Cass. pen., sez. V, sentenza 04/02/2020, n. 04746
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Testo completo
a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: LOMBARDI SHARON nato a TRIESTE il 16/06/1986 avverso la sentenza del 30/05/2018 della CORTE APPELLO di TRIESTEvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere I S;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE FIMIANI che ha concluso chiedendo Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
1. L S ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste del 30 maggio 2018, che ha confermato la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale della stessa città per il delitto di tentato furto aggravato dall'essere stato il fatto commesso su cosa esistente in un ufficio pubblico: segnatamente sul portafogli di una funzionaria del Comune di Trieste, che l'aveva lasciato nella borsa custodita all'interno di uno dei locali in cui gli uffici comunali erano situati.
2. L'impugnativa denuncia la violazione dell'art. 625, comma 1, n. 7 cod.pen.. Assume che la ratio dell'aggravante contestata e riconosciuta va individuata nell'esigenza di maggior tutela che devono ricevere i beni necessari per l'espletamento della funzione pubblica in sé: donde, non ne sarebbe meritevole la cosa di proprietà di una dipendente dell'ufficio pubblico, in quanto occasionalmente presente nei luoghi in cui la funzione pubblica viene normalmente esercitata e, perciò, priva di quel collegamento intrinseco con lo svolgimento della detta funzione, espresso dalla locuzione:«cosa esistente in un ufficio pubblico».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. L'art. 625, comma 1, n. 7 cod.pen. stabilisce, nella sua prima parte, che il delitto di furto è aggravato: «se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici>>. La dottrina si è espressa nel senso di ritenere che la richiamata disposizione, corrispondente alla prima parte dell'art. 403, n. 1 del codice penale del 1889, nel quale era sancito un aumento della pena per il fatto commesso «in uffici, archivi, o stabilimenti pubblici, sopra cose in essi custodite», attinge il proprio fondamento di giustificazione nella necessità di accordare una maggior tutela alle cose che
udita la relazione svolta dal Consigliere I S;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASQUALE FIMIANI che ha concluso chiedendo Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
1. L S ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste del 30 maggio 2018, che ha confermato la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale della stessa città per il delitto di tentato furto aggravato dall'essere stato il fatto commesso su cosa esistente in un ufficio pubblico: segnatamente sul portafogli di una funzionaria del Comune di Trieste, che l'aveva lasciato nella borsa custodita all'interno di uno dei locali in cui gli uffici comunali erano situati.
2. L'impugnativa denuncia la violazione dell'art. 625, comma 1, n. 7 cod.pen.. Assume che la ratio dell'aggravante contestata e riconosciuta va individuata nell'esigenza di maggior tutela che devono ricevere i beni necessari per l'espletamento della funzione pubblica in sé: donde, non ne sarebbe meritevole la cosa di proprietà di una dipendente dell'ufficio pubblico, in quanto occasionalmente presente nei luoghi in cui la funzione pubblica viene normalmente esercitata e, perciò, priva di quel collegamento intrinseco con lo svolgimento della detta funzione, espresso dalla locuzione:«cosa esistente in un ufficio pubblico».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. L'art. 625, comma 1, n. 7 cod.pen. stabilisce, nella sua prima parte, che il delitto di furto è aggravato: «se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici>>. La dottrina si è espressa nel senso di ritenere che la richiamata disposizione, corrispondente alla prima parte dell'art. 403, n. 1 del codice penale del 1889, nel quale era sancito un aumento della pena per il fatto commesso «in uffici, archivi, o stabilimenti pubblici, sopra cose in essi custodite», attinge il proprio fondamento di giustificazione nella necessità di accordare una maggior tutela alle cose che
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