Cass. pen., sez. V, sentenza 17/11/2022, n. 43657

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 17/11/2022, n. 43657
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 43657
Data del deposito : 17 novembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: ALOISIO FRANCESCO nato a ISOLA DI CAPO RIZZUTO il 02/11/1982 avverso l'ordinanza del 08/03/2022 del TRIB. LIBERTA' di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere A G;
lette/sentite le conclusioni del PG

KATE TASSONE

Il Proc. Gen. si riporta alla requisitoria in atti e conclude per l'inammissibilità di entrambi i ricorsi;
rigetto della memoria pervenuta il giorno 08 marzo 2022. udito il difensore L'avvocato A M insiste per l'accoglimento del ricorso. l'avvocato S S si riporta ai motivi di ricorso ed insiste per l'accoglimento dello stesso. IN

FATTO E IN DIRITTO

1. Con l'ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Milano, adito ex art. 309, c.p.p., confermava l'ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Milano, in data 27.1.2022, aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di A F, gravemente indiziato dei delitti ascrittigli nell'imputazione provvisoria, tutti aggravati ex art. 416 bis.1, c.p.

2. Avverso l'ordinanza del tribunale del riesame, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'A, lamentando, con due distinti atti di impugnazione, il primo firmato dal solo avvocato S S, il secondo firmato digitalmente dal solo avvocato A M, violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 416 bis.1, c.p. Con memoria dell'1.7.2022, a firma del solo avvocato M, il ricorrente insiste per l'accoglimento del ricorso.

4. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

5. La misura cautelare di cui si discute è stata disposta nei confronti del ricorrente, nell'ambito di articolate indagini, che, come rileva il tribunale del riesame, "hanno portato l'accusa a ritenere accertato un quadro da cui risulta che alcune società riconducibili agli A e ai Giardino" (famiglie a loro volta vicine a potenti famiglie di 'ndrangheta operanti nella zona di Capo Rizzuto) "lavorano da anni nel settore della manutenzione della rete ferroviaria italiana, fornendo manodopera alle grandi società vincitrici delle gare di appalto indette da RFI-Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. mediante l'utilizzo (l'abuso afferma il G.I.P.) di strumenti giuridici che sarebbero astrattamente leciti ma che vengono utilizzati per aggirare i divieti in materia di subappalto, per pagare meno imposte, per garantire alle imprese coinvolte il procacciamento di fondi extracontabili, consentendo al contempo alla criminalità organizzata di infiltrarsi in uno dei settori strategici del Paese, quale il funzionamento della rete ferroviaria" Fondamentale in questo meccanismo criminoso è stata l'opera svolta dalle cd. "società monetizzatrici", il cui scopo era quello di emettere fatture per operazioni inesistenti, in modo che dai conti correnti di tali società venissero prelevate somme di denaro in contanti, restituite "in nero" alle società appaltatrici di R.F.I., al netto del compenso spettante ai gestori delle società emittenti le fatture inesistenti per il fatto di essersi prestati all'operazione di retrocessione, determinando un'evasione I.V.A. e contributiva mediante compensazioni di credito I.V.A. inesistente. Il provento delle attività di fatturazione per operazioni inesistenti veniva in parte utilizzato dai cinque fratelli A, attraverso le società ad essi riconducibili, per agevolare la `ndrangheta e, specificamente, la cosca Arena-Nicosia di Isola Capo Rizzuto, sia contribuendo al mantenimento economico dei detenuti e delle lor famiglie, sia offrendo lavoro ai disoccupati in un'area particolarmente depressa del Paese, sotto il profilo economico, così rafforzando il prestigio della cosca (cfr. pp. 10-14). In tale contesto si inserisce la figura dell'A F, in relazione al quale, ad avviso dei giudici di merito, sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza in ordine alla consumazione del reato associativo e dei reati in materia tributaria e fallimentare, di cui ai capi 1), 2), 4), 5), 23) e 24) dell'imputazione provvisoria. Il ricorrente non contesta specificamente tale assunto, né la ricostruzione delle vicende che costituiscono l'impalcatura dell'impianto accusatorio, ma, come si è detto, circoscrive le sue censure sulla ritenuta sussistenza della menzionata circostanza aggravante. Si tratta di rilievi inammissibili. Come affermato dalla Corte di Cassazione nella sua espressione più autorevole, la circostanza aggravante dell'aver agito al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (cfr. Cass., Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, Rv. 278734).Né va taciuto come la giurisprudenza di legittimità sia da tempo attestata sull'affermazione secondo cui il dolo specifico di agevolare l'organizzazione criminale di riferimento, non presuppone necessariamente l'intento del consolidamento o rafforzamento del sodalizio criminoso, essendo sufficiente l'agevolazione di qualsiasi attività esterna dell'associazione, anche se non coinvolgente la conservazione ed il perseguimento delle finalità ultime tipizzate dall'art.416-bis, c.p. (cfr. Cass., Sez. 6, n. 53691 del 17/10/2018, Rv. 274615;
Cass., Sez. 6, n. 28212 del 12/10/2017, Rv. 273538). Orbene il tribunale del riesame ha reso una motivazione del tutto conforme a tali principi, operando una minuziosa e coerente ricostruzione degli elementi raccolti a carico del ricorrente, a partire dal contenuto delle conversazioni oggetto di captazione, dai quali emerge in tutta evidenza, come, attraverso le loro società, gestite in modo unitario, tutti i fratelli A abbiano contribuito, con i proventi delle loro attività illecite, al mantenimento dei detenuti orbitanti nel sodalizio mafioso di riferimento e dei loro familiari, prestandosi anche alla stipulazione di contratti di lavoro fittizi, per consentire ai detenuti la revoca della misura cautelare della custodia in carcere, con quella degli arresti domiciliari. E sul punto appare pertinente il richiamo operato dal tribunale del riesame a un significativo e condivisibile precedente della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la percezione, da parte del congiunto di un affiliato che si trovi in stato di detenzione, di un assegno settimanale versato dal sodalizio criminale, integra la finalità di agevolazione di associazione di stampo mafioso, giacché tale strumento di supporto economico, con la creazione di una rete di solida mutualità fra gli affiliati, rinsalda il vincolo di solidarietà nell'ambito dell'associazione, agevolando il perseguimento dei suoi scopi illeciti (cfr. Cass., Sez. 6, n. 19362 del 04/06/2020, Rv. 279305). Con logico argomentare, peraltro, il tribunale del riesame evidenzia come il versamento di somme per il sostegno economico dei detenuti riconducibili alla organizzazione di ‘ndrangheta di riferimento da parte delle società del gruppo A, venga esplicitamente ammesso da A Antonio e A Alfonso nel corso di una conversazione intercettata 1'8.6.2019, e richiesto direttamente all'A F anche da Giardino Fortunato, per aiutare il figlio ristretto in carcere (cfr. pp. 47-53 dell'impugnata ordinanza). Il che consente di attribuire, sulla base degli indicati principi, la circostanza aggravante di cui si discute anche all'A F, in considerazione della condivisione con i fratelli della gestione delle società dell'omonimo gruppo, in posizione assolutamente paritaria (cfr. pp. 18 e 21 dell'impugnata ordinanza). Non appare, pertanto, revocabile in dubbio che il tribunale del riesame di Milano abbia fatto buon uso dei principi di diritto in precedenza affermati, in quanto, con motivazione approfondita ed immune da vizi, in cui sono stati presi in debita considerazione i rilievi difensivi svolti nei ricorsi dei difensori, che, in realtà, vengono in larga parte acriticamente reiterati in questa sede, con una prospettazione di natura meramente fattuale, imperniata su di una inammissibile lettura alternativa, peraltro generica, dei risultati acquisiti nella fase delle indagini, ha ritenuto sussistente il requisito dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell'A in ordine ai reati in precedenza indicati, aggravati dalla circostanza ex art. 416 bis.1, c.p., attraverso un'esaustiva e articolata valutazione degli elementi di fatto, raccolti dagli organi investigativi. Al riguardo vanno ribaditi i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che da tempo ha evidenziato come, in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all'adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti dì merito rientranti nel compìto esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all'esame del contenuto dell'atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall'altro, l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Cass., sez. II, 2.2.2017, n. 9212, rv. 269438;
Cass., sez. IV, 3.2.2011, n. 14726;
Cass., sez. III, 21.10.2010, n. 40873, rv. 248698;
Cass., sez. IV, 17.8.1996, n. 2050, rv. 206104;), essendo sufficiente ai fini cautelari un giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità dell'imputato" (cfr. Cass., sez. II, 10.1.2003, n. 18103, rv. 224395;
Cass., sez. III, 23.2.1998, n. 742). Pertanto quando, come nel caso, in esame, vengono denunciati vizi del provvedimento di conferma emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di Cassazione spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all'accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza, oltre che all'esigenza di completezza espositiva" (cfr. Cass., sez. V, 20.10.2011, n. 44139, 0.M.M.).
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