Cass. pen., sez. VI, sentenza 15/05/2023, n. 20619
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la seguente SENTENZA Sul ricorso proposto da B B, nato a Cerano 1'11/04/1944 avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Torino 1'11/04/2022 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere, P S;lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. E P, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essersi il reato estinto per prescrizione;lette le conclusioni dell'avv. M M, difensore dell'imputato, che ha insistito nell'accoglimento dei motivi di ricorso;RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza di assoluzione emessa nei riguardi di B B perchè il fatto non costituisce reato, ha condannato l'imputato per il reato di peculato contestato al capo DD). A B è contestato, nella qualità di direttore generale e responsabile unico del procedimento nella iniziativa pubblica denominata "B 528- interventi di ristrutturazione del diramatore Q S per il recupero di risorse idriche -, di avere autorizzato la cessione, per il corrispettivo di 50.000 euro, di terra di risulta di proprietà demaniale (Regione Piemonte), proveniente dall'esubero degli scavi, in favore della società Giovannini Costruzione s.p.a., introitando l'incasso nella gestione ordinaria dell'Aies (Associazione Irrigazione Est Sesia- Consorzio), senza tuttavia applicare le procedure previste dagli artt. 63 e ss. R.D. 827 del 23 maggio 1924 (regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato) in tal modo procurando ad Aies un vantaggio patrimoniale con pari danno per l'erario. 2. Ha proposto ricorso l'imputato articolando nove nnotiv;ricostruito lo sviluppo del processo, evidenzia il difensore che: a) l'imputato era stato rinviato a giudizio per 34 capi di imputazione aventi ad oggetto una serie di gravi reati (peculato, turbativa d'asta, abuso d'ufficio, falsi, truffa ai danni dello stato, associazione per delinquere) e che l'originario oggetto del processo era l'intera gestione dell'Aies da parte di B e dei suoi più stretti collaboratori;b) il Tribunale aveva assolto o comunque prosciolto l'imputato da tutti i reati;c) la Procura della Repubblica aveva impugnato l'assoluzione limitatamente al reato associativo - in relazione al quale vi è stata una successiva rinuncia all'impugnazione - e a due fatti di peculato (Capi Q - DD);d) il Procuratore impugnante aveva chiesto la quasi integrale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ai sensi dell'art 603, comma 3 bis, cod. proc. pen. e che in tale contesto erano stati indicati una serie di testimoni e consulenti di cui si chiedeva il riascolto senza tuttavia precisare i temi su cui l'ascolto avrebbe dovuto vertere, quali fossero le dichiarazioni erroneamente valutate, quali le ragioni per cui la rinnovazione sarebbe stata necessaria. In tale quadro di riferimento, si isola il fatto per cui si procede, e cioè che l'imputato avrebbe autorizzato la vendita di un carico di terra ritenuta demaniale a una società privata che avrebbe poi corrisposto il prezzo di vendita al consorzio e non all'ente ritenuto proprietario, cioè alla Regione Piemonte. 2.1. Sulla base di tali presupposti con il primo motivo si deduce violazione di legge processuale per avere escluso la Corte la propria cognizione in ordine alla verifica dell'elemento oggettivo del reato contestato. La preclusione sarebbe stata ritenuta sulla base di due argomentazioni. La prima è che, in assenza di impugnazione dell'imputato, il principio devolutivo avrebbe impedito ad essa di esaminare d'ufficio il punto relativo alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato: nella specie, secondo la Corte, non potrebbe farsi riferimento all'art. 597 cod. proc. pen., secondo cui quando appellante è il Pubblico Ministero il giudice può prosciogliere per una causa diversa.La seconda argomentazione è conseguerte al principio affermato da una sentenza della Corte di cassazione, secondo cui nei casi di appello proposto dal Pubblico Ministero avverso una sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, la Corte non potrebbe assolvere per difetto del nesso causale, cioè per una ragione riguardante l'elemento oggettivo del reato (Sez. 4, n. 7088 del 2021). Secondo l'imputato entrambe le argomentazioni non sarebbero condivisibili. La giurisprudenza consolidata di legittimità avrebbe chiarito che, in caso di impugnazione del Pubblico Ministero, l'appello avrebbe effetto pienamente devolutivo e l'imputato sarebbe rimesso nella fase iniziale del giudizio, potendo quindi riproporre tutte le istanze relative alla ricostruzione del fatto e alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato. Tale principio troverebbe applicazione anche nel caso di appello dell'Accusa proposto avverso una sentenza di assoluzione perchè il fatto non costituisce reato, quindi potenzialmente appellabile ai sensi dell'art. 593 cod. proc. pen. dallo stesso imputato (si cita Sez. 5, n. 30526 del 2021 intervenuta su un fatto identico a quello per cui si procede). Il principio devolutivo, si aggiunge, non sarebbe intangibile, esistendo numerose disposizioni - tra cui quella prevista dall'art. 597, comma 2, lett. b), cod. proc. pen.- che consentono al giudice, nel caso di impugnazione del Pubblico Ministero, di assolvere per una causa diversa. La giurisprudenza della Corte di cassazione, nell'affermare l'ambito di cognizione del giudice d'appello, avrebbe da tempo riconosciuto il principio per cui sono devoluti non solo i punti in senso stretto ex art. 597, comma 1, cod. proc. pen., ma anche quelli legati, come nel caso di specie, da vincoli di connessione essenziale, logico giuridica e pregiudizialità, dipendenza o inscindibilità. Né sarebbe corretto individuare nell'appello incidentale dell'imputato lo strumento che B avrebbe dovuto utilizzare per estendere la cognizione del giudice d'appello sui punti non impugnati dal Pubblico Ministero, dovendo l'appello incidentale, secondo i principi fissati dalla Corte di cassazione, avere ad oggetto i medesimi punti impugnati con l'appello principale: la Corte, si sottolinea, avrebbe in passato ritenuto inammissibile l'appello incidentale in casi del tutto sovrapponibili a quello in esame. Dunque una sentenza viziata da annullare. 2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge extrapenale che influisce nell'applicazione della legge penale;si fa riferimento all'art. 36 del D.M. 145 del 19 aprile 2000 e alla parte della sentenza impugnata in cui la Corte avrebbe equiparato la vendita della terra di risulta all'attività di estrazione di ghiaia, senza tuttavia considerare le circostanze in cui è avvenuta la vendita, posta in essere nell'ambito di un appalto pubblico, e negando quindi irrítualmente la esistenza di pieni poteri dell'Aies sul materiale oggetto di alienazione.La Corte d'appello, argomenta l'imputato, avrebbe erroneamente ritenuto che il Consorzio non fosse proprietario della terra di risulta, che B non potesse disporre "uti dominus" e che il Consorzio non potesse apprendere il corrispettivo della cessione, in quanto spettante alla Regione. 2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge con riferimento all'art. 36 del R.D. n.1775 del 1993, degli artt. 134 e ss. del R.D. 368 del 1904 e dell'art. 24 della legge regionale Piemonte n. 21 del 1999, la cui erronea interpretazione sarebbe stata posta a fondamento della tesi della Corte secondo cui la vendita sarebbe stata illecita in quanto compiuta senza una previa autorizzazione. 2.4. Con il quarto motivo si lamenta vizio di motivazione e violazione di legge in riferimento alle dichiarazioni del teste Occhipinti e, in particolare, con riguardo all'affermazione della Corte di appello secondo cui la riscossione del prezzo di vendita sarebbe stato "di competenza" della Regione Piemonte e dunque che quelle somme non potessero essere incassate da Aies. Si tratterebbe di conclusioni "autocratiche" (così il ricorso), prive di qualsiasi motivazione.
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