Cass. civ., sez. V trib., ordinanza 21/12/2021, n. 40935

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., ordinanza 21/12/2021, n. 40935
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 40935
Data del deposito : 21 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 13144/2015 R.G. proposto da C D, rappresentato e difeso dagli avv.ti M M, A Z e R D N, presso cui elettivamente domicilia in Roma alla via Savoia n.72;
-ricorrente -

CONTRO

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma alla via dei Portoghesi, n. 12;
-contro ricorrente- avverso la sentenza n.5779/2014 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, pronunciata in data 27 ottobre 2014, depositata in data 10 novembre 2014 e non notificata. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 novembre 2021 dal consigliere A G. RILEVATO CHE: D C ricorre con sei motivi avverso l'Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n.5779/2014 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, pronunciata in data 27 ottobre 2014, depositata in data 10 novembre 2014 e non notificata, che ha rigettato l'appello del contribuente, in controversia concernente l'impugnativa dell'avviso di accertamento sintetico del reddito ai fini Irpef per gli anni di imposta 2007 e 2008;
con la sentenza impugnata, la C.t.r. riteneva che l'appello si limitasse a reiterare le doglianze già oggetto dei motivi di ricorso in primo grado, senza "nulla aggiungere" alla motivazione del giudice di prime cure;
secondo la C.t.r., il ricorrente avanzava una serie di censure all'accertamento sintetico che, se anche fossero state fondate, e non lo erano, non si sarebbero risolte nell'annullamento del provvedimento impositivo;
in particolare, con riferimento alla produzione documentale del contribuente, la C.t.r osservava che la ricostruzione del maggior reddito si basava su di "una personale quantificazione dei costi e sulla applicazione di parametri diversi da quelli fissati dai decreti ministeriali ante riforma" e risultava "assolutamente pretestuoso e defatigante" affermare che le produzioni non erano state contestate;
inoltre, il giudice di appello rilevava che l'Amministrazione finanziaria aveva inviato al contribuente il questionario previsto, in sede di accertamento fiscale, dall'art. 32. quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, aggiunto dall'art. 25 della legge 18 febbraio 1999, n. 28;pertanto, ne conseguiva che l'omessa o intempestiva risposta era legittimamente sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa;
quanto, poi, alla violazione dell'art.23 Cost., la C.t.r. richiamava la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui la riserva di legge andava intesa in senso relativo, ponendo al legislatore l'obbligo di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa (v. sentenze n. 7 del 2001, n. 215 del 1998 e n. 111 del 1997);
la C.t.r. rilevava che Corte costituzionale si era più volte pronunciata sul punto, affermando che era stata rispettata la riserva di legge relativa, in quanto l'art. 38 stabiliva le linee direttive a cui si deve attenere l'accertamento), con salvezza della prova contraria del contribuente ( Ord.297 del 2004);
sul motivo di appello relativo alla non inclusione della casa adibita ad abitazione principale tra gli indici di spesa, la C.t.r. riteneva l'infondatezza della doglianza, citando la giurisprudenza di legittimità;
infine, la C.t.r. riteneva infondata anche la censura di difetto di motivazione della sentenza di primo grado, i cui motivi erano "ampiamente esplicati" e che aveva "consentito al contribuente di predisporre ogni difesa";
a seguito del ricorso, l'Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 12 novembre 2021, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
il contribuente ha depositato memoria telematica;

CONSIDERATO CHE:

con il primo motivo, il ricorrente denunzia l'omesso esame, ai sensi dell'art.360, primo comma, n.5, cod. proc. civ., di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o l'omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia;
il ricorrente deduce che, né la C.t.p. di Milano, né la C.t.r. della Lombardia, avevano motivato in ordine alla documentata ricezione, da parte del contribuente, nell'aprile 2008 di 30.000,00 euro a titolo di prestiti personali da amici e parenti, come risultava dalle dichiarazioni sottoscritte dai soggetti eroganti e dagli estratti conto bancari dell'epoca;
il contribuente aveva sottolineato l'illogicità delle conclusioni dell'Agenzia delle entrate che, durante il procedimento di accertamento con adesione, concluso con esito negativo, aveva ritenuto giustificati i prestiti dei familiari per 15.000,00 euro e non quelli degli amici di famiglia, documentati per pari importo con identiche modalità;
evidenziava, altresì, che i giudici di merito non avevano riconosciuto neanche le giustificazioni per i prestiti dei familiari, confermando in toto l'accertamento dell'amministrazione, nonostante dagli estratti conto si ricavassero i relativi bonifici, sia in entrata, sia in uscita a favore della One to one Italia s.r.I.;
con il secondo motivo, il ricorrente denunzia l'omesso esame, ai sensi dell'art.360, primo comma, n.5, cod. proc. civ., di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o l'omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia;
sotto altro profilo, il ricorrente lamenta l'omessa motivazione sul fatto che i versamenti ed i conferimenti assunti dall'ufficio quali indici di capacità contributiva non potevano essere, come ritenuto dall'Agenzia delle entrate, in favore della One to one s.r.I., società all'epoca in liquidazione, ma in favore della One to one Italia s.r.I., cioè di una diversa società;
il ricorrente deduce di aver prodotto documentazione comprovante il proprio assunto, in particolare gli estratti conto bancari da cui risultavano i prestiti ricevuti da parenti ed amici ed il loro impiego per i versamenti e finanziamenti in favore della One to one Italia s.r.I., di cui aveva prodotto il bilancio e la visura camerale, nonché di aver dimostrato con la visura camerale che la One to one s.r.l. (cioè la società indicata nell'avviso di accertamento) era in liquidazione fin dal 2009 ;
i motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono inammissibili;
invero, nel caso di specie, il giudice di appello, dopo aver ritenuto, effettivamente senza una disamina specifica, che la documentazione nel suo complesso fosse irrilevante, ha affermato che essa era anche inammissibile, in quanto il contribuente non aveva risposto tempestivamente all'invito contenuto nel questionario inviatogli dall'amministrazione con la richiesta della documentazione;
tale ratio decidendi non risulta specificamente impugnata con il ricorso in cassazione ed è passata in giudicato;
pertanto, non sono ammissibili per difetto d'interesse i motivi di ricorso che impugnano la pronuncia della C.t.r. sull'irrilevanza della documentazione prodotta;
con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt.12, primo comma, d.l. 2 marzo 1989 n.69, conv. dalla legge 27 aprile 1989 n.154, come modificato dall'art.7 I. 30 dicembre 1991 n.413, nonché 5 e 6 I. 27 luglio 2000 n. 212, in relazione all'art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.;il ricorrente lamenta che la C.t.r. non avrebbe rilevato la mancata instaurazione di un reale ed effettivo contraddittorio endoprocedimentale, da attivare pena la nullità dell'avviso di accertamento;
secondo il ricorrente, l'ufficio, dopo l'invio del questionario, avrebbe dovuto convocarlo presso la direzione provinciale dell'Agenzia delle entrate, senza che potesse ritenersi comunque attivato a posteriori un contraddittorio a seguito dell'istanza di accertamento con adesione;
sostiene il ricorrente che anche nel caso di specie, in cui è in discussione l'accertamento per le annualità 2007 e 2008, erano applicabili le modifiche normative introdotte con il d.l. n.78/2010 (art.22 d.l. n.78/2010, conv. Dalla 1.122/2010, che ha modificato il quarto comma dell'art.38 d.P.R. n.600/1973);
il motivo è infondato e va rigettato;
in via di principio, deve ribadirsi che «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi armonizzati di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidità dell'atto, mentre, per quelli non armonizzati, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l'accertamento sintetico, in virtù dell'art. 38, comma 7, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione introdotta dall'art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, conv. in I. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d'imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l'instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale» (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 11283 del 31/05/2016, che richiama SS.UU. n. 24823/2015);nella specie, è pacifico che si verte in ipotesi di accertamento sintetico notificato nel 2012, ma per gli anni d'imposta 2007 e 2008, in relazione al quale, come si è visto, non opera la modifica normativa di cui al d.l. 78/2010, convertito in 1.122/2010;
invero, il d.l. 31 maggio 2010, n. 78, ha disposto (con l'art. 22, comma 1), con specifica norma di diritto transitorio, che le modifiche operano in relazione agli "accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non e' ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto" e quindi la norma ha effetto dal periodo d'imposta 2009 (cfr. Cass.21041/2014;
Cass. 22746/2015 e successive conf.);
con il quarto motivo, il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 22 d.l. n.78/2010, 38, quarto comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n.600, 3 d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, e 53 Cost.;
il motivo è infondato e va rigettato;
questa Corte ha affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 38, commi 4 e ss., del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dal d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., nella I. n. 122 del 2010, nella parte in cui consente l'accertamento con metodo sintetico mediante il cd. redditometro, con riferimento sia all'art. 23 Cost., poiché i relativi decreti ministeriali non contengono norme per la determinazione del reddito, assolvendo soltanto ad una funzione accertativa e probatoria, sia agli artt. 24 e 53 Cost., in quanto il contribuente può dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito accertato è insussistente ovvero costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta (Cass., 24 aprile 2018, n. 10037);
inoltre, la Corte costituzionale, come peraltro precisato dal giudice d'appello, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 70, 76, 3 e 100, primo comma della Costituzione ed in relazione all'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, dell'art. 38, quarto comma, secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come sostituito dall'art. 1 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, comma ulteriormente modificato dall'art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330, convertito, con modificazioni, nella legge 27 luglio 1994, n. 473, affermando che era sufficiente richiamare la costante giurisprudenza costituzionale, secondo cui la riserva di legge andava intesa in senso relativo, imponendo al legislatore l'obbligo di determinare preventivamente e sufficientemente i criteri direttivi di base e le linee generali di disciplina della discrezionalità legislativa, con la conseguenza che, nell'accertamento sintetico mediante indici di spesa e ricorso al cd. redditometro, risultava in ogni caso rispettata la riserva di legge relativa;
è stato anche chiarito che nessuna norma costituzionale o di legge stabilisce che in materia tributaria i regolamenti debbano essere adottati con regolamento governativo, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988, per cui non sussisteva l'asserito contrasto con il principio di razionalità costituzionale (ord. 9 giugno 2004, n. 297);
per quanto riguarda, invece, la disciplina applicabile, nessun rilievo assume il fatto che l'Agenzia delle entrate abbia posto a fondamento dell'accertamento anche alcune spese per incrementi patrimoniali sostenute nel 2010 e 2011, in quanto le annualità oggetto di accertamento, cui fare riferimento per individuare la disciplina applicabile ratione temporis, ex art. 22 d.l. n. 78/2010, sono il 2007 e 2008;
con il quinto motivo, il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 38, commi 4, 5, 6, 7 e 8 d.P.R. 29 settembre 1973 n.600, 53 Cost. e 116 cod. proc. civ., in relazione all'art.360, primo comma, nn.3 e 5, cod. proc. civ.;
secondo il ricorrente, la C.t.r. non avrebbe preso in considerazione i documenti relativi agli effettivi costi annui sostenuti dal contribuente per il mantenimento dei cd. "beni - indice";
il motivo è inammissibile per carenza d'interesse, in quanto, come si è visto per il primo ed il secondo motivo, il giudice non si è limitato a ritenere irrilevante la documentazione prodotta dal contribuente, ma anche inammissibile, con statuizione non impugnata e, quindi, divenuta definitiva;
inoltre, come già rilevato dal giudice di appello, le considerazioni e le osservazioni formulate dal contribuente tendono a contestare la compatibilità del suo reddito con gli indici di ricchezza evidenziati dall'Agenzia (possesso dell'immobile adibito ad abitazione principale, acquistato con mutuo, di un'autovettura, collaboratore domestico, incrementi patrimoniali), denunciando l'inadeguatezza dei parametri applicati, l'iniquità e infondatezza giuridica dell'accertamento sintetico;
ebbene, come questa Corte ha già affermato, in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l'Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all'esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l'accertamento fondato su di essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell'esistenza di quei fattori, l'onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. Cass., 10 agosto 2016, n.16912/2016;
31 ottobre 2018, n. 27811;
24 settembre 2020 n.28265);
con il sesto motivo, il ricorrente denunzia la violazione eio falsa applicazione degli artt.23, 47 e 53 Cost., 38 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 e 15 d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917, in relazione all'art.360, primo comma, nn.3 e 5, cod. proc. civ.;
il ricorrente chiede la disapplicazione dei dd.mm . del 1992 e 1999 , attuativi del redditometro, nella parte in cui prevedono che il reddito del contribuente possa desumersi anche dal possesso della prima casa di abitazione, che non è un bene voluttuario, ma teso a soddisfare le esigenze primarie di vita;
contesta, inoltre, l'abnormità del parametro assunto, cioè quello della superficie espressa in metri quadri, ed i coefficienti moltiplicatori applicati alle rate di mutuo;
il motivo è infondato, in quanto si risolve nella richiesta di disapplicazione dei parametri legali vigenti all'epoca, che invece, per quanto fin qui detto, devono essere applicati;
tali parametri sono stati precisati in una recente pronuncia di questa Corte, secondo cui « in caso di accertamento del reddito attribuibile al contribuente con metodo sintetico (c.d. redditometro), le rate di ammortamento del mutuo (ed i canoni di locazione) delle residenze principali e secondarie, ove sia applicabile "ratione temporis" il d.m. 10 settembre 1992, devono essere prima addizionate all'importo indicato nella allegata tabella relativo a tali residenze e, ottenuta tale somma, moltiplicate per il coefficiente riportato nella medesima tabella, ridotto di una unità;
ciò in quanto tale meccanismo - a differenza del nuovo redditometro di cui ai d.m. 24 dicembre 2012 e 16 settembre 2015, fondati viceversa sulla spesa sostenuta dal contribuente per l'acquisizione dei beni e servizi e per il relativo mantenimento - considerava la disponibilità di beni e servizi indicativa di capacità contributiva, la quale era valutata, con uno strumento statistico-matematico, correlando a ciascun bene e servizio un importo e un coefficiente» (Cass. n. 1454/2021);
in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo;
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