Cass. pen., sez. III, sentenza 20/09/2022, n. 34630

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 20/09/2022, n. 34630
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 34630
Data del deposito : 20 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da dal Procuratore della Repubblica del tribunale di Arezzo;
nel procedimento a carico di O M nato a Gaiole in Chianti il 24/02/1939;
F F nato a Bucine il 27/05/1956;
avverso la ordinanza del 08/02/2022 del tribunale di Arezzo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere G N;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dr. P M, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del difensore degli indagati, aw.to M M che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 8 febbraio 2022, il tribunale del riesame di Arezzo, adito ai sensi dell'articolo 322 bis cod. proc. pen. dal pubblico ministero del medesimo tribunale, avverso il decreto del gip del tribunale di Arezzo, di rigetto della richiesta di sequestro preventivo avanzata con riguardo a specifiche aree catastalmente individuate oltre che in ordine ad un autocarro della impresa individuale dell'indagato F, con riferimento ai capi di incolpazione provvisori ascritti rispettivamente ai citati indagati, e di cui agli artt. 256 comma 1 lett. A) del Dlgs. 152/06, 279 comma 1 del Dlgs. 152/06, 256 comma 1 lett. A) e comma 2 del Dlgs. 152/2006, 110 cod. pen. 256 comma 1 lett. A del Dlgs. 152/06, rigettava l'istanza.

2. Avverso la predetta ordinanza il pubblico ministero del tribunale di Arezzo propone ricorso deducendo cinque motivi di impugnazione.

3. Deduce, con il primo motivo, in ordine al capo l), la violazione dell'art. 185 comma 2 lett. d) e comma 4 del medesimo articolo, di cui al Dlgs. 152/06. Si contesta la tesi del tribunale per cui le terre e rocce da scavo sarebbero escluse dalla disciplina dei rifiuti nel caso in cui l'attività rimanga nell'ambito dello sfruttamento di un sito qualificabile come cava, autorizzata o meno. In tal modo si escluderebbe ogni significato in ordine al contenuto dell'art. 185 comma 2 lett. D) del Dlgs. 152/06 in quanto in caso di equiparazione, in relazione alla disciplina sui rifiuti, delle cave autorizzate e non autorizzate, il legislatore non avrebbe fatto un rimando esplicito ad una normativa specifica, optando per la menzione in via generale alla attività di sfruttamento delle cave. Seguendo la tesi del tribunale, diversamente da quanto sostenuto, si farebbe in modo che l'attività di sfruttamento di cave non autorizzate sarebbe del tutto libera da ogni regolamentazione, non potendo soggiacere né alla disciplina dei rifiuti né a quella di cui al Dlgs. 117/2008, mentre l'identica attività, riferita a cave autorizzate, sarebbe ricondotta alla rigorosa disciplina del Dlgs. citato. Pertanto, il prodotto inerente attività svolta su cave non autorizzate sarebbe in prima battuta rifiuto ex art. 183 comma 1 lett. A) del Dlgs 152/06, salvo che sussistano i requisiti di un sottoprodotto ex art. 184 bis del Dlgs. citato o del rifiuto cessato ex art. 184 ter del medesimo Dlgs.;
requisiti assenti nel caso concreto.

4. Deduce, con riguardo al capo 2), nel secondo motivo, la violazione dell'art. 279 comma 1 del Dlgs. 152/06. Il tribunale pur escludendo che la predetta previsione delinei un reato di evento, ritiene tuttavia che sia necessaria la prova di effettive emissioni inquinanti. In violazione dell'indirizzo di legittimità per cui non è richiesto che l'evento lesivo sia realizzato, trattandosi di un reato formale e di pericolo. La concretezza del pericolo deriverebbe dalla accertata funzionalità degli impianti, e dalla natura potenzialmente pericolosa dell'attività. Né rileverebbe la circostanza della sopravvenuta inefficacia della autorizzazione, trattandosi di ipotesi equiparabile alla assenza originaria del titolo.

5. Con il terzo motivo, riguardo al capo 3), deduce la violazione dell'art. 256 comma 1 lett. a) e comma 2 del Dlgs. 152/06, oltre che dell'art. 2 della LTR n. 20/2006 e dell'art. 39 comma 1 lett. a) del regolamento n. 46/R del 8.9.2008 della regione Toscana. Si contesta la conclusione del tribunale per cui le attività di estrazione, lavaggio e pulitura degli inerti non sarebbero ricomprese nel concetto di "lavorazioni" di cui all'art. 39 comma 1 lett. a) del regolamento regionale prima citato. Rientrando nel concetto di lavorazione l'attività che si svolge in uno stabilimento come desumibile dall'art. 268 comma 1 lett. h) del Dlgs. 152/06. Neppure rilevante sarebbe, a supporto della contestata interpretazione, il dato per cui il citato Regolamento precisa che le lavorazioni devono avvenire "al di fuori delle aree di cava" posto che le attività contestate avvenivano in impianti non ubicati nel sito estrattivo in senso stretto.

6. Con il quarto motivo, riguardo al capo 4), deduce la violazione dell'art. 44 lett. b) del

DPR

380/01 e degli artt. 68 e 83 delle norme tecniche di attuazione del regolamento urbanistico dei comuni di Laterina, Pergine Valdarno e Bucine e la violazione di norme processuali in ordine all'art. 125 comma 3 cod. proc. pen. per omessa motivazione. Il tribunale non avrebbe risposto in ordine alla doglianza per cui la contestazione riguarderebbe il cambio di uso del suolo da agricolo a produttivo. Si aggiunge che ai sensi dell'art. 3 comma 1 lett. e7) del

DPR

380/01 sono assoggettate a permesso di costruire anche le attività che pur non integrando interventi edilizi in senso stretto modificano in via permanente lo stato materiale e di conformazione del suolo per adattarlo ad impiego diverso da quello proprio, tra cui rientra la realizzazione di depositi merci o materiali su suolo inedificato ravvisabile nel caso di specie.

7. Con il quinto motivo e con riferimento al capo 5) deduce la violazione dell'art. 185 comma 2 lett. d) e comma 4 del medesimo articolo, di cui al Dlgs. 152/06, richiamando precedenti argomenti sulla configurabilità quale rifiuto delle terre e rocce da scavo derivanti da attività di cava non autorizzata e si aggiunge che in assenza di confutazione del tribunale sarebbe acclarata la sussistenza del fumus commissi delicti in ordine alle ipotesi contestate al capo 5).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è fondato.

1.1.Va premesso che il sistema normativo riguardante l'attività di cava è articolato a livello statale e regionale e trova i principali atti normativi nazionali nel Regio Decreto 29 luglio 1927 , n. 1443, nel Decreto legislativo n.117 del 30 maggio 2008 riguardante l'Attuazione della direttiva 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE", entrato in vigore il 22 luglio 2008, nel successivo Decreto interministeriale 16 aprile 2013, relativo alle "Modalità per la realizzazione dell'inventario nazionale di cui all'articolo 20, nel Decreto legislativo 30 maggio 2008, n.117, recante attuazione della direttiva 2006/21/CE, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE", entrato in vigore il 23 luglio 2013. In tali atti non si rinviene una specifica definizione di cava, in termini di modalità di realizzazione della stessa e, piuttosto, nel citato Regio Decreto n. 1443 è elaborata una nozione incentrata sulle lavorazioni che la caratterizzano, nella misura in cui all'art. 2 si stabilisce che ".. le lavorazioni indicate nell'art. 1 si distinguono in due categorie: miniere e cave" e che "Appartiene alla seconda categoria la coltivazione: a) delle torbe;
b) dei materiali per costruzioni edilizie, stradali ed idrauliche;
c) delle terre coloranti, delle farine fossili, del quarzo e delle sabbie silicee, delle pietre molari, delle pietre coti;
d) degli altri materiali industrialmente utilizzabili ai termini dell'art. 1 e non compresi nella prima categoria". Cosicchè appare di interesse, in questa sede, considerare anche la definizione elaborata nella giurisprudenza di legittimità, evidentemente da coordinare con il suindicato dettato normativo, secondo cui costituisce 'cava' in senso tecnico qualunque luogo in cui mediante tagli ed escavazioni si pratichi l'estrazione di materie esistenti sotto il suolo o di materie minerali affioranti (Sez. 3, n. 2492 del 12/07/1965 Rv. 099910 - 01). Con l'ulteriore conseguenza per cui può sostenersi, alfine, che la differenza tra miniera e cava - oggetto dei medesimi riferimenti normativi nell'ambito della disciplina della più ampia nozione di "attività estrattiva" - si individua nella tipologia del giacimento da coltivare;
così chiarendosi, altresì, che è erroneo ricondurre le miniere a quelle attività estrattive da svolgere in sotterraneo e le cave a quelle da svolgere in superficie.

1.3. L'attività di cava, come quella mineraria, oltre ad assumere rilievo economico, è anche all'origine di problemi ambientali, fatti oggetto di attenzione nel contesto di una prospettiva, culturale e normativa, che considera ormai il pianeta come un bene finito da tutelare nel quadro di uno sviluppo in tal senso consapevole. Ed invero, i quantitativi di rifiuti da attività estrattiva costituiscono possibili diffuse fonti di inquinamento e i siti estrattivi rilevano altresì sotto il profilo della necessaria verifica e controllo della stabilità geotecnica ed idrogeologica, oltre che della tutela degli ecosistemi e del paesaggio. A livello europeo, tale consapevolezza si è tradotta nella adozione della direttiva 2006/21/CE del 15 marzo 2006, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive (che modifica la precedente 2004/35/CE), come emerge chiaramente dall'art. 1, riguardante l'oggetto della stessa, con cui si afferma che "la presente direttiva istituisce le misure, le procedure e gli orientamenti necessari per prevenire o ridurre il più possibile eventuali effetti negativi per l'ambiente, in particolare per l'acqua, l'aria, il suolo, la fauna, la flora e il paesaggio, nonché eventuali rischi per la salute umana, conseguenti alla gestione dei rifiuti prodotti dalle industrie estrattive". Egualmente indicativo è il successivo articolo 4, che dettando disposizioni generali, stabilisce che " 1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché i rifiuti di estrazione siano gestiti senza pericolo per la salute umana e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare, senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora e senza causare inconvenienti da rumori o odori, senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse. Gli Stati membri devono inoltre adottare le misure necessarie per vietare l'abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti.
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