Cass. pen., sez. VI, sentenza 31/01/2023, n. 04139

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 31/01/2023, n. 04139
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 04139
Data del deposito : 31 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: C C G nato a Corigliano Calabro il 24/04/1970 Z G A nato a Corigliano Calabro il 26/02/1976 avverso la sentenza del 17/01/2022 della Corte d'appello di Salerno visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere O D G;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale C A, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi l'avvocato M M, anche in sostituzione dell'avvocato F P O, in difesa di G A Z, e gli avvocati C F E F Z, in difesa di C G C.

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza in epigrafe riforma parzialmente la pronuncia in primo grado nei confronti di G A Z e C G C. In particolare, conferma la condanna di G A Z per corruzione in atti giudiziari (artt. 319-ter, 321 cod. pen.) e per turbata libertà degli incanti (art. 353 cod. pen.) in relazione all'asta del 04/12/2018;
lo assolve, perché il fatto non sussiste, dall'accusa di turbata libertà degli incanti (art. 353 cod. pen.) in relazione all'asta del 05/03/2019 (artt. 56, 353 cod. pen.);
riqualifica il delitto di utilizzazione di segreto d'ufficio (art. 326, comma 3, cod. pen.) in rivelazione del segreto d'ufficio (art. 326, comma 1, cod. pen.). Quanto a C G C, la sentenza conferma la condanna dell'imputato per corruzione in atti giudiziari (artt. 319-ter, cod. pen.) e per turbata libertà degli incanti (art. 353, comma 2, cod. pen.) in relazione all'asta del 04/12/2018;
riqualifica il delitto di utilizzazione di segreto d'ufficio (art. 326, comma 3, cod. pen.) in rivelazione del segreto d'ufficio (art. 326, comma 1, cod. pen.).

2. Avverso la sentenza ricorrono i due imputati.

3. G A Z presenta un ricorso a firma degli avvocati F P O e M M, articolato in quattro motivi. Preliminarmente, chiede l'annullamento della sentenza per errore nella determinazione della pena, che risulta diminuita di soli due mesi (da 4 anni e 6 mesi a 4 anni e 4 mesi), nonostante l'assoluzione per l'art. 353 cod. pen. e la riqualificazione del delitto di utilizzazione del segreto di ufficio nella meno grave ipotesi di sua rivelazione. Si duole inoltre della mancata considerazione delle dichiarazioni di Giuseppe G il quale, ascoltato in udienza d'appello, ha recisamente escluso di essere stato minacciato da Z.

3.1. Con il primo motivo, il ricorrente eccepisce errore nell'applicazione della legge penale e vizio della motivazione. La sentenza dichiara inutilizzabili le intercettazioni delle conversazioni tra Z e G e quelle delle conversazioni tra Z e Cofone ma non le intercettazioni delle conversazioni tra Z e C e tra Z e sua moglie, Valeria Policastri, tanto da farle assurgere ad unica prova della responsabilità del primo. Eppure, tutte le intercettazioni ambientali e telefoniche sono state effettuate attraverso captatore informatico, c.d. trojan, e sono, dunque, viziate da nullità ed inutilizzabili in base alla giurisprudenza di legittimità citata dalla stessa sentenza impugnata. Risultando utilizzati sistemi non ubicati presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Castrovillari procedente, le intercettazioni non sono conformi a quanto indicato nei decreti autorizzativi RIT 76/18 e RIT 133/18. Violano, dunque, l'articolo 268 comma 3, cod. proc. pen.Quanto alla rivelazione di segreti d'ufficio, il reato non è configurabile, essendo state ritenute, in sentenza, false le generiche informazioni che C aveva dato a Z, relative all'interessamento mostrato per l'immobile da un terzo, in realtà inesistente. Nel motivo si accenna altresì alla violazione dell'art. 270 cod. proc. pen. con riferimento alla connessione dei procedimenti ex art. 12 cod. proc. pen., che sarebbe stata ritenuta erroneamente.

3.2. Con il secondo motivo, si deduce erronea applicazione del reato di corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter cod. pen.) basata sul travisamento del contenuto delle intercettazioni, dalle quale non si desumerebbe affatto l'invito ad accettare una somma non dovuta (1.500 euro, secondo la costruzione accusatoria, cifra peraltro irrisoria rispetto all'ammontare dell'affare).

3.3. Con il terzo motivo si deduce l'insussistenza del reato di turbativa d'asta. Manca qualunque riscontro alla sua effettiva realizzazione, avendo G partecipato alla seconda asta, dalla quale è stato escluso soltanto a causa di errores in procedendo rispetto a modalità telematiche.

3.4. Con il quarto motivo si deduce violazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti, la cui esclusione è immotivata e fondata esclusivamente sulla ritenuta gravità del reato.

4. I difensori di C G C, avvocati C F e E F Z, presentano un ricorso, firmato dall'avvocato F, articolato in otto motivi.

4.1. Con il primo motivo, si deduce inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni e nullità della sentenza impugnata per mancanza di motivazione grafica (artt. 125 e 546, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.). Dopo aver evocato l'insegnamento di Sez. Un. n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, C, Rv. 277395, la difesa di C esclude che i procedimenti siano in rapporto di connessione ai sensi dell'art. 12 cod. proc. pen., tra gli stessi ravvisandosi piuttosto un collegamento probatorio ex 371 comma 2, lett. c) cod. proc. pen. Non esiste infatti alcun rapporto tra C e l'ipotesi associativa genetica del procedimento del 2018, essendo, ai fini della connessione, del tutto inconferente l'identità di nomen iuris delle fattispecie incriminatrici oggetto dell'attuale procedimento con alcuni dei reati satellite dell'associazione a delinquere del diverso procedimento del 2018. Il giudice di appello si è, dunque, limitato ad un'apodittica asserzione in ordine alla sussistenza della connessione ex art. 12 cod. proc. pen., senza realmente motivare.I risultati delle intercettazioni sarebbero, poi, inutilizzabili (artt. 270, comma 1, e 271, comma 1, cod. proc. pen.) in rapporto alla fattispecie di rivelazione di segreto d'ufficio. Sez. Un. n. 51 del 28/11/2019, C, cit., nei suddetti casi di connessione, ammette l'utilizzazione purché i reati per cui sono state disposte rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla 266 cod. proc. pen. Nell'impossibilità di sussumere la condotta oggetto di rivelazione del segreto d'ufficio all'interno di una fattispecie contro la pubblica amministrazione che rispettasse tali limiti, i giudici avrebbero, quindi, qualificato le intercettazioni come corpo di reato della fattispecie di cui all'ad. 326 cod. pen. In tal modo, tuttavia, sono incorsi in due vizi. Infatti, Sez. U, n. 32697 del 26/06/2014, F, Rv. 259776, per un verso, richiede che la comunicazione o conversazione intercettata esaurisca la condotta criminosa, laddove, nel caso di specie, non soltanto ciascuna conversazione rappresenta una frazione della condotta imputata, ma lo stesso compendio istruttorio mostra come un colloquio, che vedeva sulla presenza di G all'asta, si fosse svolto anche il 14 febbraio 2019. Per altro verso, richiede che il dato dichiarativo o comunicativo sia stato acquisito agli atti del procedimento, ai sensi dell'articolo 431, comma 1, lett. h) ed utilizzato come prova nel processo penale;
per contro, le richiamate intercettazioni sono state acquisite come atti e verbali di intercettazione. Inoltre, il ricorrente deduce l'inutilizzabilità dei risultati delle indagini acquisite mediante captatore informatico (RIT 76/2018 e RIT 133/2018) per violazione degli artt. 267, comma 2 -bis e comma 1, secondo periodo, cod. proc. pen.). L'art. 267, comma 2 -bis, cod. proc. pen. esige infatti un'espressa motivazione rafforzata circa le ragioni di urgenza, oltre a gravare il pubblico ministero dell'onere di indicare i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono. Il pubblico ministero ha invece omesso di assolvere a tale onere, limitandosi a disporre "in via d'urgenza l'intercettazione delle conversazioni o comunicazioni". Si eccepisce, inoltre, l'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni di cui ai RIT 76/2018 e 133/18 sotto il profilo della violazione dell'ad. 267, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e si deduce come, ritualmente dedotta la questione in appello, i giudici non abbiano fornito alcuna risposta, dal che, altresì sotto questo profilo, la nullità della sentenza per mancanza anche grafica di motivazione. Ancora, l'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni di cui ai suddetti RIT 76/2018 e 133/2018, viene dalle difese dedotta in relazione alla violazione dell'ad. 268, comma 3, cod. proc. pen.), insieme al travisamento della prova.Quanto al primo aspetto, i decreti di intercettazione di urgenza prevedevano la sola remotizzazione dell'ascolto e non anche della disamina dei dati. Invece, in tutti i verbali di fine operazione di intercettazioni si precisa che la remotizzazione ha riguardato sia l'una sia l'altra. Quanto al secondo aspetto, i giudici asseriscono lapidariamente che in relazione ai suddetti RIT la questione è irrilevante poiché tali intercettazioni non sarebbero state utilizzate nel presente procedimento penale. Al contrario, già nella richiesta di giudizio immediato il Pubblico ministero indicava tassativamente le fonti di prova e tra queste proprio le intercettazioni di cui ai RIT 76/2018 e 133/2018. La sentenza, in motivazione, indica poi più volte le intercettazioni utilizzate, ed una delle principali appartiene proprio ai RIT in questione. La mancanza grafica assoluta di motivazione in ordine alla dedotta, in appello, inutilizzabilità delle intercettazioni determina si traduce in ulteriore causa di nullità della sentenza.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso, si eccepisce nullità del decreto di giudizio immediato (art. 453, comma 1, in relazione all'art. 178, comma 1, lett. b cod. proc. pen.) e inutilizzabilità del materiale investigativo acquisito successivamente alla data del 6 febbraio 2019. Innanzitutto, ci si duole della tardiva iscrizione della notitia criminis a carico del ricorrente. Inoltre, si rileva che l'azione penale è stata esercitata ben oltre i termini previsti dagli artt. 453, comma 1, e 454, comma 1, cod. proc. pen., essendo stato superato il termine di 90 giorni richiesto quale presupposto di instaurazione del contraddittorio dagli articoli 453, comma 1, e 454, comma 1, cod. proc. pen. In particolare, la prova del coinvolgimento del ricorrente nelle vicende de quibus risale all'intercettazione telefonica del giorno 8 novembre 2018, condizionando l'utilizzabilità degli atti processuali a tutti quelli compiuti entro non oltre il novantesimo giorno, vale a dire entro il 6 febbraio 2019. Le intercettazioni successive a tale data sono, dunque, inutilizzabili. Con il medesimo motivo si deduce anche vizio di motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e travisamento del fatto. La Corte di appello ha infatti dichiarato manifestamente infondata l'eccezione, ritenendo che il decreto di giudizio immediato del 15 ottobre 2020 fosse stato emesso anche ai sensi dell'art. 453, comma 1 ter, cod. proc. pen., sul c.d. giudizio immediato di tipo custodiale. In tal modo, tuttavia, ha indebitamente supplito all'attività del pubblico ministero, inventando un'ipotesi inedita. E, comunque, nella vicenda concreta non sussisteva nemmeno il requisito del citato art. 453, comma 1-ter, cod. proc. pen., del momento che il procedimento di cui all'articolo 309 cod. proc. pen. si era definito con la sentenza di annullamento, pronunciata dalla Corte di Cassazione il 18 dicembre 2020 e che, soltanto a seguito di rinvio, il tribunale del riesame definiva il procedimento cautelare con ordinanza del 22 febbraio 2021. La sentenza di appello è altresì nulla per mancanza di motivazione grafica, la Corte di appello essendosi pronunciata limitatamente al reato di turbativa d'asta e non a tutti i capi di imputazione, come espressamente richiesto nei motivi di appello.
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