Cass. civ., sez. II, sentenza 14/01/2014, n. 640

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Massime1

L'art. 535, primo comma, cod. civ., che rinvia alle disposizioni sul possesso in ordine a restituzione dei frutti, spese, miglioramenti e addizioni, si riferisce al possessore di beni ereditari convenuto in petizione di eredità ex art. 533 cod. civ., mentre è estraneo allo scioglimento della comunione ereditaria; esso non si applica, quindi, al condividente che, avendo goduto il bene comune in via esclusiva senza titolo giustificativo, è tenuto alla corresponsione dei frutti civili agli altri condividenti, quale ristoro della privazione del godimento "pro quota".

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 14/01/2014, n. 640
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 640
Data del deposito : 14 gennaio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. B G A - Presidente -
Dott. M V - rel. Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. G A - Consigliere -
Dott. S A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 4609/2012 proposto da:
BERGONZI MARCHIAFAVA PATRIZIA BRGPRZ42S49H501S, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TACITO

41, presso lo studio dell'avvocato PATTI S L, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale per Dott. E V, Notaio in Roma, del 29.07.2013 Rep.n. 16704;



- ricorrente -


contro
BERGONZI PARODI MARION BRGMRN37R64H501S, BERGONZI NOLI LORENZA BRGLNZ54P68H501X, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI

MONTI PARIOLI

48, presso lo studio dell'avvocato M G, che le rappresenta e difende unitamente all'avvocato C U;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 4694/2011 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 08/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/11/2013 dal Consigliere Dott. V M;

udito l'Avvocato S L P difensore della ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito l'Avvocato ULISSE COREA difensore delle resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO

Lucio, che ha concluso per la cessazione della materia del contendere per il primo motivo del ricorso e per il rigetto degli altri motivi del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 26-3-1999 B M P conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la di lei madre L Janine e le sorelle B P M e B N L e, premesso che il 13-2-1975 era deceduto il padre dell'attrice B P, lasciando quali eredi "ex lege" la moglie e le tre figlie, assumeva che nel compendio ereditario era compreso un appartamento sito in Roma, Via Martelli 10, del quale erano divenute comproprietarie le tre sorelle, e sul quale la madre aveva acquistato una quota pari ad un quarto dell'usufrutto legale, e che fin dall'inizio la L aveva gestito l'appartamento suddetto su mandato dell'esponente, in particolare locandolo, senza aver mai reso il conto del proprio operato e senza aver corrisposto alla mandante la quota ad essa spettante del corrispettivo della locazione;
l'attrice poi aggiungeva di aver appreso che uno dei conduttori dell'immobile aveva convenuto in giudizio la L con domanda di simulazione del contratto di locazione e violazione delle norme in materia di equo canone, di non essere stata edotta della sottoscrizione del suddetto contratto e di non volere subire le conseguenze dannose che ne sarebbero potute derivare.
L'attrice chiedeva quindi l'accertamento dell'obbligo della L di rendere il conto delle somme percepite a titolo di canoni di locazione dal marzo 1975, la condanna di quest'ultima a corrispondere all'esponente la quota di sua spettanza dei suddetti canoni, l'accertamento della responsabilità della L nell'esecuzione del mandato, la condanna al risarcimento dei danni, e lo scioglimento della comunione ereditaria.
Nella contumacia di M B P e di Lorenza B Noli si costituiva in giudizio la L chiedendo il rigetto delle domande attrici e, in via riconvenzionale, l'accertamento dell'intervenuto acquisto del predetto appartamento in proprio favore per usucapione a la compensazione delle somme dovute. Con ordinanza del 19-9-2001 il giudice, in accoglimento dell'istanza dell'attrice, autorizzava il sequestro giudiziario del suddetto appartamento.
All'udienza del 29-4-2002 il giudice dava atto dell'intervenuta sentenza di condanna della L alla restituzione in favore del conduttore dell'appartamento predetto delle somme illegittimamente percepite a titolo di canoni di locazione.
Interrotto il processo a seguito della morte della L, con atto di riassunzione l'attrice conveniva in giudizio gli eredi di quest'ultima e le sorelle M B P e B N L;
queste ultime, costituendosi in giudizio, deducevano di aver anch'esse convenuto la madre per avere il rendiconto relativamente alla gestione dell'appartamento predetto in un separato giudizio, non riunito al presente per l'intervenuto decesso della convenuta;
aggiungevano che la successione delle figlie nelle situazioni giuridiche attive e passive della L rendeva inutile la prosecuzione del procedimento, e che non erano in grado di fornire il rendiconto;
concludevano chiedendo il rigetto delle domande attrici, la condanna di B P ai sensi dell'art. 96 c.p.c., e la determinazione della stima dell'appartamento ai fini
della divisione giudiziale.
All'udienza del 29-11-2005 il difensore dell'attrice dichiarava che quest'ultima aveva accettato l'eredità della madre con beneficio d'inventario.
Il Tribunale adito con sentenza del 25-5-2006 dichiarava aperta la successione di B P, deceduto "ab intestato" in Roma lasciando quali eredi, per quote paritarie, le tre figlie B P, B P M e B N L, e lasciando alla moglie L Janine la quota di un quarto di usufrutto, accertava che, a seguito del decesso della L, si era consolidata la piena proprietà sull'immobile di via Martelli 10 in Roma in capo alle tre sorelle suddette per quote paritarie, accertava che l'attrice, pur avendo dichiarato di accettare l'eredità materna con beneficio di inventario, non aveva provveduto a redigere l'inventario stesso, e doveva quindi essere dichiarata, secondo il diritto francese applicabile a tale successione, erede pura e semplice della L e, per l'effetto, dichiarava improcedibili le domande di accertamento dell'obbligo di rendiconto, di inadempimento al mandato, di condanna alla restituzione delle somme nonché di risarcimento danni per sopravvenuta carenza di interesse ad agire, disponeva lo scioglimento della comunione ereditaria sussistente tra le parti a seguito della successione paterna mediante attribuzione diretta a B M P dell'intera proprietà esclusiva del suddetto appartamento e dell'autorimessa annessa, condannava quest'ultima al pagamento in favore delle altre parti della somma di Euro 503.333,33 ciascuna a titolo di conguaglio, e revocava il sequestro giudiziario, assegnando al custode il termine di giorni 60 dalla data di pubblicazione della sentenza per consegnare alla parte assegnataria dell'immobile le relative chiavi.
Proposto gravame da parte di B P M e di B N L cui resisteva B M P introducendo anche un appello incidentale la Corte di Appello di Roma con sentenza dell'8-11-2011 ha disposto lo scioglimento della comunione ereditaria sussistente tra le parti mediante attribuzione alle appellanti principali dell'intera proprietà esclusiva dell'appartamento di Via Martelli 10 in Roma, condannandole al pagamento in favore dell'appellata della complessiva somma di Euro 850.000,00 a titolo di conguaglio, ed ha condannato B M P al pagamento in favore di B P M e di B N L della somma di Euro 180.000,00 ciascuna.
Per la cassazione di tale sentenza B M P ha proposto un ricorso articolato in cinque motivi seguito successivamente da una memoria cui B P M e B N L hanno resistito con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 720 c.c., artt. 99, 112, 183 e 189 c.p.c., nonché dei principi generali in tema di divisione ed attribuzione degli immobili indivisibili, e difetto di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver attribuito alle controparti l'immobile comune indivisibile per cui è causa nonostante soltanto l'esponente nel giudizio di primo grado in sede di precisazione delle conclusioni ne avesse chiesto l'assegnazione in proprio favore, mentre le convenute, dopo aver chiesto in quella sede la vendita all'asta dell'immobile, soltanto in comparsa conclusionale, e quindi tardivamente, avevano chiesto l'assegnazione congiunta dell'appartamento in loro favore;
dunque esse si erano limitate a richiedere ritualmente soltanto la vendita del bene, con una domanda di natura opposta a quella dell'attribuzione di esso. La ricorrente inoltre sostiene che la Corte territoriale con un grave difetto di motivazione ha attribuito l'immobile alle appellanti per il solo fatto che esse erano congiuntamente comproprietarie della quota maggioritaria di due terzi, laddove l'art. 720 c.c., espressamente dispone che ciò possa avvenire solo "preferibilmente", ovvero valutando le concrete circostanze del caso;
ed al riguardo l'esponente aveva evidenziato nella conclusionale di appello di fare già uso dell'immobile abitandovi con la propria famiglia, mentre le sorelle non avrebbero potuto occuparlo e goderlo entrambe, e quindi avrebbero potuto al più locarlo o venderlo, considerato altresì che la sorella M risiedeva in Francia.
li Collegio prende atto che con la memoria ex art. 378 c.p.c., la ricorrente ha rinunciato a tale motivo di ricorso, cosicché non occorre procedere al relativo esame;
il diverso assunto sostenuto al riguardo nell'ambito della discussione in udienza dal difensore delle controricorrenti, che si è opposto a detta rinuncia, è infondato poiché, a differenza della rinuncia al ricorso per cassazione, prevista dall'art. 390 c.p.c., la rinuncia ad uno o più motivi di impugnazione la quale resti sorretta da uno o più motivi non rinunciati, può essere effettuata anche nel corso della discussione orale dal difensore munito di semplice procura alle liti, attenendo una siffatta rinuncia alla sua valutazione tecnica circa le più opportune modalità di svolgimento dell'impugnazione, non implicante un atto di disposizione del diritto in contesa (Cass. 23-10-2003 n. 15962;
Cass. 15-6-2006 n. 11154). Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 535 e 1148 c.c., nonché difetto di motivazione, sostiene che erroneamente il giudice di appello ha condannato l'esponente al pagamento in favore delle controparti della somma di Euro 180.000,00 ciascuna a titolo di pagamento dei frutti civili derivanti dall'aver goduto in via esclusiva senza alcun titolo giustificativo dell'appartamento suddetto, e quindi quale ristoro della asserita privazione della utilizzazione "pro quota" del bene comune;
in realtà il titolo giustificativo del godimento esclusivo in proprio favore era costituito dall'attribuzione a B M P dell'intero immobile come da sentenza di primo grado, dalla condanna dell'attrice al pagamento del conguaglio e dall'avere l'esponente legittimamente preso possesso dell'appartamento in esecuzione di una precisa disposizione del Tribunale;
era pure erronea l'asserita privazione della utilizzazione "pro quota" del bene comune, avendo l'esponente in sede di conclusioni all'udienza del 25-5-2001 chiesto darsi atto dell'avvenuto versamento in favore delle sorelle del conguaglio di Euro 514.339,77 ciascuna, versamento non contestato dalle controparti.
Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 535 e 1148 c.c., nonché difetto di motivazione, rileva che le controparti non avevano mai richiesto il compossesso dell'appartamento in questione, avendo invece richiesto con l'atto di appello l'assegnazione dell'immobile;
pertanto in base all'art. 1148 c.c. (applicabile anche in caso di comunione per espresso disposto di legge, art. 535 c.c., comma 1), in assenza di domanda giudiziale nei propri confronti, l'esponente quale possessore di buona fede - in quanto il possesso esclusivo era stato acquisito in base alla sentenza di primo grado - aveva diritto ai frutti percepiti.
L enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.
La Corte territoriale ha ritenuto meritevole di accoglimento la domanda con la quale le appellanti, sulla premessa dell'attribuzione a B M P del godimento esclusivo dell'immobile di via Martinelli 10 in Roma, avevano richiesto la condanna di quest'ultima al pagamento dei frutti ed al risarcimento dei danni derivanti da detto godimento, considerato che dalla revoca del sequestro giudiziario del bene, e quindi dalla consegna di esso all'attuale ricorrente fino alla data di precisazione delle conclusioni, la suddetta condividente aveva goduto dell'immobile senza un titolo giustificativo, e quindi era tenuta a corrispondere alle altre condividenti i frutti civili per tale arco temporale pari a cinque anni;
pertanto, avendo il CTU quantificato i frutti in complessivi Euro 540.000,00 sulla base del valore locativo del bene di Euro 108.000,00 annui, la quota di pertinenza in favore di ciascuna delle appellanti corrispondeva ad Euro 180.000,00. Il convincimento espresso dal giudice di appello è corretto e quindi immune dai profili di censura sollevati dalla ricorrente. Premesso che lo stato di comunione tra i condividenti permane fino al passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento della comunione stessa, deve considerarsi che nella fattispecie il preteso titolo giustificativo del godimento esclusivo dell'immobile oggetto di comunione tra le parti invocato da B M P è stato rimosso dalla sentenza di secondo grado che ha attribuito la proprietà del bene alle attuali controricorrenti, cosicché resta incontestabile il godimento esclusivo di esso senza alcun titolo giustificativo, per il sopra enunciato periodo di riferimento, da parte dalla ricorrente;
del tutto irrilevante è poi l'avvenuto pagamento del conguaglio, da parte di B M P, in esecuzione della sentenza di primo grado, sia perché afferente ad un rapporto giuridico diverso (inerente alla necessità di liquidare in danaro le quote delle condividenti non assegnatane del bene), sia perché comunque anche tale statuizione è stata riformata dalla sentenza della Corte territoriale. Inoltre deve evidenziarsi l'errore in diritto del riferimento della ricorrente all'art. 535 c.p.c. (che prevede al comma 1, l'applicazione delle disposizioni in materia di possesso anche al possessore di beni ereditari, per quanto riguarda la restituzione dei frutti, le spese, i miglioramenti e le addizioni), posto che tale norma si riferisce al possessore di beni ereditari convenuto dall'erede con l'azione di petizione ereditaria di cui all'art. 533 c.c., azione manifestamente estranea alla fattispecie, dove l'oggetto
della causa è pacificamente costituito dallo scioglimento di una comunione ereditaria e dalle conseguenti statuizioni, tra le quali rientrano anche la condanna del condividente, che durante il periodo di comunione abbia goduto l'intero bene comune in via esclusiva senza un titolo giustificativo, alla corresponsione dei frutti civili in favore degli altri condividenti, quale ristoro della privazione dell'utilizzazione "pro quota" del bene comune e dei relativi profitti (Cass. 2-8-1990 n. 7716;
Cass. 6-4-2011 n. 7881). Con il quarto motivo la B Marchiafava, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 195 c.p.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per avere calcolato il valore dei frutti prodotti dall'immobile con riferimento al reddito lordo, calcolato dal CTU in Euro 108.000,00 annui, anziché con riferimento al reddito netto, dovendo detrarsi dal potenziale ricavo le spese di gestione e manutenzione, ivi comprese quelle per imposte e tasse, da quantificarsi nella misura del 25%;
invero il CTU aveva affermato che dal reddito lordo di Euro 108.000,00 annui dovevano essere detratte le spese suddette calcolate in Euro 27.000,00 annui, giungendosi così ad un reddito netto di Euro 81.000,00 annui. Il motivo è inammissibile.
Anzitutto l'omessa trascrizione della CTU con riferimento all'indicazione dei redditi netti e lordi configura una violazione del principio di autosufficienza del ricorso;
inoltre la censura riguarda una questione di merito, tale essendo quella che attiene alla considerazione del reddito netto quale quota percentuale del reddito lordo nella misura del 75%, che oltretutto non risulta essere stata dibattuta in grado di appello.
Con il quinto motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 218 del 1995, artt. 46 e 50, degli artt. 485 e 487 c.c. e
dell'art. 112 c.p.c., ed omessa motivazione, censura la sentenza impugnata per aver respinto il proprio appello incidentale con il quale era stato chiesto di affermare la propria qualità di erede beneficiata, disconosciuta dal giudice di primo grado, sotto due diversi profili.
Anzitutto la ricorrente rileva che la declaratoria di decadenza dal beneficio di inventario di B M P era preclusa al giudice italiano ai sensi della L. n. 218 del 1995, art.50, che in materia successoria stabilisce che la giurisdizione
italiana sussiste se il defunto è cittadino italiano, se la successione si è aperta in Italia, se la parte dei beni ereditari di maggior consistenza economica si trova in Italia, se il convenuto ha accettato la giurisdizione italiana, se la domanda concerne beni situati in Italia;
orbene nella specie non ricorreva nessuno dei criteri di collegamento alla giurisdizione italiana, posto che la L era cittadina francese, la successione si era aperta in Francia, non vi era stata accettazione della giurisdizione italiana, non vi erano beni in Italia, perché l'immobile di via Martelli era pervenuto all'esponente per successione paterna e non era compreso nell'asse ereditario della madre;
la ricorrente fa a tal punto presente che il giudice di appello erroneamente ha ritenuto che gli atti introduttivi del giudizio fossero stati notificati alle convenute B P M e B N L in Italia, mentre in realtà detti atti e l'atto di riassunzione erano stati notificati in Francia.
Inoltre la ricorrente sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha dichiarato che l'esponente non sarebbe comunque erede beneficiata sul presupposto della norma del codice civile francese che stabilirebbe, per il perfezionamento dell'accettazione con beneficio di inventario, la redazione dello stesso entro il termine di tre mesi dall'apertura della successione (redazione cui l'interessata non avrebbe provveduto);
infatti in base all'art. 800 cod. civ. francese (secondo cui "l'erede conserva, anche dopo il decorso dei termini di cui all'art. 795 e di quelli concessi dal giudice ai sensi dell'art. 798, la facoltà di compiere ancora l'inventario e di assumere la qualità di erede beneficiato, se da allora non ha compiuto atti di erede ovvero se non esiste contro di lui una sentenza passata in giudicato, che lo condanni in qualità di erede puro e semplice") B M P, nei cui confronti non si era verificata alcuna delle condizioni di decadenza stabilite dal suddetto articolo, poteva ancora completare l'inventario;
da ciò consegue che l'erede che ha dichiarato di accettare l'eredità con beneficio di inventario (come nella fattispecie) conserva la qualità di erede beneficiato fino a quando non si dimostri che abbia posto in essere atti di accettazione dell'eredità e/o sia stato condannato quale erede a pagamenti (ipotesi non verificatesi nella specie). Infine la ricorrente sostiene di essere ancora in tempo a compiere l'inventario anche per il diritto italiano ai sensi degli artt. 485 e 487 c.c.. Il motivo è infondato.
Sotto un primo profilo, attinente alla giurisdizione sulla questione relativa all'accettazione dell'eredità materna da parte dell'attuale ricorrente, si rileva che la sentenza impugnata ha affermato la giurisdizione del giudice italiano ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 50, sul presupposto indiscusso che le appellanti risiedessero o
fossero domiciliate in Italia, come poteva desumersi dalla circostanza che gli atti introduttivi del giudizio erano stati notificati appunto in Italia;
orbene, non essendo stata censurata in questa sede la statuizione in ordine al fatto che le appellanti risiedessero o fossero domiciliate in Italia, sussiste la giurisdizione italiana ai sensi del menzionato art. 50, lett. d). Il giudice di appello, inoltre, ha rilevato, sulla base del diritto francese applicabile nella fattispecie ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 46, che l'art. 794 cod. civ. francese prevedeva che
l'accettazione beneficiata ha effetto se preceduta o seguita dall'inventario, da effettuarsi in generale in tre mesi dalla apertura della successione secondo il successivo art. 795, e salvo la proroga prevista dall'art. 798, la cui concessione da parte del Tribunale era subordinata ad una discrezionale valutazione delle circostanze;
ha poi aggiunto che l'art. 800 consentiva ancora all'erede beneficiato di fare l'inventario anche successivamente qualora non avesse compiuto atti di erede o subito condanne in tale qualità;
peraltro, fino a che manca la redazione dell'inventario, non sussiste il beneficio di inventario, ma semmai un'accettazione beneficiata "in itinere", allo stato inefficace, ipoteticamente suscettibile di perfezionarsi una volta effettuato l'inventario;

correttamente quindi il giudice di primo grado aveva escluso la qualità di erede beneficiata di B M P, che allo stato non risultava aver redatto l'inventario. Tali argomentazioni sono pienamente condivisibili e sono immuni dai profili di censura sollevati dalla ricorrente, inidonei in radice a superare il rilievo che, per quanto finora risulta, essa non ha redatto il beneficio di inventario al cui espletamento la legge francese subordina l'accettazione beneficiata.
È poi appena il caso di evidenziare l'inammissibilità del richiamo agli artt. 485 e 487 c.c., in quanto questione nuova oltre che in contrasto con la indiscussa applicazione della legge francese nella fattispecie ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 46, comma 1. Il ricorso deve quindi essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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