Cass. pen., sez. V trib., sentenza 16/08/2019, n. 36155

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V trib., sentenza 16/08/2019, n. 36155
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 36155
Data del deposito : 16 agosto 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MEOLI UMBERTO nato a BUSTO ARSIZIO il 08/02/1968 avverso la sentenza del 30/04/2018 della CORTE APPELLO di MILANOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere M B;
udito il Sostituto Procuratore Generale T E ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio per la rideterminazione della pena interdittiva e rigetto nel resto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, datato 30.4.2018, la Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Milano il 10.5.2016 con rito abbreviato, ha rideterminato la pena nei confronti di M U per i reati di bancarotta fraudolenta documentale in relazione alla società ICE s.r.I., poi fallita il 17.5.2012, e di aggravamento del dissesto della predetta società, previsto dall'art. 217, comma 1, n. 4 I. fa/I.: all'imputato vengono contestate formalmente tali condotte nella sua qualità di amministratore unico della fallita dalla sua costituzione fino al 24.5.2010;
tuttavia, i giudici di merito, concordemente hanno ricondotto la sua responsabilità a quella del socio amministratore di fatto, poiché si è accertato che il suo incarico formale è durato sino all'estate del 2009, ed è stata l'iscrizione nel registro delle imprese della delibera di nomina del nuovo amministratore P L (al quale i reati sono stati pure contestati in concorso con l'odierno imputato) ad essere ritardata ed avvenuta solo il 24.5.2010. La pena inflitta a M, in seguito alla rideterminazione, è di due anni e due mesi di reclusione, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante di cui all'art. 219, comma 2, n. 1 I. fall. (la cd. continuazione fallimentare). Sono state confermate le pene accessorie della sentenza di primo grado inflitte ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 216 I. fall.

2. Avverso tale provvedimento propone ricorso l'imputato, tramite il difensore avv. Aufiero, deducendo quattro distinte eccezioni.

2.1. Il primo argomento difensivo fa leva sulla violazione di legge ed il vizio di motivazione: si sarebbe verificata una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e nullità della sentenza impugnata ex artt. 512 e 522 cod. proc. pen. La sentenza di primo grado e, corrispondentemente quella di conferma d'appello, ha condannato il ricorrente quale "esterno alla compagine sociale" e non nella sua qualità di amministratore formale della società, che è stata invece esclusa, aderendo alla tesi difensiva, proposta in abbreviato. Si è verificata violazione del diritto di difesa poiché l'imputato si è contrapposto alla accusa precisa di aver realizzato condotte di bancarotta rivestendo la qualifica di amministratore legale unico negli anni di carenza documentale e di aggravamento del dissesto, laddove, invece, è stato poi condannato per la diversa condotta di aver continuato ad operare sui conti correnti (il reato di aggravamento del dissesto di cui al capo B) e di non aver lasciato traccia contabile di tali operazioni (capo c). Stante la diversità tra la contestazione mossa all'imputato e la condanna, il Tribunale avrebbe dovuto adottare la procedura di maggior garanzia della modifica della contestazione per fatto diverso, con trasmissione degli atti al pubblico ministero competente, trattandosi peraltro di rito abbreviato.

2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce nullità della sentenza per violazione di legge e, in particolare, degli artt. 441, 517 e 522 cod. proc. pen., nonché mancanza di motivazione in relazione all'illegittimo riconoscimento della cd. continuazione fallimentare, poiché la stessa non è stata specificamente contestata, neppure in fatto. La Corte d'Appello ha respinto l'analoga eccezione proposta con l'impugnazione di merito, con la sottolineatura della mancanza solo del "formale richiamo" alla disposizione di legge: la difesa ritiene che tale circostanza debba formare specifico ed esplicito oggetto dell'imputazione. Invero, nel capo d'imputazione mancano sia la enunciazione letterale dell'aggravante sia il richiamo normativo.

2.3. La terza eccezione difensiva oppone nullità della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 223, 216, comma 1, n. 2 e 217, comma 1, n. 4, I. fall. nonché per manifesta illogicità della motivazione in relazione ad entrambi i capi d'imputazione. La Corte d'Appello ha affermato la responsabilità del ricorrente ritenendo fittizio il suo allontanamento dalla gestione della compagine sociale della fallita, ma non ha risposto adeguatamente, invece, alle ragioni difensive indicate nell'atto di appello circa il fatto che l'abbandono degli incarichi di gestione fosse stato effettivo;
in particolare, la motivazione del provvedimento impugnato non si è confrontata con alcuni elementi significativi addotti dalla difesa: dopo l'uscita del ricorrente dalla società, il nuovo amministratore di diritto ne ha modificato la denominazione e trasferito la sede (da Mercogliano, in provincia di Avellino, a Milano), mentre il Tribunale di Avellino ha assolto l'imputato dal reato tributario contestato in relazione alla società fallita in ragione della sua estraneità ad essa al momento della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi (il 30.9.2009). Inoltre, è illogica la motivazione d'appello poiché ritiene la mancanza della documentazione contabile anche negli anni della gestione del ricorrente, mentre, invece, il bilancio del 2008, è stato redatto al 15.4.2009 dal nuovo amministratore Peluso, a riprova della regolarità della documentazione presupposta alla sua redazione. Altra ragione di illogicità riguarda l'aver desunto la prova della responsabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale dalle presunte operazioni di movimentazione bancaria poste in essere dall'imputato per la gestione della società, pur dopo la cessazione formale dalla carica di amministratore, ma tale argomentazione è, da un lato ancorata solo alle affermazioni del curatore, già rivelatosi inaffidabile nell'individuare erroneamente il ricorrente come amministratore formale della fallita al momento del fallimento, dall'altro, è del tutto inidonea a fondare la prova del reato contestato, poiché la si trae da una condotta completamente differente di concorso dell'extraneus in bancarotta fraudolenta patrimoniale (non contestata al ricorrente).Q 9 Si evidenziano, altresì, ulteriori elementi di contraddittorietà della motivazione della Corte d'Appello di Milano, proponendo una diversa lettura degli elementi di prova esaminati dai giudici di merito e insistendo sulla inattendibilità del curatore.

2.4. Infine, con il quarto motivo di doglianza difensiva, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancanza della prova dell'elemento soggettivo per entrambi i reati per i quali vi è stata condanna: non emerge la prova della consapevolezza da parte del ricorrente del prossimo stato di insolvenza della società fallita all'atto della commissione delle condotte contestate (indispensabile per la configurabilità del reato di cui al capo 2 dell'imputazione), né vi è prova della finalizzazione di esse a recare pregiudizio ai creditori ovvero a trarne profitto per sé o per altri (coefficiente soggettivo indispensabile per ritenere sussistente il reato di cui al capo 1). Con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale, si evidenzia che al più potrebbero essere emersi gli elementi per una sua riqualificazione in bancarotta semplice documentale.
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