Cass. civ., sez. III, sentenza 22/03/2013, n. 7269
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Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno cosiddetto da nascita indesiderata (ricorrente quando, a causa del mancato rilievo da parte del sanitario dell'esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di abortire) è onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe interrotto la gravidanza; tale prova non può essere desunta dal solo fatto che la gestante abbia chiesto di sottoporsi ad esami volti ad accertare l'esistenza di eventuali anomalie del feto, poiché tale richiesta è solo un indizio privo dei caratteri di gravità ed univocità.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. B G M - Presidente -
Dott. A A - rel. Consigliere -
Dott. A A - Consigliere -
Dott. B G L - Consigliere -
Dott. S A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
S
sul ricorso 17367/2007 proposto da:
P.P. (omesso) , G.M.C (omesso)
, in proprio e nei nomi del figlio minore P.M. , elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo studio dell'avvocato M F, rappresentati e difesi dall'avvocato S C giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
AZIENDA USL N. XXXXXXX, CP. ;
- intimati -
sul ricorso 20799/2007 proposto da:
CP. (omesso) , elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA CICERONE 49, presso lo studio dell'avvocato P M, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato R R giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
G.M.C , P.P. , AZIENDA USL N. (omesso) ;
- intimati -
avverso la sentenza n. 222/2007 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata l'08/02/2007, R.G.N. 1570/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/02/2013 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
udito l'Avvocato MARCO PASTACALDI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l'accoglimento di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il (omesso) la signora M.C.G. , in stato di
gravidanza, si rivolse al Dott. C per un controllo della gestazione. Un nuova visita ebbe luogo il successivo (omesso), allorché fu eseguita anche una ecografia, senza che venisse rilevata alcuna anomalia. Il (omesso) , infine, nacque il piccolo M. , che risultò affetto dalla patologia denominata spina bifide. Con citazione notificata il 30 aprile 1997 P..P. e G.M.C , in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sul figlio M. , convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Lucca, il Dott. C , allegando la responsabilità dello stesso per la mancata, tempestiva diagnosi delle malformazioni fetali, la quale aveva impedito alla gestante di esercitare il diritto di chiedere l'interruzione della gravidanza, secondo le prescrizioni della L. n. 194 del 1978, art. 6.
Costituitosi in giudizio, il convenuto contestò le avverse pretese. Chiese ed ottenne di chiamare in causa l'Azienda USL X, dalla quale dipendevano i medici che avevano espletato gli esami ecografici alla 31, alla 33 e alla 36 settimana, e che nessuna anomalia avevano riscontrato.
Esaurita la fase istruttoria, il giudice adito condannò il ginecologo a pagare agli attori, in proprio, la somma di Euro 600.000,00, con gli interessi legali dalla sentenza al saldo;
rigettò invece la domanda dagli stessi avanzata in nome e per conto del figlio.
Proposto dal C gravame, la Corte d'appello di Firenze, in data 8 febbraio 2007, ha respinto la domanda di G.M.C , compensando integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi.
Nel motivare il suo convincimento ha rilevato il giudice di merito che il dottor C , in adempimento dell'obbligazione
professionale assunta, avrebbe dovuto invitare la gestante ad effettuare l'esame dell'alfa-fetoproteina AFP, dato che proprio attraverso l'indagine ecografica tra la 16 e la 20 settimana era possibile riscontrare anomalie del feto, effettuando, in particolare, la diagnosi prenatale della mielomeningocele. Ha anche aggiunto che, secondo il motivato parere dell'ausiliario, la refertazione del convenuto, in occasione del test eseguito il (omesso) , indipendentemente dalla sua qualificazione in termini di ecografia morfologica o di test di mero supporto alla visita medica, non soddisfaceva i requisiti minimi standard per il monitoraggio di una eventuale condizione di idrocefalia.
Ritenuto quindi accertato l'inadempimento del ginecologo, ha poi evidenziato che, a norma della L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b), perché possa essere praticata l'interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, non è sufficiente che siano accertati processi patologici, tra i quali quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, ma è necessario che essi determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Andando quindi a valutare le risultanze della compiuta istruttoria, ha evidenziato che dalla stessa non erano emersi elementi sicuri per affermare, sia pure attraverso un giudizio ex ante e in termini di pura probabilità, che la notizia della malformazione del feto avrebbe determinato un processo patologico consistente in un grave pericolo per la salute psichica di M.C.G. , in difetto di qualunque riscontro, anche indiziario, sul punto. Dal motivato parere dell'ausiliario era infatti emerso che la G. era del tutto esente da pregresse manifestazioni psicopatologiche in epoca anteriore alla gravidanza e che, dopo il parto, la condizione psichica della stessa si inquadrava nell'ambito di una situazione di scompenso psicocomportamentale da ritenersi fisiologico in relazione al verificarsi di un evento fortemente stressante. Ha poi aggiunto che neppure erano emersi elementi indicativi della concreta volontà della gestante di esercitare il diritto alla interruzione della gravidanza, non essendo stata contestata la circostanza, dedotta dal C , che la stessa aveva dichiarato di non volersi sottoporre ad amniocentesi, trattandosi di esame che presentava rischi di aborto. Ha quindi concluso che, pur essendo stato provato l'inadempimento del medico, non era stata fornita, da parte dell'attrice, la prova ne' della sussistenza dei presupposti ai quali la L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b), subordina l'esercizio del diritto alla interruzione della gravidanza, ne' della volontà di esercitarlo, da parte della gestante.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorrono a questa Corte P.P. e M.C.G. , formulando cinque motivi.
Resiste con controricorso P..C , che propone altresì ricorso incidentale condizionato, affidato a un solo mezzo. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi hinc et inde proposti avverso la stessa sentenza, devono essere riuniti ex art. 335 c.p.c.. 2. Nel primo e nel secondo motivo di ricorso gli impugnanti deducono violazione della L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b), art. 32 Cost., e art. 2697 c.c.. Rilevano che, in base ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità: a) il grave pericolo per la salute della donna può anche riguardare soltanto la sfera psichica;b) non è rilevante accertare tanto se nella donna, dopo il parto, si siano effettivamente instaurati siffatti processi patologici, quanto piuttosto se la dovuta informazione avrebbe verosimilmente determinato l'insorgere degli stessi durante la gravidanza;c) appurato il dato oggettivo dell'inadempimento del medico, con conseguente perdita della possibilità di scelta, poteva farsi senz'altro ricorso al ragionamento presuntivo, assumendo come normale e corrispondente a regolarità causale che la gestante avrebbe interrotto la gravidanza, se informata di gravi menomazioni del feto, così riconducendo al difetto di informazione, come alla sua causa, il mancato esercizio di quella facoltà (confr. Cass. civ. 29 luglio 2004, n. 14488 ;Cass. civ. 10 maggio 2002, n. 6735 ). Sostengono quindi che la Curia fiorentina, facendo malgoverno delle pronunce del Supremo Collegio da essa stessa richiamate, non solo aveva affermato che spettava all'attrice dimostrare, anche in via indiziaria, la sussistenza di tutti gli elementi previsti dalla legge per l'esercizio del diritto all'interruzione della gravidanza, ma aveva rigettato la domanda, benché, alla stregua del motivato parere del consulente tecnico, dovesse ritenersi provato, quanto meno in termini di probabilità scientifica, che la patologia richiesta dalla L. n. 194, art. 6, per ricorrere all'interruzione della gravidanza si sarebbe manifestata e che, in tale contesto, la gestante si sarebbe determinata a praticare l'aborto. Segnatamente non aveva il decidente considerato che all'insussistenza di patologie psichiche prima e dopo la gravidanza, non poteva attribuirsi rilevanza indiziaria negativa ai fini della dimostrazione della possibile, anzi probabile insorgenza di gravi disturbi nella donna, ove la stessa avesse conosciuto durante la gestazione le anomalie del feto, stante l'eccezionalità dell'ipotesi che, in condizioni siffatte, la madre decida di portare ugualmente a termine la gravidanza, ipotesi che, proprio per questo, avrebbe dovuto essere sorretta da specifici elementi di prova. Nè aveva la Corte valutato che dati indicativi della volontà di esercitare, in concreto, il diritto di interrompere la gravidanza potevano trarsi da fattori ambientali, culturali, personali, e dallo stesso fatto che la gestante si era rivolta al professionista per esami finalizzati a conoscere le condizioni del feto: in particolare, un indizio decisivo andava individuato proprio nella particolare gravità dell'handicap del figlio, atteso che la conoscenza di un fatto così drammatico e gravido di implicazioni personali e familiari avrebbe presumibilmente originato nella madre uno sconvolgimento psichico.
Assumono infine gli esponenti, quanto alla prova che la G. avrebbe, in concreto, esercitato il diritto di interrompere la gravidanza, che il decidente non aveva adeguatamente valorizzato la portata indiziante delle numerose ecografie chieste dalla gestante, le quali dimostravano inequivocabilmente l'orientamento della stessa di rifiutare di portare a termine la gravidanza qualora fossero emerse anomalie del feto.
4 Con il terzo mezzo i ricorrenti denunciano violazione della L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b), art. 32 Cost., e art. 2697 c.c., con
riferimento alla mancata ammissione della prova per testi volta a dimostrare che la G. aveva consigliato alla cugina incinta di interrompere la gravidanza, essendo emerso che il bambino era malformato, trattandosi di fatto successivo e non indicativo delle determinazioni che ella stessa avrebbe assunto ove informata, durante la gestazione, delle anomalie del bambino che portava in grembo. Sostengono per contro gli impugnanti che il giudizio ex ante ben poteva essere confortato dalla prova di un comportamento successivo della parte, di talché doveva essere data alla ricorrente l'opportunità di dimostrare che non sussistevano per lei convincimenti di ordine morale e religioso contrari alla pratica dell'aborto.
5 Con il quarto motivo si prospetta violazione degli artt. 29 e 30 Cost., artt. 143, 147, 261 e 279 c.c., nonché della L. n. 194 del 1978, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Deducono gli impugnanti che il giudice di merito aveva negato ogni diritto al risarcimento del danno, ma nei confronti della sola madre del piccolo M. , ignorando del tutto la domanda del padre, laddove anche a questi spettava il ristoro dei pregiudizi patiti (confr. Cass. civ. 29 luglio 2004, n. 14488 ;Cass. civ. 20 ottobre 2005, n. 20320 ).