Cass. pen., sez. III, sentenza 04/04/2019, n. 14732
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to la seguente SENTENZA sui ricorsi proposto da: B D, nato a Torre Annunziata il 23/06/1989 G P, nato a Castellammare di Stabia il 01/08/1983 B R, nato a Napoli il 04/06/1986 avverso la sentenza del 07/03/2018 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Presidente;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale L C, che ha concluso per l'inammissibilità;udito per l'imputato B R l'avv. A B, quale sostituto processuale dell'avv. L S, che ha concluso riportandosi ai motivi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 07/03/2018, la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza resa in data 09/01/2017 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli - che aveva dichiarato, per quanto qui rileva, gli attuali ricorrenti B D, G S e B R responsabili dei reati loto ascritti (detenzione illecita di sostanze stupefacenti ex art. 73 d.P.R. n. 309/1990 e reato associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309/1990) e li aveva condannati alla pena ritenuta di giustizia- riduceva la pena inflitta a G S in anni cinque e mesi due di reclusione ed a B D in anni due di reclusione ed euro 1.4000,00 di multa, confermando nel resto. 2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione B D, G S e B R, a mezzo dei difensori di fiducia, chiedendone l'annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati. B D articola due motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo EE) dell'imputazione, lamentando che la prova di commissione del reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 era stata basata solo sui dialoghi captati ed intercorsi tra il ricorrente ed i coimputati Giuliano e Ferriol, dai quali emergeva unicamente che tra i colloquianti esisteva un rapporto di debito-credito ma non la circostanza che tale rapporto fosse inerente al mercato della droga. Con secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, lamentando che la Corte territoriale aveva fissato una pena base che si discostava dal minimo edittale senza adeguata motivazione e senza considerare l'incensuratezza dell'imputato ed il ruolo gregario svolto rispetto al coimputato Giuliano;inoltre, del pari immotivata era l'applicazione della riduzione della pena per effetto delle concesse circostanze attenuanti generiche in misura minima. G P articola due motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, lamentando che la Corte territoriale aveva confermato l'affermazione di responsabilità basandosi esclusivamente sulla mera ripetizione delle argomentazioni del Gup ed esprimendo una mera valutazione soggettiva basata esclusivamente su ipotesi investigative prive di riscontro oggettivo. Con il secondo motivo deduce il mancato riconoscimento della fattispecie di cui all'art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309/1990, argomentando che i caratteri del gruppo associativo imputato nel presente processo, oggettivamente modesto, presentava tutti i requisiti per la fattispecie della societas minor. B R articola due motivi di ricorso. Con il primo motivo deduce violazione di legge per erronea qualificazione del delitto associativo di cui al capo NN) dell'imputazione, argomentando che la Corte di appello aveva riproposto sul punto le motivazioni del Gup, inquadrandola erroneamente come fattispecie di cui all'art. 74, comma 6 d.P.R. n. 309/1990 e non ex art. 73, comma 5, dpr n. 309/1990. Con il secondo motivo deduce violazione di legge per mancata applicazione dell'art. 62 bis cod.pen. in relazione all'art. 13:3 cod.pen., lamentando che la Corte territoriale aveva denegato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche senza fornire una motivazione adeguata ed esaustiva e tendo conto solo dei precedenti penali dell'imputato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso di B D va dichiarato inammissibile. 1.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Va ricordato che la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha chiarito (cfr. Sez.5, n.48286 del 12/07/2016, Rv.268414;Sez.4, n.31260 del 04/12/2012, dep.22/07/2013, Rv.256739;Sez. 2, n. 4976 del 12/01/2012, Soriano, Rv. 251812;Sez.4, n.35860 del 28/09/2006, Rv.235020;Sez. 5, n. 13614 del 19/01/2001, Primerano, Rv. 218392), che le dichiarazioni captate nel corso di attività di intercettazione (regolarmente autorizzata), con le quali un soggetto accusa se stesso e/o altri della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria e non necessitano quindi di ulteriori elementi di corroborazione ai sensi dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. Ed è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 192, 195, 526 e 271 cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. e l'art. 6 CEDU, nella parte in cui non prevedono che le indicazioni di reità e correità, rese nell'ambito di conversazioni intercettate, debbano essere corroborate da altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità, come avviene per le chiamate in reità o correità rese dinanzi all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, e nella parte in cui non prevedono l'inutilizzabilità di tali dichiarazioni qualora il soggetto, indicato quale fonte informativa nella conversazione intercettata, si avvalga poi della facoltà di non rispondere (Sez.6, n.25806 del 20/02/2014, Rv.259673, che ha escluso la possibilità di equiparare il chiamante in reità o correità - ovvero un soggetto che, nel rendere dichiarazioni accusatorie nel corso di un interrogatorio, può essere mosso da intenti calunniatori od opportunistici - al conversante, il quale è animato dalla volontà di scambiare liberamente opinioni con il proprio interlocutore salvo che non risulti accertata l'intenzione deo loquenti, nella consapevolezza dell'intercettazione in corso, di far conoscere all'autorità giudiziaria informazioni finalizzate ad accusare taluno di un reato). Va anche richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Sez. 6, n. 17619, del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724) per la quale, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all'apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità, se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015 Rv.263715).
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