Cass. civ., sez. II, sentenza 22/08/2002, n. 12366

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La parte che vuole denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nella interpretazione di un contratto da parte del giudice di merito non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., ma deve specificare i canoni in concreto violati ed il punto ed il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato perché in caso diverso la critica della ricostruzione della volontà contrattuale operata dal giudice e la proposta di un a diversa interpretazione investe il merito delle valutazioni del giudice ed è, perciò, inammissibile in sede di legittimità.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 22/08/2002, n. 12366
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12366
Data del deposito : 22 agosto 2002

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F PI - Presidente -
Dott. U R - Consigliere -
Dott. G N - Consigliere -
Dott. V C - Consigliere -
Dott. F P F - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
F B, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA VALADIER

33, presso lo studio dell'avvocato F S, difesa dall'avvocato R T, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
L A, MOSCA MARIA, elettivamente domiciliati in

ROMA VIA SIRACUSA

16, presso lo studio dell'avvocato G M, che li difende unitamente all'avvocato A M, giusta delega in atti;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 322/99 della Corte d'Appello di CATANZARO, depositata il 24/05/99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/05/02 dal Consigliere Dott. F P F;

udito l'Avvocato R T, difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito l'Avvocato G M, difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. M VELARDI che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 17 giugno 1982, B F conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Catanzaro, i coniugi A L e M M perché, in adempimento degli obblighi assunti con contratto preliminare del 5 aprile 1981, fossero condannati al pagamento della somma di lire 8.000.000, oltre interessi e maggior danno di mora, nonché all'assolvimento degli oneri di registrazione di quel contratto.
Assumeva che, con scrittura privata del 5 aprile 1981, aveva promesso di vendere ai detti coniugi, i quali, a loro volta, si erano obbligati allo acquisto, una unità immobiliare del complesso edilizio, da essa Fratto realizzato in agro di Sellia Marina;
che il prezzo di vendita dell'unità immobiliare era stato concordato in complessive lire 38.000.000, da corrispondersi in tre rate, la prima di lire 3.000.000 al momento della scrittura privata, la seconda di lire 27.000.000 al 1^ luglio 1981 e la terza di lire 8.000.000 entro la fine del 1981;
che, dopo aver corrisposto le prime due rate, i promissari acquirenti, cui il bene era stato consegnato il 1^ giugno 1981, si erano rifiutati di pagare la terza, adducendo pretese ma insussistenti inadempienze contrattuali di essa promittente venditrice.
A L e M M resistevano alla domanda e, al contempo, in via riconvenzionale, chiedevano la condanna della controparte sia al trasferimento dell'unità immobiliare promessa, esente da qualsivoglia vizio ed irregolarità, nonché completa di tutte le infrastrutture concordate, e sia alla eliminazione di ogni possibile incongruenza, rispetto a quanto pattuito, oltre al risarcimento dei danni subiti.
Deducevano, in particolare, che la controparte, promittente venditrice, era inadempiente agli obblighi assunti, posto che l'unità immobiliare avrebbe dovuto essere consegnata a "perfetta regola d'arte" e con certificato di abitabilità, entro il 1^ giugno 1981, insieme agli impianti ed ai servizi condominiali, di cui al progetto richiamato nella scrittura privata, e che il contratto definitivo di compravendita avrebbe dovuto essere concluso entro il 1^ settembre 1981 e riguardare anche il trasferimento dei diritti e delle ragioni inerenti al bene.
Nel corso del processo, l'attrice mutava la domanda di adempimento in domanda di risoluzione del contratto preliminare, per inadempimento dei promissari acquirenti.
I convenuti, dal canto loro, in via d'urgenza, ai sensi dell'art. 700 c.p., chiedevano il ripristino dell'erogazione d'acqua, interrotta
con riguardo all'unità immobiliare, promessa in vendita, ripristino poi non disposto per la sopravvenuta riattivazione del flusso idrico. All'esito d'accertamento tecnico, con sentenza del 25 gennaio/30 giugno 1995, il Tribunale di Catanzaro respingeva la domanda attorea di risoluzione del contratto ed accoglieva, invece, per quanto di ragione, la domanda riconvenzionale dei convenuti. Disponeva, quindi, a favore dei convenuti, il trasferimento dell'appartamento promesso in vendita, oltre alla quota proporzionale degli spazi comuni, subordinatamente al versamento della somma di lire 8.000.000. Condannava l'attrice ad eseguire, nell'ambito del complesso di sua pertinenza, la rete fognante generale e l'impianto di depurazione dell'acqua, nonché a completare la rete stradale d'accesso ed a svolgere, secondo le prescrizioni della consulenza tecnica, gli interventi necessari per il completamento a regola d'arte dell'immobile promesso in vendita. Le spese di lite, incluse quelle della procedura d'urgenza, erano poste a carico dell'attrice. Entrambe le parti interponevano gravame: B F, in via principale, ed i coniugi A L e M M, in via incidentale.
Con sentenza del 7 aprile/24 maggio 1999, la Corte d'appello di Catanzaro rigettava il gravame principale ed accoglieva, per quanto di ragione, il gravame incidentale. Quindi, in parziale riforma della sentenza impugnata, confermata nel resto, disponeva "il trasferimento, in favore dei coniugi L A e M M, della proprietà dell'appartamento di cui al preliminare di vendita inter partes del 5/4/1981, così come già peraltro decretato dal Tribunale, in uno con tutti i diritti, le ragioni, azioni, pertinenze e servitù attive che vi ineriscono, nonché della proprietà della quota proporzionale degli impianti e dei servizi condominiali previsti nel progetto approvato, per l'intero complesso edificato, con concessione edilizia n. 72/78 del Sindaco di Sellia Marina." Le spese del grado erano poste a carico dello appellante principale. In particolare, osservava la Corte che lo appartamento (villetta) promesso in vendita, unità immobiliare del più ampio complesso edificato dalla promittente venditrice, doveva essere commisurato al progetto approvato con concessione edilizia n. 72/78 del sindaco di Sellia Marina, progetto - appunto - richiamato nelle premesse del contratto preliminare, così da esserne elemento integrante, anche a fini di identificazione del relativo oggetto. Rilevava, poi, in tale contesto, secondo valutazione comparativa delle condotte delle parti, che i promissari acquirenti non avevano realizzato inadempienza tale da giustificare la risoluzione di quel contratto.
Per la cassazione di tale sentenza, B F ha proposto ricorso in forza di sei motivi.
A L e M M hanno resistito con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. MOTIVI DELIA DECISIONE
Con il primo motivo, rubricato "Violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1455, 1208, 1209 e 2932 c.c., in relazione ai nr. 3 e 5 dell'art. 360 C.P.C.. Violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p. anche in relazione agli artt. 183, 184 e 189 c.p.c. ed agli
artt. 1453 e 1455 c.c.. Violazione di legge ed omessa e contraddittoria motivazione", la ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ritenuto inammissibile e, in ogni caso, infondata la domanda di risoluzione contrattuale, da essa ricorrente proposta. Sostiene che tale domanda non era nuova, perché proposta in primo grado, all'udienza di precisazione delle conclusioni, prima della riforma del 1990, ne' era infondata, attesa la inadempienza delle controparti alla obbligazione di pagamento della ultima rata del prezzo di vendita del bene, nel termine previsto per fine anno 1981, senza ulteriori condizionamenti.
Il motivo non ha pregio.
Ed invero, nella sua prima parte, la doglianza è al di fuori della necessaria correlazione con le statuizioni della sentenza impugnata, che non esprime alcun giudizio di inammissibilità della domanda di risoluzione in oggetto, perché nuova, raffigurando, invece, al punto F della motivazione, un giudizio siffatto con riguardo al diverso tema di indagine, introdotto in appello dalla ricorrente, "secondo cui il Tribunale non avrebbe considerato che la determinazione delle aree esterne e dei beni condominiali era stata rimessa contrattualmente, con appropriata clausola, alla promittente venditrice, che vi avrebbe ovviato con il poi attuato regolamento di condominio."
Nella sua seconda parte, la doglianza è generica e, impropriamente, involge il merito della controversia, per quanto - al di là dei dati formali esposti sostanzialmente raffigura una tesi di fondatezza della domanda di risoluzione in oggetto, contrapponendola al contrario rilievo della Corte territoriale, senza specifica critica delle ragioni di decisione, esposte sul punto dalla sentenza impugnata, ai capi C, D ed F della motivazione.
Con il secondo motivo, rubricato "Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. e 1138 c.c. con riferimento all'art. 1350, all'art. 2932 C.C., all'art. 2931 c.c., nonché dell'art. 112 c.p.c., in relazione ai nr. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c.. Violazione di legge ed omessa e contraddittoria motivazione", la ricorrente si duole che la Corte di merito abbia individuato i beni, oggetto del trasferimento, e gli ulteriori obblighi di essa ricorrente non in forza di quanto emergente dal contratto preliminare, ma richiamando allegati, citati in premessa e non sottoscritti, rispetto ai quali nessun obbligo o vincolo essa ricorrente aveva assunto. Sostiene, infatti, che il Tribunale, prima, e la Corte di merito, poi, "hanno operato interpretazioni arbitrarie e scelte in palese contrasto con precise disposizioni di legge e comuni canoni ermeneutici... hanno ritenuto di includere nella promessa di vendita una quota di comproprietà delle parti comuni del complesso immobiliare... hanno erroneamente fondato le proprie statuizioni su presupposti erronei, fuorviati dalle risultanze di una consulenza non obiettiva... in quanto gli obblighi della Sig.ra Fratto sono stati valutati non alla stregua degli impegni assunti con il preliminare di vendita, ma considerando risultanze progettuali generali rispetto alle quali esisteva la espressa facoltà della impresa costruttrice di apportare modifiche tecniche... erroneamente il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto - e la Corte d'appello ha confermato - di dovere considerare parte integrante del preliminare di vendita la concessione edilizia (la n^ 72/78) di cui alle premesse, ed il progetto del complesso (mai espressamente richiamato), così arrivando ad una soluzione, oltre che illegittima, anche profondamente iniqua... hanno finito con il confondere gli obblighi del costruttore nei confronti della P.A. con quelli - diversi - assunti nei confronti dei privati acquirenti delle singole unità... nessun riferimento espresso, per come avrebbe dovuto essere, vi è nel preliminare circa le c.d. parti comuni specifiche, create (ed inventate) con una forzatura interpretativa dei giudici di merito, in contrasto con la previsione delle norme generali in materia di interpretazione del contratto, che correttamente interpretato, ha tutt'altro tenore e significato... i giudici di merito avrebbero dovuto limitarsi all'emissione di una sentenza attinente esclusivamente la casetta, senza estendere gli effetti ad altre parti del complesso condominiale e ad accessori della unità immobiliare...".
Il motivo non ha pregio.
Ed invero, pur denunciando errori di diritto e vizi di ragionamento nella interpretazione del contratto preliminare in oggetto, per poi dedurne anche vizio di ultrapetizione, la ricorrente, oltre a non dare specifico conto dei canoni ermeneutici violati, non chiarisce il punto e, soprattutto, il modo in cui il giudice si sia da quei canoni discostato, limitandosi in buona sostanza a criticare la ricostruzione della volontà e del contenuto di quel contratto, operata dalla Corte di merito, attraverso la proposta di una diversa interpretazione negoziale, e, quindi, così investendo il merito delle valutazioni della Corte territoriale, inammissibilmente, in sede di legittimità (v. ex plurimis Cass. 3249/99, n. 5346/98, n. 914/96 e n. 7641/94). Tale inammissibilità del motivo, desunta dalla sua stessa lettera, innanzi riportata nei punti salienti, è evidenziata, altresì, sul più particolare piano della specificità, dalla mancata precisazione in ricorso del contenuto del contratto preliminare, della cui interpretazione si discute, così che, giusta principio di autosufficienza di tale mezzo d'impugnazione, resta palesemente pregiudicata la stessa comprensione, puntuale e pronta, delle questioni portate all'esame di questa Corte.
Con il terzo motivo, rubricato "Violazione e falsa applicazione dell'art. 1490, 1491, 1494, 1495 e 1224 c.c. in relazione ai nr. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c.. Violazione di legge e difetto di motivazione", la ricorrente si duole che la Corte di merito, dando ingiustificato credito ai rilievi del consulente tecnico d'ufficio, abbia ritenuto che l'unità immobiliare, promessa in vendita, presentasse vizi rilevanti e riconducibili all'attività di costruzione, non eseguita a regola d'arte.
Al riguardo, sostiene che "i pretesi vizi dell'unità immobiliare, individuati dal C.T.U., riconosciuti dal Tribunale e confermati dalla Corte territoriale, non sembrano potere avere ragionevole credibilità. Ove si pensi che i promissari acquirenti hanno avuto in consegna l'immobile in data 1^ luglio 1981 e ne hanno fruito regolarmente, mentre la Consulenza è stata redatta quattro anni dopo... si tratta di una unità immobiliare sita in zona vicina al mare... non possono considerarsi vizi quelli relativi all'impianto elettrico interno... alla raccolta delle acque cloacali... alla constatazione che l'ultimo tratto della stradella sia in terra battuta... Il rinvio tout court alla più volte censurata consulenza di primo grado... non può costituire certamente adeguata motivazione... i pretesi vizi erano dovuti chiaramente non a difetti di realizzazione, ma all'uso dell'immobile. In ogni caso si tratta di vizi non strutturali, non tempestivamente denunciati, con la conseguente decadenza da ogni diritto."
Il motivo non ha pregio, per ragioni analoghe a quelle esposte nell'esame dei precedenti motivi.
Le censure della ricorrente, infatti, si presentano prive della necessaria specificità, in correlazione alle argomentazioni svolte sui punti in oggetto dalla sentenza impugnata;
e ciò, al di là della loro pur ipotizzata inammissibilità, perché censure squisitamente di merito.
Ed invero, tali censure non si giustappongono, spiegandone specificamente violazioni di legge e vizi di motivazione (solo denunciati), alle argomentazioni esposte in sentenza, ai capi A e B della motivazione, laddove, per un verso, a conferma della stessa bontà dei rilievi del consulente tecnico d'ufficio, si sottolinea che i vizi riscontrati, tra cui quelli della rete fognante e della strada di accesso, "andavano soppesati non solo in raffronto del bene in sè bensì anche in combinato accostamento a tutte le irregolarità costruttive del complesso eretto, le quali - siccome incidenti su cose e servizi di collettivo dominio - non potevano, concretamente, riflettersi su tutte e ciascuna delle unità immobiliari ivi comprese", e, per altro verso, si osserva come quei vizi vanificassero la "destinazione" e la "utilizzabilità" dell'unità immobiliare, promessa in vendita, e come il promissario acquirente, in caso di difformità della cosa rispetto alle caratteristiche fissate convenzionalmente, non fosse condizionato da decadenze di sorta, ben potendo "chiedere l'adempimento dell'obbligazione del promittente venditore, previa eliminazione a proprie spese dei vizi e delle imperfezioni riscontrate (cfr. Cass. 8220/1987, 6143/1988, 118/1992 etc.)
Con il quarto motivo, rubricato "violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., 1490, 1491, 1492, 1494 e 1495 con riferimento all'art. 1350, all'art. 2932 c.c., all'art. 2931 c.c., nonché dell'art. 112 c.p.c., in relazione ai nr. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c.. Violazione di legge ed omessa e contraddittoria motivazione", la ricorrente sostiene: a) che un esame obiettivo dei risultati della consulenza, rapportati al contenuto del contratto preliminare, non avrebbe mai potuto portare alla decisione resa dai giudici di merito, dal Tribunale prima e dalla Corte territoriale poi, secondo cui essa ricorrente doveva considerarsi inadempiente con riferimento anche alle evidenziate difformità del complesso edilizio rispetto al progetto approvato in sede di concessione;
b) che i giudici di merito non avrebbero potuto fondare la loro decisione sul rilievo, errato e contrario alle previsioni negoziali, che quel progetto era parte integrante del contratto preliminare;
c) che apodittico è il rilievo espresso in sentenza, che si trattava di vizi e difformità incidenti sul bene promesso in vendita, in relazione alla sua stessa utilizzabilità;
d) che i giudici di merito non hanno tenuto conto che il bene, a consegna avvenuta, venne utilizzato dai promissari acquirenti.
Il motivo è privo di pregio.
Esso motivo, infatti, palesemente manca di specificità, per quanto delle violazioni e false applicazioni di legge denunciate, come pure dei vizi di motivazione enunciati, viene solo affermata l'esistenza, senza darne alcuna, apprezzabile spiegazione. Il che si traduce anche nella impossibilità di individuazione puntuale delle stesse questioni, che la ricorrente ha inteso porre all'esame di questa Corte.
Con il quinto motivo, rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., 1460, 1490, 1491, 1492, 1494 e 1495 c.c. con riferimento all'art. 1350, all'art. 2932 c.c., all'art. 2931 C.C., in relazione ai nr. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c.. Violazione di legge ed omessa e contraddittoria motivazione", la ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ignorato il contenuto del contratto preliminare, laddove prevedeva che il saldo del prezzo d'acquisto dell'unità immobiliare non era subordinato all'ultimazione dei lavori.
Costituisce una evidente forzatura, precisa la ricorrente, l'avere subordinato quel saldo alla esecuzione di una Ì serie di opere, peraltro non dovute.
Si duole, altresì, che non si sia attentamente considerato che le controparti avevano dichiarato di aver avuto in consegna l'unità immobiliare il 1^ luglio 1981, senza formulare riserva in ordine ai vizi palesi, peraltro non fatti valere nei termini di legge, così da rendere ininfluente lo orientamento giurisprudenziale, richiamato dalla Corte di merito, secondo cui, è in facoltà del promissario acquirente "chiedere o la risoluzione del preliminare ovvero la condanna del promittente alla eliminazione dei vizi della cosa." Il motivo non ha pregio.
Ed invero, tanto la prima quanto la seconda lagnanza, al di là della formale prospettazione come violazione di legge e vizi di motivazione, raffigurano una sostanziale e, in sede di legittimità, non consentita richiesta di riesame del merito, attraverso una nuova valutazione dei fatti di causa, diversa da quella resa dalla Corte di merito;
e ciò, peraltro, esponendo soltanto meri e non meglio chiariti cenni di critica su come e su quanto valutato nella sentenza impugnata, nonché supponendo come esistente quel che in effetti tale non risulta, ossia la contestata (dalle controparti) e non accertata (dal giudice del merito) consegna dell'unità immobiliare, promessa in vendita, oltre alla evidenza dei vizi accertati.
Con il sesto motivo, infine, rubricato "violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. in relazione ai nr. 3 e 5 dell'art. 360 c.p.c.. Violazione di legge e difetto di motivazione", la
ricorrente si duole della sua condanna al pagamento delle spese di lite, di primo e di secondo grado, sostenendone l'accessorietà ad una decisione di merito illegittima: "i vizi che inficiano l'impugnata sentenza giustificano la presente censura ed impongono di annullare e/o riformare anche detto capo della sentenza." Il motivo è privo di pregio, non essendo state accolte le doglianze relative alla decisione del merito, al cui accoglimento la ricorrente ha appunto collegato quella in esame, logicamente e subordinatamente. In conclusione, quindi, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di cassazione sono regolate secondo principio di soccombenza.

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