Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 04/08/2005, n. 16417

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L'indennizzabilità dell'infortunio subito dall'assicurato sussiste anche nell'ipotesi di rischio improprio, non intrinsecamente connesso, cioè, allo svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro svolto dal dipendente, ma insito in un'attività prodromica e strumentale allo svolgimento delle suddette mansioni e, comunque, ricollegabile al soddisfacimento di esigenze lavorative, a nulla rilevando l'eventuale carattere meramente occasionale di detto rischio, atteso che è estraneo alla nozione legislativa di occasione di lavoro il carattere di normalità o tipicità del rischio protetto. Conseguentemente l'occasione di lavoro, di cui all'art. 2 d.P.R. n. 1124 del 1965, è configurabile anche nel caso di incidente occorso durante la deambulazione all'interno del luogo di lavoro. (Nella specie, la S.C., enunciando il suddetto principio, ha cassato con rinvio l'impugnata sentenza che, pur ammettendo l'estensione dell'occasione di lavoro anche in relazione agli eventi collegati in modo mediato e indiretto all'attività lavorativa, aveva ignorato che il rischio improprio comprendeva tutte le condotte connesse in modo strumentale all'attività lavorativa, ivi compresi gli spostamenti all'interno dell'azienda, come era accaduto nel caso di specie in cui la lavoratrice si era infortunata nel mentre saliva le scale per recarsi negli uffici siti al primo piano del luogo di lavoro).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 04/08/2005, n. 16417
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16417
Data del deposito : 4 agosto 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S S - Presidente -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. D M A - Consigliere -
Dott. C F - Consigliere -
Dott. N V - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:


VENTURELLI

Alessandrea, elettivamente domiciliata in Roma VIA

CARLO POMA

2, presso lo studio di ASSENNATO G. Sante, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
INAIL - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE

CONTRO

GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA IV NOVEMBRE

144, rappresentato e difeso dagli avvocati C A, G D F, R R, giusta procura speciale atto notar CARLO FEDERICO TUCCARI di ROMA del 29/04/03, rep. 62448;

- resistente con procura -
avverso la sentenza n. 39/02 del Tribunale di MODENA, depositata il 10/04/02 r.g.n. 8/99;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 05/05/05 dal Consigliere Dott. V N;

udito l'Avvocato ASSENNATO;

udito l'Avvocato RASPANTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO

Riccardo che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 23-12-1998 il Pretore di Modena condannava l'Inail a corrispondere ad Alessandra V la indennità per inabilità temporanea assoluta dal 3-3-1995 al 13-10-1995, con riferimento all'infortunio occorsole in data 3-3-1995, allorché, quale impiegata del Consorzio ATCM di Modena, mentre stava salendo le scale per recarsi negli uffici al primo piano, scivolava battendo la zona sacrale, la spalla e la mandibola.
Osservava il primo giudice che l'infortunio era avvenuto in occasione del lavoro e che il periodo di inabilità temporanea era stato riconosciuto dal CTU, mentre doveva essere respinta la richiesta di rendita in quanto i postumi permanenti accertati dallo stesso consulente erano inferiori al minimo indennizzabile (6-7%). Sull'appello dell'Inail, il Tribunale di Modena, con sentenza depositata il 10-4-2002, in riforma della sentenza pretorile rigettava tutte le domande attrici e compensava le spese del doppio grado.
In particolare il Tribunale rilevava:
che la occasione di lavoro presuppone comunque "un nesso eziologico, quantomeno mediato e indiretto, tra evento lesivo e prestazioni del dipendente";

che "il quadro emerso dall'unica deposizione testimoniale nulla aveva consentito di appurare in tal senso, semplicemente delineando una situazione di rischio tanto generico quanto giuridicamente insignificante, proprio di quegli spostamenti a piedi da un luogo ad un altro che fanno parte dei normali comportamenti di ogni essere umano";

dovuto, se non avesse già iniziato il lavoro, percorrere le scale, ciò rientra nella fattispecie infortunistica e quindi comporta l'indennizzo".
Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata, infatti, non ha correttamente applicato i principi ripetutamente affermati da questa Corte di legittimità in materia di "occasione di lavoro" e di estensione della stessa anche alle ipotesi di "rischio improprio", incorrendo altresì in vizio di motivazione in ordine alla affermata insussistenza del nesso quanto meno mediato e indiretto richiesto.
Preliminarmente, sotto il primo profilo è evidente l'errore materiale nella indicazione dell'articolo 3, anziché 2, del d.p.r. 1124/1965, essendo, peraltro, chiara la censura di violazione di
legge sostanzialmente avanzata, mentre in relazione al secondo profilo il dedotto vizio di motivazione risulta ammissibile, pur non essendo stata riportata in ricorso la testimonianza de qua, risultando, nella specie, la stessa ampiamente riprodotta, anche testualmente, nella motivazione della impugnata sentenza, di guisa che già in base alla lettura della stessa è consentito il controllo di decisività della risultanza, prima ancora della verifica del vizio denunciato.
Tanto premesso, deve rilevarsi che questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui "l'indennizzabilità dell'infortunio subito dall'assicurato sussiste anche nell'ipotesi di rischio improprio, non intrinsecamente connesso, cioè, allo svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro svolto dal dipendente, ma insito in un 'attivita' prodromica e strumentale allo svolgimento delle suddette mansioni e, comunque, ricollegabile al soddisfacimento di esigenze lavorative, a nulla rilevando l'eventuale carattere meramente occasionale di detto rischio, atteso che è estraneo alla nozione legislativa di occasione di lavoro il carattere di normalità o tipicità del rischio protetto. " (v., fra le altre, Cass. 28-7- 2004 n. 14287, Cass. 7-4-2000 n. 4433, Cass. 11-2-2002 n. 1944 - quest'ultima in un caso di caduta dalle scale mentre la lavoratrice si recava a timbrare il cartellino delle presenze -). È stato altresì precisato che "la nozione di occasione di lavoro di cui all'art. 2 d.p.r. n. 1124 del 1965 implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento dell'attività lavorativa in modo diretto o indiretto (con il limite del cd. rischio elettivo) e, quindi, anche della esposizione al rischio insito in attività accessorie o strumentali allo svolgimento della suddetta attività, ivi compresi gli spostamenti spaziali compiuti dal lavoratore all'interno dell'azienda..." (v. fra le altre, Cass. 7-5- 2002 n. 6511, Cass. 22-4-2002 n. 5841). Pertanto, "in particolare l'occasione di lavoro è configuratile in caso di incidente occorso durante la deambulazione all'interno del luogo di lavoro, compreso il percorso compiuto per raggiungere il proprio posto di lavoro all'inizio della giornata lavorativa, come confermato dalla ormai espressamente prevista indennizzabilità degli infortuni occorsi durante i normali percorsi abitazione-posto di lavoro e, a certe condizioni, posto di lavoro-luogo di consumazione dei pasti (modifica degli art. 2 e 210 del d.p.r. n. 1124 del 1965, introdotta dall'art. 12 del D.lgs. n. 38 del 2000) (v. Cass. 10-1- 2001 n. 253). Tale essendo la disciplina di legge, anche nel regime anteriore al D.lgs. n. 38 del 2000, rileva la Corte che la sentenza impugnata non ha correttamente interpretato ed applicato i suddetti principi. Invero il Tribunale ha riscontrato che "le risultanze istruttorie si esauriscono nella deposizione resa da Giorgio Tartarini che ha riferito che era presente "all'ATCM di Modena per affari miei";
che, scendendo le scale, sentì un rumore e voltandosi, vide "la ricorrente in terra...dolorante";
che fu la stessa a dirgli "che lavorava là" e che "stava andando verso gli uffici che sono collocati al primo piano";
che "erano da poco passate le otto del mattino".
Tanto rilevato il Tribunale ha ritenuto che "il quadro emerso...nulla ha consentito di appurare" circa il "nesso eziologico, quanto meno mediato e indiretto, tra evento lesivo e prestazioni del dipendente", "semplicemente delineando una situazione di rischio tanto generico quanto giuridicamente insignificante" ed ha aggiunto che "ancorquando, in ipotesi, volesse ammettersi che le scale erano percorse per accedere agli uffici ove (era) collocato l'apparecchio marcatempo", "farebbe difetto, invero anche in tal caso, la specificità idonea a dissolvere la genericità del rischio", mentre, comunque, nessun elemento è emerso "quanto al luogo ove era diretta" la V, la quale "non ha assolto all'onere probatorio incombetele circa il fatto che la caduta sarebbe avvenuta durante lo svolgimento di un'attività resa indispensabile da quella lavorativa".
In tal modo l'impugnata sentenza, pur ammettendo la estensione della occasione di lavoro anche in relazione agli eventi collegati in modo mediato e indiretto all'attività lavorativa, ha, innanzitutto, ignorato che il rischio improprio comprende tutte le attività prodromiche e strumentali e comunque ricollegabili al soddisfacimento di esigenze lavorative, ivi compresi, in particolare, gli spostamenti all'interno dell'azienda.
Al di là, quindi, anche, del mancato riscontro, nella deposizione testimoniale, della circostanza di fatto secondo cui la V stesse salendo negli uffici superiori per timbrare il cartellino (circostanza, a fronte della quale, il rischio sarebbe stato, invero, connesso specificamente al relativo obbligo contrattuale) lo spostamento negli uffici al piano superiore, dopo l'inizio dell'orario di lavoro ("erano da poco passate le otto del mattino"), non poteva essere considerato puramente e semplicemente al pari di "quegli spostamenti a piedi da un luogo ad un altro che fanno parte dei normali comportamenti di ogni essere umano", così come ha ritenuto il Tribunale (sulla distinzione del rischio generico del comune cittadino utente, nel medesimo luogo, rispetto al rischio professionale del dipendente, cfr. Cass. 22-4-2002 n. 5841). D'altra parte, a ben vedere, la valutazione del rischio improprio, come sopra descritto, non richiedeva affatto la prova rigorosa "che la caduta sarebbe avvenuta durante lo svolgimento di un 'attivita' resa indispensabile da quella lavorativa" nel senso affermato dal Tribunale, essendo comunque tutelato anche il rischio meramente occasionale, purché ricollegabile, anche in modo mediato e indiretto alle prestazioni lavorative (come, del resto, premesso dallo stesso giudice di appello).
In tali sensi, peraltro, la impugnata sentenza è incorsa anche nel vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, in quanto da un lato non ha valutato tutti gli elementi di fatto emersi (riportati nella stessa sentenza) al fine della verifica dei requisiti del rischio improprio, comunque tutelato, e dall'altro, pur riconoscendo rilevanza ad ogni nesso, seppure mediato ed indiretto, ha poi finito per ancorare il giudizio soltanto ad uno stretto rapporto di "indispensabilità", estraneo ai principi sopra richiamati. Ai detti principi dovrà attenersi il giudice del rinvio che riesaminerà il caso e che provvedere anche sulle spese di legittimità.

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