Cass. civ., sez. V trib., sentenza 16/07/2004, n. 13225
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Il giudice nazionale deve verificare la compatibilità del diritto interno con le disposizioni comunitarie vincolanti e fare applicazione delle medesime anche d'ufficio; pertanto, nel giudizio di cassazione la verifica della compatibilità col diritto comunitario non è condizionata alla deduzione di uno specifico motivo e, come nei casi dello "jus superveniens" e della modifica normativa determinata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, le relative questioni possono essere conosciute anche d'ufficio purché l'applicazione del diritto interno sia ancora controversa costituendo oggetto del dibattito introdotto con i motivi di ricorso.
In tema di imposta di registro, il contrasto della normativa italiana, di cui alla Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1988, che nel testo applicabile
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C O F - Presidente -
Dott. M S - Consigliere -
Dott. D'ALONZO Michele - rel. Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
Dott. F G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
il MINISTERO dell'ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12 presso l'Avvocatura Generale dello Stato che lo difende ope legis;
- ricorrente -
contro
la s.p.a. RIVOLTA, con sede in Milano alla Via dell'Assunta n. 8, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata nel processo di appello in Milano alla Via Alfonso Lamarmora n. 22 presso l'avv. V B che la difendeva in quel grado;
- intimata -
avverso la sentenza n. 202/33/00 depositata il 6 novembre 2000 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, notificata il 15 gennaio 2001;
udita la relazione svolta nella Pubblica udienza del 25 febbraio 2004 dal Consigliere Dott. Michele D'ALONZO;
sentita la difesa del Ministero svolta dall'Avvocato Generale dello Stato Dott. L P;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. G V, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso notificato alla s.p.a. RIVOLTA, il 12 marzo 2001 (depositato il 30 marzo 2001), il MINISTERO dalle FINANZE - premesso in fatto che detta società aveva impugnato innanzi al competente giudice tributario il silenzio rifiuto formatosi sull'istanza, presentata il 29 ottobre 1996, con la quale la stessa, assumendo che l'atto "avrebbe dovuto essere sottoposto ad imposta in misura fissa ai sensi della Direttiva 69/355/CEE", aveva chiesto il rimborso dell'imposta proporzionale di registro corrisposta per l'atto, registrato il 20 marzo 1996, di incorporazione della s.p.a. COMMERCIALE RIVOLTA della quale già deteneva l'intero capitale sociale -, in forza di un solo motivo chiedeva di cassare la sentenza n. 202/33/00 depositata il 6 novembre 2000 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, notificata il 15 gennaio 2001, che aveva respinto l'appello proposto da essa amministrazione avverso la decisione (n. 93/16/98) della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso della contribuente. La società intimata non si costituiva in giudizio ne' svolgeva attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con la sentenza gravata la commissione Tributaria della Lombardia - dopo aver esposto (1) che la s.p.a. RIVOLTA "incorporante della Commerciale Rivolta SPA", si era opposta al "silenzio-rifiuto dell'Ufficio del Registro di Milano" formatosi sull'istanza, "presentata in data 4 novembre 1996", con la quale era stato chiesto il rimborso dell'"imposta proporzionale di registro dell'1% pari a L. 66.781.000 che assumeva indebitamente percetta su atto di fusione registrato a Milano - Atti Pubblici in data 20 marzo 1996", imposta chiesta atto della registrazione in "applicazione dell'art. 4 lettera b) parte prima Tariffa allegata al DPR 131/1988" ma "in contrasto con la disciplina comunitaria di cui alla direttiva CEB 73/88 la quale, a sua volta, modificava la 69/335 del 17 luglio 1969" e (2) che la società (a) aveva sostenuto che "l'atto di fusione non doveva essere assoggettato ad Imposta (salvo la misura fissa) in quanto la direttiva CEE 85/303 in vigore dal 1 giugno 1986 prevede l'esenzione dall'imposta sui conferimenti per tutte le operazioni che "alla data del 1 luglio 1984 erano esentate, o assoggettate ad una aliquota pari o inferiore allo 0,50%" e l'assoggettamento all'aliquota dell'1% per tutti gli altri casi" e aveva confutato "l'eventuale tesi che le direttive menzionate escludessero il caso di fusione" ricordando "la sentenza n. 168-18.4.91 con la quale la Corte Costituzionale ha riconosciuto la diretta applicabilità nell'ordinamento interno delle disposizioni contenute nelle direttive con il solo limite che si tratti di disposizioni incondizionate (che non fascino margini di discrezione agli Stati membri nella loro attuazione), sufficientemente precise, non recepite nei diritto nazionale entro il termine previsto o recepite in modo inadeguato" - ha rigettato il gravame dell'Amministrazione Finanziaria dello Stato adducendo che:
"a) nell'eventualità di contrasto fra la disciplina comunitaria contenuta nelle direttive 69/335 del 17 loglio 1969, 73/80 del 9 aprile 1973 e 85/303 del 10 giugno 1985 e le disposizioni degli artt. 50 comma 4^ e 4, lettera b), della Tariffa, Parte prima allegata al DPR 131/1986 deve essere disapplicata la norma di diritto interno in forza di quanto deciso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 168 del 18 aprile 1991";
"b) l'atto di fusione deve essere assimilato agli atti di conferimento esclusivamente remunerati mediante attribuzione di quote sociali considerata la finalità delle direttive comunitarie richiamate (incentivare le operazioni di raggruppamento e di concentrazione tra imprese al fine di ridurre il più possibile gli ostacoli allo sviluppo ed al funzionamento del mercato comune dei capitali) (cfr. anche Corte di Giustizia 13 ottobre 1992, causa 50/95;
relazione governativa al disegno di legge 16 luglio 1977 n. 904)";
c) la norma applicabile nella fattispecie è pertanto quella compresa nella direttiva CEE 85/303 del 10 giugno 1985 per la quale non devono essere assoggettate ad imposizione i conferimenti remunerati mediante attribuzione di quote sociali".
2. Con l'unico motivo di ricorso il Ministero - dopo avere esposto che, "come risultava chiaramente dalla pagina 3 dell'atto di fusione", la società incorporante "alla data dell'atto di fusione per incorporazione era già in possesso dell'intero capitale azionario della società incorporata" - lamenta, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., "violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 7 e 12 della Direttiva 69/335/CEE" adducendo che, come chiarito dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee con la sentenza del 27 ottobre 1998 (in causa C-152/97, Abbruzzi Gas s.p.a.) e da questa Corte (Cass. 3 settembre 1999 n. 9284 e 6 ottobre 1999 n. 11100), alla fattispecie "non si rendeva applicabile" la disposizione dettata dal detto art. 7 (nel testo introdotto con la direttiva n. 85/303/CEE) "per mancanza del requisito essenziale, e cioè che il
conferimento fosse esclusivamente remunerato "mediante attribuzione di quote sociali" atteso che, "essendo la incorporante già proprietaria del 100% del capitale della società incorporata", la fusione non aveva comportato nessun aumento di capitale "con conseguente esclusione di qualsiasi attribuzione di quote o azioni della società incorporante".
Secondo il ricorrente, quindi, "non essendosi realizzate le condizioni a cui l'art. 7 della direttiva subordinava la riduzione (fino al 31 dicembre 1985) dell'aliquota e, successivamente, la esenzione dall'imposta, correttamente la fusione è stata tassata in misura proporzionale in base alla normativa interna".
3. In via preliminare va verificata ex officio l'ammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dal Ministero.
A. La questione nasce dal fatto che in tale ricorso
l'inapplicabilità alla specie della Direttiva CEE n. 69/335/CEE viene collegata alla peculiarità, della quale non vi è cenno nella sentenza impugnata e che è stata evidenziata per la prima volta solo in questo giudizio di legittimità, secondo la quale, nella concreta fattispecie, la fusione per incorporazione è stata operata da una società la quale possedeva già l'intero capitale sociale della società