Cass. civ., SS.UU., sentenza 12/02/2013, n. 3271
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Le intercettazioni telefoniche o ambientali, effettuate in un procedimento penale, sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare riguardante i magistrati, purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti previsti dall'art. 270 cod. proc. pen., norma quest'ultima riferibile al solo procedimento penale deputato all'accertamento delle responsabilità penali dell'imputato o dell'indagato sicché si giustificano limitazioni più stringenti in ordine all'acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale.
In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, alla luce delle disposizioni di cui agli artt. 14 e 15 del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, non sussiste alcun obbligo di comunicazione all'incolpato in relazione allo svolgimento delle indagini preliminari, che si risolvono in un'attività amministrativa finalizzata all'acquisizione di una più completa e precisa cognizione dei fatti, unicamente in funzione delle valutazioni di competenza del P.G. circa l'esercizio dell'azione disciplinare.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P R - Primo Presidente f.f. -
Dott. T F - Presidente Sez. -
Dott. R R - Presidente Sez. -
Dott. M M - Consigliere -
Dott. F F - Consigliere -
Dott. A G - Consigliere -
Dott. M V - Consigliere -
Dott. C M M - Consigliere -
Dott. B R - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
T.B.G. , elettivamente domiciliato in Roma, piazza
Mincio 4, presso l'avv. S V, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, in persona del Presidente pro tempore;
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;
- intimati -
Avverso l'ordinanza n. 91/2012 pronunciata dalla competente Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in data 29 maggio 20123, con motivazione depositata il 5 luglio 2012 e comunicata il 18 luglio 2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29 gennaio 2013 dal Consigliere R B;
Udito l'avv. V S per la parte ricorrente;
Udito il P.M., in persona dell'Avvocato Generale Dott. C R, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Dott. G..T. - all'epoca dei fatti sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Modena - è incolpato dell'illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, art. 2, comma 1, lett. a) ed e), e art. 4, comma 1, lett.
d), per aver, tra l'aprile e il maggio 2011, anche per il tramite di un funzionario di cancelleria, "predisposto accessi al Registro Generale della Procura della Repubblica per acquisire indebitamente notizie relative a un procedimento penale iscritto a carico del personale sanitario in servizio presso il Policlinico di Modena e avrebbe provveduto all'illecita divulgazione dei dati che avrebbe ripetutamente comunicato alla Prof. M.M.G. , persona sottoposta ad indagine".
La Sezione disciplinare del CSM con ordinanza del 29 maggio 2012, depositata il 5 luglio 2012 e comunicata il 18 luglio 2012 all'incolpato, ha disposto, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art.13, comma 2, il trasferimento provvisorio dell'incolpato al Tribunale
di Piacenza con funzioni di giudice.
Avverso tale provvedimento il Dott. T. propone ricorso a queste Sezioni Unite con tre motivi. Il CSM e il Ministero della Giustizia non si sono costituiti in giudizio.
MOTIVAZIONE
1. Preliminarmente va affermata la tempestività del ricorso qui in esame depositato al CSM il 17 settembre 2012, sulla base del principio affermato da queste Sezioni Unite, secondo cui: "Il termine per proporre ricorso per cassazione contro l'ordinanza camerale di trasferimento cautelare del magistrato D.Lgs. n. 109 del 2006, ex art. 13, comma 2, e art. 22, comma 1, è di quindici giorni,
decorrenti dalla comunicazione dell'ordinanza medesima. (In motivazione, la Suprema Corte ha precisato che opera, al riguardo, la prescrizione di carattere generale di cui all'art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), e non quella derogatoria di cui all'art. 311 c.p.p.)"
(Cass. S.U. 26 settembre 2011, n. 19566 ). 2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 15, sia sotto il profilo di cui al comma 4 (inizio del procedimento e relativa decadenza), sia sotto il profilo di cui al comma 5 (per omessa comunicazione all'incolpato dell'inizio del procedimento).
2.1. Il ricorrente sostiene che l'inizio del procedimento e i termini per la relativa comunicazione debbono farsi risalire ben oltre il 4 maggio 2012, data del formale esercizio dell'azione disciplinare, fino al 30 giugno 2011 data nella quale il Dott. T. è iscritto nel registro degli indagati per il reato di cui all'art. 615 ter c.p., presso la Procura di Ancona, competente ex art. 11 c.p.p..
Afferma il ricorrente che l'ordinanza impugnata non abbia adeguatamente risposto alla predetta eccezione, sollevata innanzi alla Sezione disciplinare del CSM, in quanto si è basata su un erroneo richiamo alla sentenza n. 27172 del 2006 delle Sezioni Unite, la quale ha deciso una controversia regolata dal D.P.R. n. 916 del 1958, art. 59. 3. Il motivo non è fondato. Queste Sezioni Unite con la richiamata sentenza hanno stabilito che il D.P.R. n. 916 del 1958, art. 59, "individua l'inizio del procedimento nella data della comunicazione del P.G. al Consiglio Superiore della Magistratura, alla quale è collegato anche l'obbligo di dare comunicazione all'incolpato, con l'indicazione del fatto addebitatogli, a pena di nullità degli atti istruttori compiuti" (Cass. S.U. 20 dicembre 2006, n. 27172 ). 3.1. Una conclusione questa che, nella sostanza, non appare dissimile da quella ricavabile dalle "nuove" disposizioni di cui al D.Lgs. n.109 del 2006, artt. 14 e 15, alla luce del principio enunciato da
queste Sezioni Unite secondo cui "il D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 15, fa decorrere il termine di un anno per la promozione
dell'azione disciplinare nei confronti del magistrato, da parte del P.G. presso la Corte di cassazione, dalla conoscenza della notizia del fatto di rilievo disciplinare che lo stesso acquisisca a seguito dell'espletamento di sommarie indagini preliminari, di una denuncia circostanziata, o di una segnalazione del Ministro della giustizia e non attribuisce rilevanza alcuna al momento in cui di tale fatto siano venuti a conoscenza gli organi tenuti a darne comunicazione al P.G. presso la Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 14, comma 4, dello stesso D.Lgs. (Consiglio superiore della magistratura, consigli giudiziari e dirigenti degli uffici, compresi tra questi i presidenti di sezione e i presidenti di collegio nonché i procuratori aggiunti che debbono comunicare ai dirigenti degli uffici i fatti concernenti l'attività dei magistrati della sezione o del collegio o dell'ufficio che siano rilevanti sotto il profilo disciplinare), sia perché tale conoscenza non determina quella, neanche materiale (oltre che giuridica), degli stessi fatti anche per il titolare dell'azione disciplinare - solo l'inerzia del quale (protratta oltre il termine fissato dal legislatore) è pertinente - sia perché il rilievo disciplinare di un fatto può essere stabilito unicamente dal titolare dell'afferente potere, essendo il relativo apprezzamento il risultato di un giudizio proprio ed esclusivo dello stesso (e non di altri), diverso, peraltro, e ben più pregnante, rispetto a quello concernente soltanto la rilevanza di quello stesso fatto ai fini dell'insorgenza del predetto obbligo di comunicazione" (Cass. S.U. 5 luglio 2011, n. 14665 ).