Cass. civ., SS.UU., sentenza 14/11/2003, n. 17209

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In tema di patto di proroga della giurisdizione in favore di uno degli Stati contraenti, ai sensi dell'art. 17 della Convenzione concernente la competenza e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968 (e resa esecutiva con la legge 21 giugno 1971, n. 804), la validità della clausola con cui le parti abbiano convenuto la competenza esclusiva di un giudice o dei giudici di uno Stato contraente a conoscere delle controversie nate da un determinato rapporto giuridico, deve essere valutata - come statuito dalla Corte di giustizia CE, cui spetta il compito di pronunciarsi sull'interpretazione della Convenzione - solo in base a considerazioni collegate ai requisiti previsti dalla citata norma convenzionale. Deve pertanto escludersi che, ai fini della validità del patto di proroga, nello Stato designato debba avere domicilio una delle parti, dal momento che tale limitazione al potere dispositivo delle parti non è posta dalla citata norma e, nel mutato quadro normativo derivante dall'entrata in vigore della legge 31 maggio 1995, n. 218, neppure può essere considerata rispondente ai principi che regolano i rapporti tra la nostra giurisdizione e quella dei giudici stranieri.

La deroga convenzionale alla giurisdizione del giudice italiano in favore di quella di uno degli Stati membri, pattuita ai sensi e modi previsti dall'art. 17 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (resa esecutiva con la legge 21 giugno 1971, n. 804), opera anche con riguardo alle controversie che l'ordinamento italiano devolve alla competenza funzionale del giudice del lavoro, atteso che l'inderogabilità di tale competenza vale nell'ambito delle controversie spettanti alla cognizione del giudice italiano e non può quindi interferire sui criteri di attribuzione della giurisdizione.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 14/11/2003, n. 17209
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17209
Data del deposito : 14 novembre 2003

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. G A - Primo Presidente f.f. -
Dott. D V - Presidente di Sezione -
Dott. R E - Consigliere -
Dott. P G - Consigliere -
Dott. S F - Consigliere -
Dott. A E - Consigliere -
Dott. V U - Consigliere -
Dott. L M G - Consigliere -
Dott. M G r - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
I FRMETECHNICK G.m.b.h., in persona del suo legale rappresentante sig. R R, avente sede in Austria ed elettivamente, domiciliata in Roma, Piazza S. Lorenzo in Lucina in. 4, presso l'avv. C F, che con gli avvocati M R e R R lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale autenticata in data 23 gennaio 2002 dal notaio H S di St. P"lten Nieder"sterreich con atto n. 172/02 di Repertorio;



- ricorrente -


contro
S P, elettivamente domiciliato in Roma, Via Antonelli, n. 47, presso l'avv. Nicola D'Agostino, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale autenticata in data 15 febbraio 2002 da notaio M C di Bari (Rep. n. 93685);



- controricorrente -


avverso La sentenza emessa dalla Corte d'appello di Bari n. 1058/01 del 22 novembre 2001, notificata il 3 dicembre 2001;

udita, nella pubblica udienza del 2 ottobre 2003, la relazione del dott. Giuseppe Marziale;

uditi, per le parti, gli avvocati Rudek, Resca e D'Agostino;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale dott. Domenico Jannelli, il quale ha concluso per il rigetto del primo motivo e per il rinvio degli altri alla sezione semplice competente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1) Con ricorso depositato il 17 novembre 1995 e notificato il 20 gennaio 1996,il signor Stefano P conveniva in giudizio la Isoplus Fernwarmetechnick G.m.b.h. (d'ora in poi Società), innanzi al Pretore (successivamente Tribunale) del lavoro di Bari chiedendone la condanna al pagamento della complessiva somma di L. 2.876.670.929, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di risarcimento danni per inadempienze contrattuali di vario tipo e natura.
Il ricorrente, premesso di essere legato alla Società da un contratto di rappresentanza commerciale, esponeva:
- che con detto contratto, stipulato per iscritto il 5 luglio 1991, la Società lo aveva autorizzato a vendere "in nome e per suo conto" i propri prodotti per il territorio italiano, conferendogli pieni poteri decisionali e gestionali e impegnandosi, tra l'altro, a non operare "alcun tipo di interferenza" nella sua attività, anche attraverso terzi;

- che con lo stesso contratto si era convenuto che nel corso dei primi cinque anni sarebbe stato realizzato un fatturato di 75.000.000 scellini austriaci (corrispondenti, all'epoca, a circa otto miliardi di lire) e che la Società si era altresì impegnata: a) a riconoscere, a titolo di corrispettivo l'intera differenza tra i prezzi effettivamente ottenuti e quelli di listino;
b) a comunicare entro tre giorni, in caso di rinuncia ad eventuali affari proposti da esso ricorrente, i motivi di tale rinuncia;

- che la Società aveva assunto fin dall'inizio un atteggiamento apertamente contrario a tali obblighi e ai più generali doveri di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto: a) rendendo impossibile sistematicamente gli affari proposti, con la richiesta di prezzi di vendita molto superiori a quelli della concorrenza;
b) rendendosi inadempiente in tutto o in parte ai contratti conclusi, mediante la consegna di materiale diverso da quello ordinato;
c) nominando il 1^ gennaio 1994 quale agente con deposito una società di Milano, in violazione del diritto di esclusiva.


1.1. La Società replicava deducendo, in via preliminare, il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana e l'incompetenza per materia del pretore di Bari quale giudice del lavoro. Ed assumendo comunque la totale infondatezza della domanda. Il difetto di giurisdizione del giudice italiano era prospettato deducendo: a) che la sede sociale non si trovava in Italia e che non era stato nominato, nel nostro paese, un rappresentante autorizzato a stare in giudizio a norma dell'art. 77 c.p.c.;
b) che le obbligazioni dedotte non dovevano essere eseguite in Italia;
c) che le parti avevano derogato per iscritto alla giurisdizione del giudice italiano, indicando come competente quello francese.

1.2. Il giudice adito disattendeva l'eccezione sul duplice rilievo:
a) che i crediti fatti valere in giudizio dal ricorrente dovevano essere adempiuti, ai sensi dell'art. 1182, terzo comma, c.c., presso il suo domicilio e, quindi, in Italia;
b) che la clausola di deroga alla giurisdizione era da ritenersi invalida, in considerazione di quanto disposto dall'art. 413 c.c. La domanda era, tuttavia. respinta per difetto di prova. 2) Il P proponeva appello, ribadendo la fondatezza delle proprie pretese.
La società si opponeva all'accoglimento del gravame e, costituendosi in giudizio, richiamava "tutte le deduzioni, produzione ed eccezioni svolte in primo grado", sottolineando che in quella fase di giudizio le deduzioni di merito erano state svolte "solo in subordine all'eccezione di giurisdizione proposta in via principale preliminare ed assorbente".
La Corte territoriale accoglieva l'appello senza pronunciarsi esplicitamente in punto di giurisdizione.
3) La Società chiede la cassazione di tale sentenza con cinque motivi di gravame, il primo dei quali per motivi di giurisdizione. Il P resiste con controricorso illustrato con memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE
4) Con il primo motivo di ricorso, la Società censura la sentenza impugnata sotto due distinti profili, prospettati in via gradata assumendo:
a) che la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sull'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano che, sollevata e respinta in primo grado, era stata riproposta nella successiva fase di giudizio ai sensi dell'art. 346 c.p.c.;

b) che, anche a voler ravvisare nella decisione adottata un'implicita statuizione di rigetto dell'eccezione, essa sarebbe ugualmente censurabile, sia per la mancanza di elementi idonei a fornire indicazioni sulle ragioni che l'avrebbero motivata, che (come si dirà tra breve) per l'erronea applicazione delle norme che fissano i limiti della giurisdizione del giudice italiano rispetto alla straniero.
Il resistente replica che la riproposizione dell'eccezione non era stata rituale, non essendo stata "specifica" come richiesto dal citato art. 346 c.p.c. Di qui la conclusione che, dovendo l'eccezione intendersi "rinunziata", la relativa questione non poteva (nè potrebbe in questa sede) essere più presa in considerazione. Tale assunto è però infondato. Se è indubbio, infatti, che ad integrare gli estremi di tale riproposizione non sarebbe sufficiente un richiamo generico delle deduzioni e conclusioni di primo grado (Cass. 16 maggio 1991 n. 4944;
30 maggio 1996, n. 5028;
19 ottobre 1995, n. 10884
), è altrettanto certo che detta riproposizione può avvenire in qualsiasi forma idonea ad evidenziare "in modo inequivoco" la volontà della parte di sottoporre la questione all'esame del giudice d'appello (Cass. 7 settembre 2000, n. 11797;
16 maggio 1998, n. 4944;
19 novembre 1996, n. 10119
). Orbene, dall'esame degli atti di causa (che, tenuto conto della natura del vizio denunziato, possono essere oggetto di diretta considerazione da parte di questa Corte: Cass. 19 febbraio 1996, n. 1262;
1 giugno 1995, n. 6142
) si ricava, come si è già posto in evidenza ("retro", par. 2), che la Società, con la comparsa di costituzione in appello, aveva fatto specifico richiamo all'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata nella precedente fase di giudizio.
Non vi è, quindi, dubbio che la riproposizione dell'eccezione in appello sia stata pienamente rituale. Nè vale osservare, in contrario, che nelle "conclusioni" della comparsa di risposta in appello la Società si sia limitata a chiedere il rigetto dell'appello, posto che nel valutare l'effettiva portata delle richieste formulate dalle parti deve tenersi conto del contenuto complessivo dell'atto nel quale sono contenute (Cass. 16 luglio 2002, n. 10314;
7 luglio 1997, n. 6100;
24 marzo 1987, n. 2857
). E che nel caso di specie, per quanto si è detto, dalla parte motiva della comparsa si ricava in modo inequivoco che la Società avesse inteso sottoporre tale questione anche al giudice d'appello.

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