Cass. pen., sez. II, sentenza 14/07/2021, n. 26802

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 14/07/2021, n. 26802
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 26802
Data del deposito : 14 luglio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da: D G P nato a LUGO il 26/06/1963 SPINA MARIA ASSUNTA nata a BISIGNANO il 30/07/1957 SPANO CRISTIAN nato a MONZA il 22/01/1992 AIRONE FEDERICA nata a MADDALONI il 17/06/1997 R L nato a UGENTO il 14/10/1938 R S nato a ALFONSINE il 18/01/1966 GRAFFIEDI SUSANNA nata a RAVENNA il 12/05/1959 MUNITELLO SABRINA nata a TRICASE il 25/05/1982 ZANETTI GUSEPPE nato a TRIPOLI (LIBIA) il 06/04/1947 CAU TERESA nata a BRINDISI il 02/01/1969 BERTAGLIA ANNA nata a COMACCHIO il 13/07/1945 avverso la sentenza del 12/02/2020 della CORTE APPELLO di BOLOGNAvisti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore L T, che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi;udito l'Avvocato BABINI GAN PAOLO, in difesa di SPANO CRISTIAN, AIRONE FEDERICA e ZANETTI GUSEPPE, il quale dopo avere chiesto di depositare atti relativi al procedimento trattato presso il Tribunale di Napoli per i medesimi assegni oggetto di causa, produzione non ammessa dalla Corte, ha concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi;
udito il medesimo legale in sostituzione dei difensori di fiducia di D G P, SPINA MARIA ASSUNTA, R L, R S, MUNITELLO SABRINA, CAU TERESA e BERTAGLIA ANNA che ha concluso riportandosi ai motivi dei ricorsi

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 19/02/2019, emessa a seguito di giudizio abbreviato, il G.U.P. del Tribunale di Ravenna condannava gli imputati D G P, S C, S M A, A F, G S, R L, B A, C T, R S, Z G e M S alle pene ritenute di giustizia in relazione ai reati, rispettivamente ascritti, di cui agli art. 416 e 648 bis cod. pen. Secondo la ricostruzione del primo giudice, dalle attività captative delle utenze in uso a D G P ed al coimputato R Giuseppe - oggetto di riscontro tramite attività controllo e pedinamento nonché in virtù degli esiti delle perquisizioni -, era emersa l' esistenza di una associazione a delinquere dedita all' approvvigionamento, alla contraffazione nonché all' incasso di assegni di provenienza illecita da parte di coloro che, partecipanti all' associazione, erano indicati quali beneficiari dei titoli;
il denaro veniva versato sui conti correnti appositamente aperti, quindi, prelevato e consegnato agli organizzatori, previa detrazione del 15% trattenuto dai negoziatori. In particolare D G P comunicava a R Giuseppe una serie di nominativi di persone, fra cui taluni degli odierni imputati, da indicare quali beneficiari degli assegni contraffatti, R Giuseppe valutava l' opportunità di tale intestazione anche in base ai titoli già negoziati ed alle transazioni non andate a buon fine;
i titoli di credito di provenienza illecita - vale a dire furto, violazione della corrispondenza o peculato - venivano contraffatti mediante la sostituzione del solo nome del beneficiario. Il G.U.P. accertava che il gruppo aveva una organizzazione gerarchica, R Giuseppe era in posizione sovraordinata anche rispetto al suo referente ravennate, D G P, il quale riceveva direttive finalizzate a monitorare la correttezza dell' operato dei c.d. "cambiatori" i quali avevano il compito di prelevare le somme lasciandone una parte sul conto corrente per non destare sospetti ed, in caso di mancata conclusione della transazione, dovevano giustificare la circostanza mediante la stampa del movimento di conto corrente.

1.1. La Corte di Appello di Bologna, pronunziando sugli appelli proposti dai suddetti imputati, confermava la sentenza impugnata quanto al reato associativo di cui al capo sub. 1) e riteneva che tutti i fatti contestati di cui ai capi da 2) a 21) - per i quali confermava l' affermazione della penale responsabilità degli imputati - andavano qualificati ai sensi dell' art. 2 648 cod. pen., ritenendo che le condotte in questione non erano, di per sé, idonee ad ostacolare la provenienza delittuosa dei titoli di credito che avevano mantenuto identici tutti i restanti elementi identificativi, a parte la falsificazione della identità del beneficiario;
procedeva, quindi, alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio a carico di tutti gli imputati.

2. Contro detta sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, D G P, S M A, S C, Z G, A F, G S, R L, B A, C T, R S e M S.

2.1. D G P formula quattro motivi.

2.1.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., erronea applicazione degli artt. 416 e 110 cod. pen. nonchè manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta configurabilità della sua partecipazione all' associazione a delinquere contestata al capo 1) dell'imputazione;
insufficienza probatoria quanto all' asserito ruolo di promotore. Evidenzia che la durata del presunto sodalizio, l'origine spontanea ed occasionale delle condotte de quibus poste in essere all' interno di un bar di una piccola cittadina e l'assenza di una struttura criminale organizzata rendevano configurabile una semplice ipotesi di concorso di persone nel reato ex art. 110 cod. pen. Deduce che la corte di appello aveva confermato la sussistenza del reato associativo con argomentazioni illogiche ed incongrue, pur in difetto di prova di tutti gli elementi costitutivi del reato e non motivando in alcun modo in ordine alle ragioni per le quali aveva ritenuto comprovato un pactum sceleris, una durata potenzialmente indeterminata dell'associazione de qua e l'indeterminatezza del programma criminoso della stessa. Rileva che le attività captative e di indagine, in generale, non avevano fornito elementi utili all' individuazione di un collegamento fra l'imputato ed i vertici della presunta organizzazione criminale, che il suo asserito ruolo di "promotore" non risultava in alcun modo comprovato e che non era emersa alcuna prova che il predetto aveva la disponibilità o movimentava ingenti somme di denaro.

2.1.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'art. 606 lett. d) cod. proc. pen., la mancata assunzione di una prova decisiva. Rileva che la corte di appello, con una motivazione del tutto illogica ed arbitraria, aveva ritenuto superflua la chiesta acquisizione degli assegni clonati, non considerando che l'assenza agli atti del fascicolo degli assegni di cui al capo di imputazione aveva pregiudicato il diritto di difesa dell'imputato.

2.1.3. Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., erronea applicazione dell'art. 648 cod. pen. ed erronea mancata riqualificazione dei fatti contestati quali ipotesi di truffa.Rileva che gli assegni in questione erano stati contraffatti al fine di ingannare la fede pubblica e poiché, secondo i principi affermati dalle SS.UU. con la pronunzia n. 40256/2018, non costituisce reato la contraffazione di un assegno bancario non trasferibile per effetto della depenalizzazione dell'art. 485 cod. pen., non sussistendo un reato presupposto, trattandosi di falso penalmente irrilevante, la condotta andava riqualificata ai sensi dell'art. 640 cod. pen., non essendo configurabile una ipotesi di ricettazione, bensì un reato di truffa da dichiarare improcedibile per difetto di valida querela. Osserva che, in ipotesi di ritenuta configurabilità del reato di ricettazione, tenuto conto del numero dei titoli di importo esiguo e del numero dei titoli di cui l' imputato aveva tentato l' incasso, senza riuscirvi, ben poteva trovare applicazione l' ipotesi attenuata di cui al cpv dell' art. 648 cod. pen.

2.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla determinazione della pena, all' eccessività dell'aumento ex art. 81 cod. pen., al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonchè delle attenuanti ex art. 62 n. 4 e 114 cod. pen. Assume che nel caso di specie la pena appariva eccessiva, dovendosi riconoscere le attenuanti invocate tenuto conto del modesto pregiudizio arrecato con l'azione criminosa e degli assai risalenti precedenti dell'imputato e che andava ridotto l'aumento per la continuazione.

2.2. S M A formula tre motivi.

2.2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., erronea applicazione dell'art. 416 cod. pen. nonchè manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della sua partecipazione all' associazione a delinquere contestata al capo 1). Deduce che la corte di appello, con motivazione del tutto carente, aveva confermato la sussistenza del reato associativo, pur in difetto di prova di una affectio societatis e della indeterminatezza del disegno criminoso, risultando palese il contrario in quanto il progetto criminoso in questione era unicamente finalizzato alla spendita di assegni falsi, condotta ripetutasi secondo le medesime finalità e terminata con il compimento della condotta contestata, risultando evidente che ogni soggetto aveva accettato di svolgere un solo compito, vale a dire cambiare gli assegni contraffatti dietro corrispettivo. Assume che risultava chiaramente dagli atti che l'unico e solo obiettivo di tutti gli imputati era chiaro sin dall' inizio e si era concretizzato in una condotta identica per tutti, esauritasi nel compimento dell'azione tipica ovvero la monetizzazione dei titoli contraffatti, risultando del tutto assente la prova dell'elemento psicologico del reato di cui all' art. 416 c.p. Rileva che la corte di appello non aveva considerato che nessuno dei partecipi, ivi compresa l' imputata, erano consapevoli della fitta rete di meccanismi sottesi alla realizzazione dei reati-scopo e dei vari soggetti coinvolti e che la condotta dell' imputata poteva, tutt' al più, integrare un' ipotesi di concorso di persone nel reato ex art. 110 cod.pen., quanto all' incasso dei titoli di cui al capo di imputazione.

2.2.2. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Assume che la corte territoriale, violando il dettato di cui all' art. 133 cod. pen., aveva negato dette attenuanti in ragione della circostanza che l' imputata si era avvalsa della facoltà di non rispondere, ragionamento questo illegittimo non potendosi fondare il diniego su un giudizio negativo riguardante la condotta dell' imputata, assumendo, sotto altro profilo, che le argomentazioni della corte apparivano viziate, non avendo la stessa tenuto conto che l' imputata aveva risposto alle domande del P.M. in fase di indagini.
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