Cass. civ., sez. II, sentenza 23/07/2009, n. 17346

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Massime1

Nei contratti aventi ad oggetto il trasferimento di beni immobili, per i quali é richiesta la forma scritta "ad substantiam", qualora uno degli stipulanti agisca in nome e per conto di un soggetto diverso, la "contemplatio domini", pur non richiedendo l'uso di formule sacramentali, deve risultare dallo stesso documento e non "aliunde", sebbene il requisito della contestualità non vada inteso in senso rigorosamente materiale e grafico, ben potendo ricorrere anche nel caso in cui il contratto richiedente la forma scritta "ad substantiam" risulti costituito da due parti materialmente distinte ma collegate tra loro per effetto del richiamo dell'una contenuto nell'altra, in modo da formare un unico, ancorchè complesso, atto scritto, in sé contenente tutti gli elementi essenziali del contratto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale, in relazione ad un contratto preliminare di compravendita di immobili stipulato dal legale rappresentante della società venditrice senza l'espressa spendita del nome di quest'ultima, aveva ritenuto sussistente la "contemplatio domini" in virtù delle indicazioni risultanti dal coevo "capitolato" di appalto riportante le caratteristiche degli immobili promessi in vendita e richiamato dal contratto principale).

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 23/07/2009, n. 17346
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 17346
Data del deposito : 23 luglio 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. E A - Presidente -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. S G - Consigliere -
Dott. P L - rel. Consigliere -
Dott. B G A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 20444/2004 proposto da:
MANF DI MANCINI FAUSTO &
C S, in persona del suo socio accomandatario e legale rappresentante pro tempore \MANCINI FAUSTO\, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

OSLAVIA

40, presso lo studio dell'avvocato F Massimo procura speciale notarile rep. 10775 del 20/05/2009, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato A E;



- ricorrente -


contro
MOVITER DI P L &
C S, in persona dei soci accomandatari e legali rappresentanti pro tempore Sig.ri \P L\, \POZZOLINI GUIDO\, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

FLAMINIA

287, presso lo studio dell'avvocato P M, rappresentati e difesi dagli avvocati L G, F A;



- controricorrenti -


avverso la sentenza n. 477/2004 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 23/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/06/2009 dal Consigliere Dott. L P;

udito l'Avvocato

ANCILLOTTI

Enrico, difensore del ricorrente che si riporta ed insiste;

udito l'Avvocato

FIORAVANTI

Alessandro, difensore del resistente che si riporta ed insiste;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA

Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 19.5.99 la società M s.a.s. di P L &
C. citò al giudizio del Tribunale di Firenze la società Manf s.a.s. di M Fausto &
C. al fine di sentire emettere ex 5ae9-92ef-57c7a47561e9::LRAB1D54413C6935F162C4::1942-04-04" href="/norms/codes/itatextxiy5esgw507cfi/articles/itaartvgggece2r5nuo7?version=303cb8f5-7409-5ae9-92ef-57c7a47561e9::LRAB1D54413C6935F162C4::1942-04-04">art. 2932 c.c., in esecuzione specifica del contratto preliminare stipulato in data *24.11.90* con \Fausto @M\ quale legale rappresentante della convenuta (ad oggetto di una complessa operazione,prevedente l'esecuzione da parte della "M" di opere di urbanizzazione per conto della "Manf" su terreni di lottizzazione siti in *Empoli*, dietro corrispettivo, salvo conguaglio, di due costruendi appartamenti), sentenza traslativa in proprio favore della proprietà di uno dei due appartamenti compromessi in vendita (dei quali l'altro le era stato già trasferito) con il suddetto negozio,le cui controprestazioni assumeva aver a sua volta adempiuto, chiedendo inoltre il rimborso della somma di L. 92.719.885, quale differenza tra la contabilità finale delle opere ed il prezzo globale dei due immobili, che era stato concordato in L. 437.000.000. Costituitasi la convenuta contestava l'avversa domanda sotto vari profili, segnatamente ed in via pregiudiziale eccependo la propria carenza di titolarità del rapporto, per non essere stata parte nel contratto preliminare, essendo stato lo stesso sottoscritto dal \M\ in proprio e non quale legale rappresentante di essa Manf s.a.s., di cui era socio accomandatario.
A tale causa ne veniva riunita, per connessione, una seconda, con la quale la "Manf" aveva, a sua volta, dedotto l'inesatto adempimento delle opere affidata alla "M", chiedendone la condanna all'eliminazione delle difformità, con riserva dei danni. All'esito della svolta istruttoria documentale, con sentenza monocratica "non definitiva" del 24/25.6.02 l'adito Tribunale, accolta la suesposta preliminare eccezione, respinse la domanda attrice di esecuzione in forma specifica, riservando al definitivo il regolamento delle spese;
con coeva ordinanza dispose, in ordine alle reciproche domande relative alle opere appaltate consulenza tecnica;

tale giudizio fu successivamente sospeso.
La "M" propose immediato appello, resistito dalla "Manf", che venne accolto dall'adita Corte di Firenze, con sentenza del 16.12.03, pubblicata il 23.3.04, con la quale fu disposto il trasferimento dell'immobile in questione in proprietà dell'appellante attrice, con conseguente ordine di trascrizione nei registri immobiliari e condanna dell'appellata convenuta al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio.
Le ragioni di tale decisione possono riassumersi nei seguenti termini:
a) premesso che la contemplano domini non richiede l'impiego di formule sacramentali e che i requisiti del contratto per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam devono essere determinabili sulla base degli elementi risultanti dal testo dello stesso, nel caso di specie poteva farsi riferimento, al fine di stabilire la riferibilità alla società Manf s.a.s., e non alla persona fisica del \M\, del contratto di cui alla scrittura privata del *24.11.90*, al "capitolato sulla tipologia e sulle finiture degli immobili", costituito da una scrittura allegata, richiamata e costituente parte integrante del contratto suddetto, recante a margine la dicitura "X Manf s.a.s." con la sottoscrizione del \M\;

b) tale sottoscrizione non aveva formato oggetto di alcun disconoscimento ex art. 213 c.p.c., o impugnato per falso ex art. 221 c.p.c., mentre il documento che la contenevate pur prodotto in
fotocopia, non era stato espressamente contestato ex art. 712 c.c.;

c) alla mancanza della sottoscrizione del documento da parte anche dell'altra contraente, la M s.a.s., aveva sopperito, quale equipollente delle firmala produzione dello stesso da parte della medesima con la domanda giudiziale, prima della quale non era intervenuta alcuna revoca da parte della MANF. s.a.s.;

d) peraltro, pur senza voler estendere il canone interpretativo di cui all'art. 1362 cpv. c.c., ai contratti richiedenti ad substantiam la forma scritta, nel caso di specie ricorrevano, ad abundantiam, una nutrita serie di ulteriori e convergenti elementi idonei a confermare la contemplalo domini e la riferibilità alla "Manf." del contratto in questione (l'incontestato ruolo, non solo di socio accomandatario, ma di "gestore e padrone" del \M\ all'interno della società, il successivo acquisto da parte di quest'ultima dei terreni da urbanizzare in virtù di un altro contratto preliminare di cui il predetto si era dichiarato "titolare", l'assenza di prove in ordine all'asserita stipula di un diverso contratto preliminare tra le due società del *13.5.91*, la ratifica dell'operato del \M\ da parte della società di appartenenza, con la proposizione della domanda giudiziale relativa all'adempimento dell'appalto, poi oggetto della riunione a quella promossa dalla "M");

e) priva di fondamento era l'eccezione di "impugnazione ultra vires" sollevata - peraltro tardivamente in comparsa conclusionale - dall'appellata, secondo la quale i giudici di secondo grado avrebbero dovuto decidere solo sulla questione della contemplatio domini e, dunque, limi tarsi ad una pronuncia dichiarativa, avendo il decisum di primo grado, per il principio del "dedotto e deducibile", carattere assorbente di ogni questione in ordine alla domanda di cui all'art. 2932 c.c., che, rigettata dal Tribunale con una sentenza "non definitiva" (ma in realtà parziale, avendo definito integralmente un capo autonomo della domanda), ne aveva esaurito la relativa potestas decidendi;

f) per converso, la mancata riproposizione in appello, da parte della "Manf" pur vittoriosa in primo grado, delle domande ed eccezioni non accolte o ritenute assorbite dal tribunale, ne aveva determinato la presunzione di rinuncia ai sensi dell'art. 346 c.p.c.. Avverso la suddetta sentenza la società Manf s.a.s. di M Fausto &
C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a dieci motivi.
Ha resistito la società M S.a.s. di P L &
C. con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, "Error in procedendo. Omessa applicazione della norma
di cui all'art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4), anche in relazione all'art. 340 c.p.c., in ordine al capo della sentenza d'appello che qualifica la sentenza di primo grado come definitiva;
contraddizione logica intrinseca della motivazione in punto di elementi formali caratterizzanti la sentenza non definitiva".
Con il secondo motivo si deduce "ex art. 360 c.p.c., p 3) e p 5);

error in procedendo. Omessa applicazione della norma dell'art. 279 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all'art. 340 c.p.c., in ordine
alla qualificazione della natura definitiva della sentenza di primo grado ed omessa motivazione per la quale la domanda ex art. 2932 c.c., è giuridicamente e concettualmente autonoma ...;

contraddizione logica intrinseca fra essa definizione e la descrizione ...della sentenza ove si recita prometteva di vendere ad essa M ...a titolo di acconto prezzo per l'esecuzione di opere di urbanizzazione primaria relative..".
Con il terzo motivo si deduce "ex art. 360 c.p.c., p 3) e p 5);
error in procedendo;
violazione e falsa applicazione dell'art. 339 c.p.c.;

insufficiente e contraddittoria motivazione in punto di individuazione del decisum della sentenza parziale non definitiva di primo grado;
omessa motivazione in punto di esplicazione della potestas decidendi di primo grado;
omessa e insufficiente motivazione in ordine all'ammissibilità dell'appello".
Con il quarto motivo si deduce "ex art. 360 c.p.c., p 3) e p 5);

error in procedendo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 346 c.p.c.;
insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alle
eccezioni assorbite dalla decisione di primo grado;
omessa motivazione in ordine alla mancata valutazione della eccezione subordinata di qualificazione come alternativa dell'obbligazione accessoria, contenuta nella promessa 24/11/90, di trasferimento del bene immobile a titolo di pagamento in acconto di corrispettivo d'appalto".
La stretta connessione ed interdipendenza delle censure contenute nei sopra indicati mezzi d'impugnazione, attinenti alle questioni processuali relative alla natura della sentenza di primo grado oggetto dell'appello, alla portata devolutiva del gravame proposto avverso la stessa, agli oneri di riproposizione, da parte dell'appellata, delle proprie richieste o eccezioni non accolte dal primo giudice o ritenute assorbite dal medesimo, al conseguente ambito della potestà decisoria di merito dei giudici di secondo grado, ne rende opportuna la trattazione congiunta. La tesi di partenza delle diffuse doglianze esposte dalla difesa ricorrente è costituita dalla qualificazione della sentenza di primo grado che, diversamente da quanto ritenuto,secondo il criterio ed "sostanziale", dalla Corte d'Appello, non sarebbe stata una "sentenza parziale", bensì una "sentenza non definiti va", in conformità ai principi affermati da quell'indirizzo giurisprudenziale, ritenuto preferibile dalla ricorrente per la sua maggiore attitudine a salvaguardare la "certezza del diritto", che privilegiando al riguardo gli elementi di natura formale, ascrive al riguardo decisivo rilievo alla separazione o meno dei giudizi sulle varie domande ed all'esistenza o meno di un regolamento delle spese in ordine al capo deciso.
Ma il collegio non ritiene che la suesposta qualificazione assuma, nel caso di specie, decisiva rilevanza, posto che la distinzione in questione ha formato oggetto di dibattito giurisprudenziale essenzialmente allo scopo di discernere i casi nei quali sia possibile avvalersi o meno della riserva d'impugnazione, prevista dall'art. 340 c.p.c., ai fini del differimento del gravame, possibilità che viene data solo per le sentenze non definitive vere e proprie e non anche per quelle, che sia pur indicate come tali dal giudice, esauriscano la decisione su una o alcune domande o parti autonome e scindibili delle stesse. Nel caso di specie, nel quale l'appello avverso la sentenza in data 25.6.02 del Tribunale fu immediato e tempestivo, la questione si palesa del tutto teorica e superflua,dal momento che la manifestata adesione della Corte d'Appello alla tesi sostanzialistica, comportante la natura definitiva parziale della sentenza,non ha spiegato - come pur evidenziato dagli stessi giudici di secondo grado - conseguenze decisive agli effetti della decisione. Quale che fosse, infatti, la natura della sentenza appellataci compito essenziale dei giudici di appello atteneva all'individuazione dei limiti entro i quali avrebbero dovuto decidere a seguito del tempestivo gravame avverso la pronunzia di primo grado, reiettiva della domanda ex art. 2932 c.c., proposta dall'attrice appellante, ed alle correlative possibilità di esame di quelle richieste ed eccezioni della controparte, non esaminate dal primo giudice, questioni agli effetti delle quali la formale qualificazione, se definitiva o non, della sentenza risulta indifferente, essendo soltanto necessario accertare l'oggetto sostanziale della pronunzia impugnata e le implicazioni decisorie, anche non espresse, della stessa.
A tale compito i giudici di appello hanno correttamente assolto. In un contesto processuale caratterizzato dall'avvenuta riunione di due cause, la prima contenente due distinti capi di domanda, sia pur basati sulla medesima fonte negoziale (la richiesta della M s.a.s. di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di trasferimento del secondo, dei due immobili promessile quale controprestazione, unitamente all'esecuzione delle opere di appalto, alla cessione del suolo edificatorio, e quella di pagamento del conguaglio in danaro sul prezzo complessivo), la seconda, costituita da un'azione da inesatto adempimento del contratto di appalto (quella promossa dalla Manf. s.a.s.), la corte di merito ha individuato nel primo capo della prima, delle due suddette cause riunite, l'oggetto della decisione contenuta nella sentenza "non definitiva" appellata. Tale decisione, infatti, non si era limitata alla mera declaratoria di insussistenza della contemplatio domini, ma era stata di rigetto della domanda ex art. 2932 c.c., in accoglimento di un'eccezione, che sia pur preliminare, comunque atteneva al merito della causa, e, pertanto, aveva esaurito - come correttamente ritenuto dalla corte di merito - la potestas iudicandi al riguardo del primo giudice, coprendo il relativo decisum tutte le questioni, dedotte e deducibili dall'una e dall'altra parte, in ordine al controverso obbligo di trasferimento dell'immobile. Ed in tale ambito rientravano, in quanto dirette a paralizzare la richiesta traslativa,anche quelle eccezioni, derivanti dal connesso rapporto di appalto, da considerarsi dunque assorbite dalla radicale statuizione reiettiva, con la conseguenza - altrettanto correttamente tratta dai giudici secondo grado - che la convenuta, vittoriosa in primo grado, pur non essendo tenuta a formulare appello incidentale, avrebbe dovuto espressamente riproporle all'atto della sua costituzione in grado di appello, al fine di evitare la presunzione iuris et de iure di rinuncia dettata dall'art. 346 c.p.c. (v., tra le tante, Cass. 413/06, 21641/05, 2696/01, 1788/98). La tesi sostenuta dalla ricorrente,secondo la quale tutte questioni derivanti dall'appalto, e dunque anche l'eccezione inadempienti non est adimplendum, fossero da esaminare nel prosieguo del giudizio di primo grado, è priva di fondamento, considerato: a) che tale eccezione (così come quella, pure non riproposta in appello, deducente la diversità del bene richiesto rispetto a quello promesso) sin quanto espressamente opposta avverso il primo capo della domanda M e pertanto non scindibile dall'oggetto della decisione (parziale o non definitiva che fosse), che a quel capo atteneva e che avrebbe potuto anche essere di accoglimento, rientrava nell'ambito virtuale della relativa decisione, con conseguente preclusione al riesame nel successivo corso del giudizio di primo grado (v. al riguardo Cass. n. 10889/06 18510/04);
b) che le questioni nella specie riservate al successivo corso di quel giudizio,come chiaramente rilevasi dall'ordinanza coeva alla sentenza, attenevano esclusivamente all'accertamento delle opere eseguite dall'appaltatrice ed alla valutazione delle stesse, in funzione non della suddetta eccezione, bensì delle residue reciproche domande di adempimento, costituite, da una parte,dal secondo capo di quella della M, ad oggetto del conguaglio monetario preteso in ulteriore adempimento del complesso negozio stipulato con la scrittura privata del *24.11.90*, dall'altra, dall'azione proposta, nel secondo giudizio, poi riunito al precedente, dalla Manf, al fine di ottenere la condanna della controparte all'eliminazione degli assunti vizi ed al risarcimento dei danni, senza proposizione di alcuna richiesta di risoluzione o comunque caducatoria del contratto.
Tali considerazioni evidenziano, dunque, l'infondatezza delle censure, costituenti il tema ricorrente e comune dei quattro mezzi d'impugnazione, secondo le quali vi sarebbe stata una inscindibilità sia sostanziale, sia processuale tra le reciproche domande, tale da limitare l'oggetto della decisione contenuta nella gravata sentenza del Tribunale ad una mera pronunzia dichiarativa circa l'insussistenza della contemplatio domini, così circoscrivendo il conseguente ambito devolutivo dell'appello.
Quanto alla doglianza, relativa all'omessa motivazione in ordine alla subordinata eccezione, secondo la quale l'obbligo di trasferire l'immobile avrebbe costituito soltanto una delle modalità, alternativamente previste nel contratto, di pagamento del corrispettivo di appalto, trattasi di censura che anticipa il contenuto del decimo motivo di ricorso, contenente identica censura, e sarà pertanto con lo stesso esaminata.
Con il quinto motivo di ricorso vengono dedotte "violazione e falsa applicazione dell'art. 1388 c.c. (in) punto di individuazione corretta della contemplatio domini negotii in relazione alla parte contraente quale promettente la vendita, nella scrittura privata stipulata (il) *24.11.90* fra \M Fausto\ e M S.a.s. di P L &
C., scrittura che costituisce il presupposto della domanda diretta ad ottenere sentenza sostitutiva di contratto e della statuizione della Corte d'Appello". L'errore sarebbe consistito nell'avere individuato, in un caso nel quale il contratto aveva ad oggetto diritti immobiliari e pertanto era soggetto alla forma scritta ad substantiam, la suddetta contemplatio, che avrebbe dovuto risultare dallo stesso documento contrattuale, in una fonte estrinseca allo stesso,costituita dall'allegato, peraltro prodotto in fotocopia e non in originale. Tale fotocopia, in quanto atto estraneo al contenuto della scrittura incorporante il contratto, non avrebbe richiesto alcun disconoscimento da parte dell'odierna ricorrente, non costituendo un documento nel quale potesse ritenersi esteriorizzata la volontà negoziale, ma solo un elemento esterno;
illegittimamente, pertanto, la corte di merito avrebbe rilevato la contemplatio domini non nello stesso testo del contratto, necessariamente soggetto a forma scritta, ma aliunde.
Con il sesto motivo, strettamente connesso al precedente, se non ripetitivo,si deduce "contraddizione logica intrinseca della motivazione della sentenza impugnata in ordine al capo di essa che accerta, ex art. 1388 c.c., la contemplatio domini negotii in relazione alla scrittura privata *24.11.90* fra M S.a.s. e \M Fausto\, nella parte in cui trae il requisito da un allegato anziché dallo strumento". La Corte d'Appello, dopo aver correttamente individuato la "premessa maggiore del ragionamento ...nell'indirizzo ...per il quale la paternità della volontà contrattuale nei contratti rientranti....nella categoria di che all'art. 1350 c.c., comma 1 e art. 1351 c.c.... deve essere tratta dal contratto medesimo e non ...da elementi esterni da esso", si sarebbe tuttavia, illogicamente, discostata dalla stessa, individuando "la spendita del nomen societatis in un allegato al contratto". La definizione di quest'ultimo quale parte integrante del negozio, infatti, oltre a non essere corredata da adeguata spiegazione, sarebbe in illogico contrasto con il successivo passo della motivazione affermante che in base al criterio ermeneutico di cui all'art. 1362 c.c., sarebbe stato possibile, attraverso elementi esterni, "suffragare tale dato (testuale del contratto), di per sè completo, sotto il generale profilo della realtà storica dei fatti, eliminando ogni possibile dubbio";
l'ammissione del dubbio contrasterebbe con la precedentemente affermata sussistenza di una contemplatio domini chiara ed inequivoca.
Neppure tali censure sono fondate.
La Corte d'Appello, senza discostarsi dal costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale nei contratti aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari, soggetti ad substantiam alla forma scritta,ove uno degli stipulanti agisca in nome e per conto di un soggetto diverso, il requisito della contemplatio domini, pur non richiedendo formule sacramentali, deve risultare dallo stesso documento e non aliunde (v., tra le altre, Cass. 7460/05, 3903/00, 3670/95, 5471/82), ha ritenuto di individuare detto elemento dal contesto dell' atto negoziale, costituito non dalla sola scrittura privata del *24.11.90*, ma anche dal coevo "capitolato" riportante le caratteristiche degli immobili compromessi, che in quanto espressamente richiamato dalla prima, cui era connessole costituiva parte integrante;
tanto in conformità al principio più volte enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale anche i ed "allegati", ove richiamati nell'atto principale, concorrono ad integrarne il relativo contenuto (v. Cass. 4016/95, 7047/83, 1044/81, 91/76). Il suddetto requisito della contestualità, infatti, non può essere inteso nel senso rigorosamente materiale e grafico, ben potendo ritenersi soddisfatto anche nei casi,come quello di specie, nei quali il negozio richiedente la forma scritta ad substantiam risulti costituito da due parti materialmente distinte, ma collegate tra loro per effetto del richiamo dell'una, contenuto nell'altra, in guisa tale da formare un unico, ancorché complesso, atto scritto, in sè racchiudente tutti gli elementi essenziali del contratto.
Con il settimo motivo, deducente "violazione e falsa applicazione dell'art. 1399 c.c., in richiamo espresso dell'art. 1398 c.c., come relazionato dalla sentenza impugnata al difetto di contemplatio domini", si censura l'assunto dei giudici di appello, secondo il quale la Manf. S.a.s., convenendo (nella seconda causa, poi riunita alla precedente) in giudizio la M S.a.s. per l'inesatto adempimento dell'appalto avrebbe comunque ratificato l'operato del \M\, nell'ipotesi che questi, nello stipulare quel contratto, contenente anche la promessa di vendita degli immobili, avesse agito quale rappresentante senza poteri della prima società. Tale assunto non terrebbe conto che, diversamente da quanto evidenziato dal Tribunale, nel contratto originario non vi era stata alcuna spendita del nome della società Manf, sicché non avrebbe potuto porsi alcuna questione di ratificatile comunque avrebbe potuto riguardare solo il rapporto di appalto e non anche il compromesso immobiliare, in relazione al quale la prescritta forma scritta solenne non avrebbe consentito l'applicazione dell'istituto della ratifica. Le censure, pur partendo da una premessa teorica corretta, quella secondo la quale il problema della ratifica dell'operato del falsus procurator può porsi solo nei casi in cui da parte di quest'ultimo vi sia stata la spendita del nome del falso rappresentato, non tiene conto che nella specie l'argomentazione de qua è stata dalla corte di merito inserita (unitamente alle altre in narrativa menzionate sub d) nella motivazione a scopo meramente rafforzativo di quelle precedenti (desunte dal testo complessivo del contratto, costituito dalla scrittura privata e dall'allegato in essa richiamato), con le quali erano state già indicate,esaurientemente e correttamente, le ragioni inducenti a ritenere che la firma di \Fausto @M\ fosse stata apposta nell'espressa qualità di legale rappresentante della società Manf. S.a.s.. Sicché la censura difetta di decisività e rilevanza, attenendo ad un argomento che,più che finalizzato a suffragare a posteriori l'esistenza della contemplatio e domini, tendeva in realtà a dirimere eventuali dubbi sulla effettiva sussistenza di quel potere rappresentativo (o meglio, organico), testualmente risultante dal negozio,al riguardo valorizzando quale ratifica,per l'ipotesi che la spendita fosse avvenuta senza poteri, la successiva iniziativa giudiziaria assunta dalla (eventuale falsa) rappresentata Manf s.a.s., in conformità peraltro all'indirizzo, più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità, che ritiene configurabile la ratifica anche nei contratti richiedenti la forma scritta ad susbtantiam, purché tale requisito sussista anche nel successivo atto con il quale il dominus abbia, anche implicitamente, riconosciuto l'operato del falsus procurator (v., tra le altre, Cass. 12652/01, 4794/99, 3071/98, 9638/94).
Con l'ottavo motivo si deduce "illogicità per contraddizione intrinseca in punto di ratifica da parte di Manf. S.a.s. del negozio giuridico di che alla scrittura *24.11.90* in assenza al falsus procurator", perché la Corte d'Appello, dopo aver definito il \M\ "gestore e padrone" della Manf, avrebbe poi, contraddittoriamente, desunto la ratifica, da parte di "quest'ultima dell'operato del primo, dalla proposizione della causa relativa all'appalto, come se, diversamente, questi non fosse stato socio accomandatario e gestore e padrone della Manf S.a.s.", peraltro indebitamente negando,per ritenuta mancanza di prove, la sussistenza di un secondo ed effettivo contratto di appalto tra le due società, senza tener conto che siffatto negozio, non richiedente la forma scritta, ben avrebbe potuto essere stipulato anche oralmente, come confermato dal comprovato regolamento delle relative obbligazioni pecuniarie. Tali pagamenti avrebbero, infine, anche suffragato, per l'ipotesi della sussistenza della contemplano domini nella scrittura del *24.11.90*, la subordinata tesi,sostenuta dall'odierna ricorrente, secondo la quale il promesso trasferimento della proprietà immobiliare avrebbe costituito un'obbligazione alternativa. Il motivo, nella parte relativa alla ratifica ritenuta dalla corte di merito, è irrilevante, per le ragioni già esposte in precedenza,attenendo ad un elemento non essenziale dell'apparato argomentativo della sentenza impugnata.
Nell'ultima parte, relativa all'assunta alternatività della promessa di vendita, il mezzo di impugnazione anticipa una censura formante precipuo oggetto del decimo ed ultimo motivo di ricorso, nel cui ambito pertanto la questione va trattata.
Quanto alla sussistenza di un secondo contratto di appalto, distinto da quello contenuto nella scrittura privata del *24.11.90*, oralmente stipulato tra le due società, trattasi una palese censura in fatto su tematica esulante dall'oggetto del giudizio di appello, vertente esclusivamente sulla domanda ex art. 2932 c.c., già respinta in primo grado con la sentenza "non definitiva" impugnata, che aveva riservato all'ulteriore corso del processo le questioni relative alle residue spettanze di appalto, di cui al secondo capo della domanda proposta dalla M, ed all'esatto adempimento delle prestazioni relative alle opere commesseci cui alla domanda della Manf. Irrilevante è anche il nono motivo di ricorso, con il quale la ricorrente deduce, in via di "censura subordinata", la ritenuta "insufficiente motivazione in punto di individuazione degli elementi di deduzione al fine di accertare la contemplalo domini negotii nel contratto preliminare *24.11.90* già individuato in questo ricorso;

mancato riferimento e confronto fra aspetti positivi e negativi dell'elemento esaminato". Gli elementi, di natura presuntiva (qualità di socio accomandatario "gestore e padrone della Manf s.a.s "rivestita dal \M\, collegamento fra preliminare e definitivo rispetto all'acquisto dei terreni da lottizzare, fragilità dell'assunto secondo cui l'allegato farebbe riferimento ad un diverso contratto di appalto, mancata deduzione del fatto che il \M\ avesse stipulato il preliminare per l'acquisto dei terreni da lottizzare per sè o per persona da nominare, avvenuta ratifica della scrittura *24.11.90* mediante la citazione del 28.9.99), la cui valenza indiziaria e logico - deduttiva ai fini della sussistenza della contemplatio domini viene censurata, attengono infatti ad una parte non essenziale della motivazione della sentenza impugnata. Questa, come si è già avuto modo di considerare, si regge essenzialmente e sufficientemente sull'interpretazione del dato testuale, il che rende superflua, per difetto d'interesse al riguardosa proposta disamina della congruenza logica delle residue argomentazioni, esposte solo ad colorandum, in funzione rafforzativa di una ratio decidendi già di per sè sola idonea a sorreggere la decisione.
Con il decimo motivo di ricorso, sviluppando doglianze già anticipate nel quarto e nell'ottavo mezzo d'impugnazione, si deduce, in via di "censura condizionata", la "omessa motivazione in punto di eccezione subordinata di qualificazione come alternativa,secondo l'istituto previsto dagli artt. 1285 e 1286 c.c., dell'obbligazione cui fa capo l'obbligo di trasferire la proprietà di un bene immobile in pagamento di corrispettivi d'appalto, obbligazione contenuta nella scrittura *24.11.90* fra \M Fausto\ e M S.a.s;

conseguente violazione dell'art. 1285 e 1286 c.c.". Tale eccezione, la sola "extra inadempimento ...ritualmente riproposta in via subordinata", con la quale si era sostenuto, fin dal primo grado, che il trasferimento dell'immobile avrebbe costituito solo una prestazione, prevista in alternativa con quella di pagamento in danaro, per adempiere alle obbligazioni contrattuali assunte dalla Manf. s.a.s., e dichiarato di scegliere la seconda modalità di adempimento,sarebbe stata del tutto negletta dalla Corte d'Appello, che avrebbe dovuto accoglierla, tenuto conto che nella scrittura privata del *24.11.90* non vi era alcuna "esclusione esplicita della possibilità per la committente di pagare in denaro anziché tramite la vendita immobiliare .." e che il costo dell'appaltatosi come i conguagli, erano stati determinati in termini monetari;
anche il comportamento successivo delle partirne avevano regolato in danaro le "poste a credito M", avrebbe confermato la fondatezza dell'eccezione.
Neppure tale motivo merita accoglimento.
La censura, evidenziante la mancata pronunzia da parte della Corte d'Appello su l'unica eccezione riproposta ex art. 346 c.p.c., dall'appellata Manf. s.a.s., risulta impropriamente proposta quale carenza di motivazione,ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anziché nei corretti termini di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in rel. all'art. 112 c.p.c.. Costituisce, a tal riguardo, principio costante nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo il quale l'omesso esame di una domanda o eccezione proposta dalla parte (come nel caso di specie, in cui manca alcuna statuizione da parte della corte di merito), non è deducibile quale vizio o mancanza di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (attenendo questo esclusivamente all'accertamento ed alla valutazione di fatti rilevanti ai fini della controversia), bensì quale error in procedendo,ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell'art. 112 c.p.c., imponente al giudice di pronunziarsi su tutte le richieste delle parti;
sicché, non essendo configurabile alcuna omissione o carenza logica della motivazione in ordine ad un capo della decisione del tutto mancante, un mezzo d'impugnazione in tali termini formulato va dichiarato inammissibile, per mancanza di concreto oggetto e, dunque, d'interesse (v., tra le altre, Cass. 11034/03, 317/02, 2790/00, 12790/01).
In ogni caso, quand'anche denunciante carenza di motivazione in ordine ad un'implicita reiezione dell'eccezione de qua, la censura risulta comunque manifestamente infondata, considerato che nell'obbligazione alternativa le due o più prestazioni debbono essere poste in posizione di reciproca parità e dedotte in modo disgiuntivo (v. Cass. 10853/00, 11899/95, 3534/77). Pertanto non può ritenersi sufficiente a configurare l'ipotesi di cui all'art. 1285 c.c., la circostanza che,nella specie, in cui una rilevante parte
delle prestazioni contrattualmente previste a carico della committente era costituita dall'obbligo di trasferire la proprietà dei due immobili, le contraenti non avessero espressamente escluso la possibilità per la suddetta parte di adempiere la propria obbligazione in danaro, essendo invece necessario a tal fine che siffatta possibilità fosse inequivocamente e paritariamente prevista in alternativa al suddetto trasferimento, a nulla rilevando la previsione e la corresponsione di eventuali conguagli monetari, in un contesto nel quale gli stessi assolvevano solo alla funzione di pareggiare i conti tra le parti, tenuto conto della predeterminata stima degli immobili promessi in corrispettivo delle opere appaltate. Il ricorso va, in definitiva, respinto;
le spese seguono la soccombenza.

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