denuncia di variazione [comma 1]. L'indicazione della residenza o della sede e l'elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo [comma 2]. Se mancano l'elezione di domicilio o la dichiarazione della residenza o della sede nel territorio dello Stato o se per la loro assoluta incertezza la notificazione o la comunicazione degli atti non è possibile, questi sono comunicati o notificati presso la segreteria della commissione [comma 3]»;tanto premesso in punto di "fatto processuale" e di diritto, si deve altresì precisare che, nel valutare il "fatto processuale" ai fini del giudizio in ordine alla validità della notificazione del ricorso in appello sotto il profilo del luogo di effettuazione di essa, questa Corte ha il potere-dovere di (ri)esaminare lo stesso "fatto" nella sua interezza, avendo riguardo, cioè, a tutte le notificazioni effettuate dall'appellante, a prescindere dalla valutazione che di esse abbia dato il giudice del secondo grado;tutto ciò premesso, tornando al caso di specie, dall'esame degli atti del giudizio di secondo grado risulta che il 26 giugno 2013 l'Agenzia delle entrate depositò il ricorso in appello, con la relazione di notificazione di esso, il 14 giugno 2013, nelle mani proprie di A G;tale perfezionata notificazione del ricorso in appello è conforme alle disposizioni dell'art. 17 del d.lgs. n. 546 del 1992 - applicabile, come s'è detto, alla notificazione del ricorso in appello avverso le sentenze delle commissioni tributarie provinciali - atteso che detto articolo, là dove, al comma 1, fa «salva la consegna in mani proprie», consente tale modalità di notificazione in ogni caso, anche in presenza di un'elezione di domicilio (tra le tante, Cass., 20/04/2007, n. 9381, 17/02/2010, n. 3746, 20/01/2017, n. 1528);da ciò l'infondatezza dei primi tre motivi;in ordine di priorità logico-giuridica, va ora esaminato il quinto motivo;tale motivo è inammissibile;l'inammissibilità discende dal fatto che, premesso che la questione del difetto di motivazione dell'avviso di accertamento impugnato (in quanto motivato per relationem al processo verbale e in quanto quest'ultimo atto non darebbe comunque conto dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che avevano determinato la ripresa a tassazione) e dei conseguenti omessi annullamento dello stesso avviso e disconoscimento dell'obbligazione tributaria è estranea alla sentenza impugnata - sicché, ove mai fosse stata ritualmente introdotta nel giudizio di merito, la ricorrente avrebbe dovuto denunciare, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4) (e non n. 3), cod. proc. civ., la violazione dell'art. 112 dello stesso codice - il motivo è, in ogni caso, privo di autosufficienza, giacché, ai fini del rispetto di tale principio, la stessa ricorrente avrebbe dovuto almeno indicare in quali atti del giudizio di merito (e in quale punto degli stessi) avesse prospettato la predetta questione (a norma dell'art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ.) e allegare gli stessi atti al ricorso (a norma dell'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.) nonché allegare al ricorso (sempre a norma dell'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.) l'avviso di accertamento, oneri che non sono stati adempiuti;passando all'esame del quarto motivo, il primo profilo, indicato sub a), non è fondato;dalla lettura delle riportate contestate affermazioni risulta infatti evidente che, con l'asserire, sulla premessa della prima di esse, che «non vi è stato alcun accertamento induttivo basato su congetture o ipotesi, ma solamente lo spalmamento dell'importo della merce accertata venduta senza scontrino su un numero maggiore di anni, con un'operazione che non aveva comportato alcun maggiore aggravio per il contribuente», la CTR - contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente — non ha negato che l'atto impugnato fosse un accertamento induttivo ai sensi del secondo comma dell'art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, ma soltanto che tale accertamento fosse «basato su congetture o ipotesi» mere, confermando, in particolare, la legittimità della ripartizione su più anni (dal 2004 al 2008) delle vendite in evasione d'imposta di merce per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data;il secondo profilo, indicato sub b.1), non è fondato;contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente, l'oggetto della causa decisa dalla CTR è stato costituito dall'avviso di accertamento delle maggiori IRPEF, Addizionali regionale e comunale all'IRPEF, IRAP e IVA dovute per l'anno d'imposta 2006 (come risulta, in modo irrefutabile, dalle affermazioni della CTR che: «G A [..] aveva proposto ricorso avverso l'avviso di accertamento n. TF3010900766/2010 [...] avente per oggetto IRPEF, addizionale regionale e comunale, contributi previdenziali, IRAP e IVA per l'anno 2006»;«[n]on è affatto vero [..] che con riferimento all'anno 2006, sulle vendite contabilizzate, l'ufficio aveva applicato una percentuale di ricarico (44,42%) quasi doppia rispetto a quella dichiarata dalla parte (22,38%). Piuttosto, [..]»;c) «appare sicuramente strumentale e fuor di luogo riferire al 2006 situazioni di crisi del settore dell'abbigliamento verificatesi solo in epoche di gran lunga successive»);i riferimenti operati dalla CTR alle risultanze del processo verbale del 24 luglio 2008 relativamente alla determinazione del valore, al costo, delle rimanenze effettive alla data del 16 luglio 2008 e al valore delle rimanenze contabili alla stessa data sono giustificati dal fatto che, poiché l'amministrazione finanziaria aveva ritenuto che le vendite senza emissione di scontrino, per un importo pari alla differenza tra detti due valori, per il loro rilevante ammontare, dovessero essere ripartite su più anni, a partire dal 2004, l'impugnato avviso di accertamento per l'anno 2006 trovava il proprio presupposto nelle suddette risultanze;per ragioni di connessione, il terzo profilo del motivo, indicato sub b.2), verrà esaminato congiuntamente al settimo motivo;il quarto profilo, indicato sub b.3), non è fondato;con tale profilo, la ricorrente denuncia che la ripartizione (o «spalmamento») su più anni (dal 2004 al 2008) delle vendite in evasione d'imposta di merce per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data violerebbe l'art. 2217 (primo comma) cod. civ. in materia di redazione dell'inventario e, come si evince dalla lettura del complesso del motivo, «non [sarebbe] giustificabile neppure sotto il profilo logico induttivo»;anzitutto, non sussiste la denunciata violazione o falsa applicazione dell'art. 2217 (primo comma) cod. civ.;infatti, posto che tale comma (secondo cui «firinventario deve redigersi all'inizio dell'esercizio dell'impresa e successivamente ogni anno, e deve contenere l'indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all'impresa, nonché delle attività e delle passività dell'imprenditore estranee alla medesima») stabilisce, da un lato, l'obbligo di redazione dell'inventario all'inizio dell'esercizio dell'impresa e, successivamente, con cadenza annuale e, dall'altro lato, il contenuto di tale scrittura contabile - che deve indicare le attività e le passività dell'impresa, con le relative valutazioni, e, (per l'imprenditore individuale), le attività e le passività estranee alla stessa - la sentenza impugnata non contiene alcuna affermazione, neppure implicita, che neghi il predetto obbligo o che ne affermi una diversa cadenza temporale o un diverso contenuto rispetto a quelli previsti dal l'invocata disposizione codicistica;l'argomentazione della ricorrente secondo cui lo stesso comma «rappresenta la natura di documento a formazione progressiva e stratificata [dell'inventario] quale storico dell'impresa», il quale, quindi, «va letto in relazione all'intera evoluzione dell'arco produttivo dell'impresa e non può essere ridotto a mero simulacro rappresentativo di una annualità», lungi dall'essere idonea a contrastarla, è, in realtà, coerente con la ripartizione su più anni delle vendite in evasione d'imposta di merce per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data;tale ripartizione non è censurabile neppure «sotto il profilo logico induttivo» atteso che non può reputarsi contrario a logica che, dalla considerazione del relativo rilevante ammontare (C 155.129,00) delle accertate vendite di merce in evasione d'imposta per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008 e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data, si pervenga a ritenere che le stesse vendite (e, conseguentemente, i ricavi di esse) non siano avvenute tutte nel periodo 1° gennaio/15 luglio 2008 ma, ragionevolmente, anche negli anni precedenti, in proporzione ai ricavi per essi dichiarati;a tale conclusione non si oppongono i principi della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, «[Un tema di accertamento induttivo ex art. 39, secondo comma, del d.P.R. n.600 del 1973, l'irrilevanza della fonte di acquisizione e notizie non consente all'Ufficio di prescindere dall'inerenza di questi ad un determinato specifico periodo d'imposta, attesa l'autonomia di ciascun periodo d'imposta, con la conseguente illegittimità della presunzione della costanza di reddito in anni diversi da quello per il quale è stata accertata la produzione di un determinato reddito» (Cass., 21/12/2007, n. 27008, 21/11/2019, n. 30378) e secondo cui, «[i]n tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'adozione del criterio induttivo di cui all'art. 39, secondo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 impone all'Ufficio l'utilizzazione di dati e notizie inerenti al medesimo periodo d'imposta al quale l'accertamento si riferisce: non è pertanto censurabile l'affermazione del giudice tributario, il quale abbia annullato l'accertamento, escludendo la possibilità di desumere il reddito relativo ad un'annualità d'imposta da quello conseguito in anni precedenti, in quanto incombe all'Ufficio l'onere di fornire elementi in senso contrario, risultando insufficiente a tal fine la mera affermazione secondo cui l'accertamento è sorretto da "criteri ragionevoli"» (Cass., 12/03/2008, n. 6579, 02/12/2016, n. 24709), atteso che tali principi escludono che l'amministrazione finanziaria, utilizzando dati e notizie relativi ad anni d'imposta diversi da quello al quale si riferisce l'avviso di accertamento, possa «presu[mere] la costanza di reddito in anni diversi da quello per il quale è stata accertata la produzione di un determinato reddito» (Cass., n. 27008 del 2007 e n. 30378 del 2019) o «desumere il reddito relativo ad un'annualità d'imposta da quello conseguito in anni precedenti» (Cass., n. 6579 del 2008 e n. 24709 del 2016), ma non che la stessa amministrazione possa ritenere - come nella specie - che vendite di merce che si sia accertato essere avvenute in evasione d'imposta per un valore pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili a una determinata data e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data non siano avvenute tutte nell'anno in cui tale differenza è stata verificata ma anche negli anni precedenti;l'avere l'ufficio operato la contestata ripartizione, in luogo di ascrivere tutte le accertate vendite di merce in evasione d'imposta (e i relativi ricavi) al solo periodo 10 gennaio/15 luglio 2008, non ha peraltro comportato - come osservato dalla CTR - un aggravio per il contribuente e, anzi, deve ritenersi essersi tradotto in un esito per lui più favorevole;pertanto, il quarto motivo non è fondato nel suo primo, secondo e quarto profilo (indicati, rispettivamente, sub a, b.1 e b.3);il sesto motivo è inammissibile;l'inammissibilità discende dal fatto che, premesso che la questione se, nella specie, sussistesse o no uno dei casi che legittimano l'ufficio a ricorrere all'accertamento induttivo cosiddetto puro, ai sensi del secondo comma dell'art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, è estranea alla sentenza impugnata - sicché, ove mai fosse stata ritualmente introdotta nel giudizio di merito, la ricorrente avrebbe dovuto denunciare, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4) (e non n. 3), cod. proc. civ., la violazione dell'art. 112 dello stesso codice - il motivo è, in ogni caso, privo di autosufficienza, giacché, ai fini del rispetto di tale principio, la stessa ricorrente avrebbe dovuto almeno indicare in quali atti del giudizio di merito (e in quale punto degli stessi) avesse prospettato la predetta questione (a norma dell'art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ.) nonché allegare gli stessi atti al ricorso (a norma dell'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.), oneri che non sono stati adempiuti;si deve ora passare all'esame del settimo motivo, il quale, come si è anticipato, viene scrutinato congiuntamente al terzo profilo del quarto motivo;è infondato il secondo profilo del settimo motivo (indicato sub b);l'avviso di accertamento impugnato è stato adottato ai sensi dell'invocato secondo comma dell'art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, il quale - come si è visto - dà all'ufficio la facoltà di «avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma», cioè dei requisiti di gravità, precisione e concordanza;da ciò l'infondatezza del profilo, atteso che, con lo stesso, la ricorrente ha lamentato la mancanza dei suddetti requisiti in relazione a una fattispecie per la quale essi non sono richiesti;per la stessa ragione, è infondato anche il terzo profilo del quarto motivo, nella parte in cui fa riferimento alla violazione o falsa applicazione dell'art. 2729 cod. civ.;non ha pregio la doglianza della ricorrente secondo cui l'ufficio avrebbe applicato alla merce venduta nel 2006 la percentuale di ricarico del 45,66 per cento (superiore di oltre 23 punti percentuali a quella del 22,38 per cento effettivamente da lei applicata), atteso che, dalla lettura del processo verbale, riportato nella sentenza impugnata - e come da questa correttamente affermato - risulta che l'ufficio calcolò nel 22,38 per cento la percentuale di ricarico applicata dalla contribuente (rapportando il costo del venduto di C 240.000,00 alle vendite contabilizzate di C 262.468,00 «+ adeguamento studio di settore 31.249,00 = 293.717,00») e applicò poi tale percentuale del 22,38 per cento anche alle vendite ritenute effettuate senza l'emissione dello scontrino;il primo profilo del settimo motivo e il terzo profilo del quarto motivo, nella parte in cui fa riferimento alla violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., sono fondati;a proposito dell'effettuazione di vendite senza emissione di scontrino per l'importo, al costo, di C 155.129,00 (pari alla differenza tra il valore delle rimanenze contabili al 16 luglio 2008, determinato in C 263.905,36, e il valore, al costo, delle rimanenze effettive alla stessa data, calcolato in C 108.776,00) - vero punto focale della ripresa a tassazione, dal quale è poi scaturito il recupero a tassazione di maggiori ricavi non dichiarati per complessivi C 194.667,00 (di cui C 55.872,00 imputati all'anno 2006) - la sentenza impugnata afferma (solo) che «i funzionari dell'Agenzia delle entrate, ave[vano] accertato all'atto della verifica ricavi non contabilizzati per C 194.667,00 (merce venduta senza scontrino, al costo, C 155.129,00, aumentata della percentuale di ricarico)»;con tale affermazione, la CTR, proprio, come si è detto, con riguardo al punto focale della ripresa a tassazione: a) da un lato, si è limitata ad aderire alla tesi dell'ufficio (neppure compiutamente esposta), senza fornire, neanche sinteticamente, le ragioni di tale condivisione né del superamento delle contrapposte tesi della contribuente;b) dall'altro lato, ha dato per assunto il fondamento della pretesa tributaria, che l'amministrazione finanziaria aveva invece l'onere di provare (Cass., 24/07/2002, n. 10802, 09/02/2004, n. 2433, 13/02/2006, n. 3106, 11/06/2009, n. 13509);per questo, la sentenza impugnata, rispettivamente: a) risulta corredata di una motivazione solo apparente, in quanto non idonea a evidenziare gli elementi che hanno giustificato il convincimento del giudice, con la conseguente sussistenza della denunciata nullità di essa (non assumendo rilievo, a fronte dell'esplicito riferimento a tale vizio, l'inesatta indicazione, nella rubrica del settimo motivo, dell'ipotesi di cui al n. 3, anziché di quella di cui al n. 4 del primo comma dell'art.360 cod. proc. civ.);b) finisce con negare, ancorché implicitamente, l'onere dell'amministrazione finanziaria di provare il fondamento della pretesa tributaria, incorrendo, perciò, nella violazione dell'art. 2697, primo comma, cod. civ., denunciata con il terzo profilo del quarto motivo;l'ottavo motivo di ricorso è assorbito dall'accoglimento del terzo profilo del quarto motivo e del primo profilo del settimo motivo;in conclusione, il quarto e il settimo motivo devono essere parzialmente accolti, in relazione, rispettivamente, al loro terzo e primo profilo, gli ulteriori profili di tali motivi e il primo, il secondo e il terzo motivo devono essere rigettati e il quinto e il sesto motivo devono essere dichiarati inammissibili, assorbito l'ottavo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione agli accolti terzo profilo del quarto motivo e primo profilo del settimo motivo e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che dovrà anche provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
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