Cass. civ., SS.UU., sentenza 08/02/2010, n. 2714

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Massime1

In caso di morte del procuratore costituito dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni ma prima dell'udienza di discussione della causa, il termine breve per l'impugnazione decorre dalla notifica personale della sentenza alla parte rimasta priva di difensore, senza che assuma rilievo la mancata conoscenza incolpevole dell'evento interruttivo verificatosi (benché non dichiarato) ai danni della parte stessa; da un lato, invero, in questa fase processuale di transizione, la parte non può sottrarsi all'onere di informarsi circa le ragioni dell'avvenuta notifica alla sua persona e non al difensore, e, dall'altro, nessun dovere di avvisare la controparte della morte del suo difensore ricade sulla parte notificante.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 08/02/2010, n. 2714
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 2714
Data del deposito : 8 febbraio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C V - Primo Presidente -
Dott. E A - Presidente di Sezione -
Dott. D'

ALONZO

Michele - Consigliere -
Dott. S G - Consigliere -
Dott. G U - Consigliere -
Dott. S G - Consigliere -
Dott. N A - Consigliere -
Dott. B E - Consigliere -
Dott. S A - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 17007/2004 proposto da:
C E (CRNDRD34R12A794M), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE PACUVIO

34, presso lo studio dell'avvocato R G, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato M T, per delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
C C (CNRCLD41C22A794E), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZALE CLODIO

1, presso lo studio dell'avvocato R S, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato A A, per procura in calce al controricorso;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 239/2004 della CORTE D'APPELLO di BRESCIA, depositata il 18/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/11/2009 dal Consigliere Dott. A S;

uditi gli avvocati Guido ROMANELLI, Sebastiano RIBAUDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA

Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Edoardo Curnis ha impugnato davanti alla Corte d'appello di Brescia la sentenza del Tribunale di Bergamo con la quale erano state respinte le domande che egli aveva proposto nei confronti di suo fratello Claudio Curnis, attinenti alle eredità relitte dai loro genitori.
Il gravame è stato dichiarato inammissibile dal giudice di secondo grado, il quale ha ritenuto che: con l'appello Edoardo Curnis aveva dedotto, tra l'altro, che il proprio unico procuratore era deceduto il 5 febbraio 2001, ma in seguito all'evento, ignorato dal Tribunale, il processo non era stato interrotto;
ciò costituiva ragione di nullità della sentenza di primo grado, da far valere, come era avvenuto, in sede di impugnazione;
l'appello era stato però proposto tardivamente, poiché la sentenza era stata notificata al soccombente personalmente il 6 giugno 2001;
questa notificazione (che poteva e doveva essere effettuata con tale modalità, appunto a causa della morte del procuratore del destinatario) era idonea a far decorrere il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c., termine che risultava quindi non essere stato rispettato.
Edoardo Curnis ha proposto ricorso per cassazione, in base ad un motivo. Claudio Curnis ha resistito con controricorso. Ambedue le parti hanno depositato memoria per l'udienza.
La seconda sezione civile di questa Corte, con ordinanza n. 5419 del 5 marzo 2009, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite, rilevando che, con il motivo addotto a sostegno del ricorso, non viene contestata l'esattezza dei principi affermati dalla Corte d'appello, ma se ne nega l'applicabilità nell'ipotesi in cui, come nella specie, manchi la prova della conoscenza, da parte del soccombente, della morte del proprio procuratore. In tal caso, secondo il ricorrente, la notificazione della sentenza alla parte personalmente non sarebbe idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, come deve desumersi da Corte Cost., 15 dicembre 1967 n. 139, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 305 c.p.c., "per la parte in cui fa decorrere dalla data di interruzione del processo il termine per la sua prosecuzione o la sua riassunzione, anche nei casi regolati dal precedente art. 301 di morte, radiazione o sospensione procuratore costituito".
Inoltre, in memoria il ricorrente ha sostenuto che la notificazione della sentenza, in quanto atto di impulso processuale, non avrebbe potuto comunque essere validamente effettuata, stante l'automaticità dell'effetto interruttivo derivante dalla morte del procuratore del destinatario;
ha, altresì, invocato Corte cost. 3 marzo 1986, n. 41, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art.328 c.p.c., "nella parte in cui non prevede tra i motivi di
interruzione dei termini di cui all'art. 325 c.p.c., la morte, la radiazione e la sospensione dall'albo del procuratore costituito, sopravvenuta nel corso del termine stesso";
per il caso che non si aderisca alle sue tesi, ha chiesto che venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 326 c.p.c., nella parte in cui non prevede, tra i motivi di interruzione del termine breve di impugnazione, la morte, la radiazione e la sospensione dall'albo del procuratore costituito nel corso del giudizio di primo grado, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.. Ciò premesso, la menzionata ordinanza della seconda sezione civile di questa Corte ha osservato che la giurisprudenza di legittimità, anche dopo le citate pronunce della Corte costituzionale, si è orientata nel senso che "la notifica personale della sentenza alla controparte già costituita a mezzo di procuratore costituisce l'unica forma possibile di notificazione in caso di decesso del detto procuratore ed è idonea, anche se effettuata in forma esecutiva, a far decorrere il termine breve per l'impugnazione" (Cass. 10 febbraio 1987, n. 1408;
22 dicembre 1987, n. 9571;
24 febbraio 1995, n. 2129
;

17 giugno 1999, n. 6011;
26 febbraio 2001 n. 2746). Inoltre, con Cass. 1 giugno 1990, n. 5133, e 18 aprile 2003, n. 6300, sono state dichiarate manifestamente infondate eccezioni di legittimità costituzionale sollevate con riguardo alle norme che non prevedono l'interruzione del termine breve, nel caso di morte del procuratore avvenuta dopo la chiusura della discussione, ne' di quello lungo, nell'ipotesi di decesso verificatosi nel corso del giudizio a quo;

nei precedenti citati non è stata, tuttavia, espressamente affrontata l'ulteriore e più specifica questione posta ora dal ricorrente: se il principio dell'ininfluenza della morte del procuratore possa trovare applicazione anche ove il destinatario della notificazione non sia a conoscenza dell'evento. L'ordinanza citata ha, dunque, ritenuto che la questione sia di particolare importanza, in ragione sia della sua novità, sia della sua incidenza, con implicazioni anche di legittimità costituzionale, su istituti basilari della procedura civile, come il diritto alla difesa tecnica e la formazione del giudicato.
Il Primo Presidente ha, dunque, assegnato la causa alle sezioni unite. Ambedue le parti hanno depositato memorie per l'udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE


1 - IL QUESITO ED I TERMINI DEL DIBATTITO.
Premesso che, nell'ipotesi in cui il difensore della parte deceda dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni ma prima dell'udienza di discussione della causa, l'unico modo, per la controparte, per far decorrere il termine breve per l'impugnazione consiste nella notifica della sentenza alla parte personalmente, il quesito sottoposto alle sezioni unite consiste nello stabilire se, in questo caso, assuma rilievo la mancata conoscenza, da parte del destinatario della notificazione della sentenza, della morte del suo stesso difensore e, dunque, dell'evento interruttivo prodottosi a suo danno. Occorre subito chiarire che nel dibattito, così come introdotto, s'impone la contrapposizione di interessi di pari rilievo costituzionale. Da un lato v'è l'esigenza della parte che ha ricevuto la personale notificazione della sentenza, in conseguenza della morte del suo difensore, di munirsi, in un termine quantitativamente ridotto (trenta o sessanta giorni) di una nuova difesa tecnica che, nell'arco di quello stesso tempo, predisponga l'eventuale atto di impugnazione. Dall'altro, l'esigenza della controparte (che, per far decorrere il termine breve d'impugnazione, non ha altro mezzo che notificare la sentenza personalmente) di ottenere la rapida formazione del giudicato o, in alternativa, la rapida instaurazione del procedimento d'impugnazione. Rilevano, dunque, gli artt. 24 e 111 Cost., quanto all'inviolabilità della difesa in giudizio, alla garanzia del contraddittorio ed alla ragionevole durata del processo.
La dottrina ha da sempre posto in evidenza l'insufficienza strutturale della disciplina processuale delle cause interruttive del processo, soprattutto per quanto riguarda la fase di trasmigrazione tra i diversi gradi di giudizio. Insufficienza alla quale ha posto rimedio sia la giurisprudenza costituzionale, sia quella di legittimità.
Nel caso in trattazione (morte del difensore dell'attore dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni ma prima dell'udienza di discussione, senza la dichiarazione d'interruzione del procedimento) non si dubita (nè da parte del ricorrente, ne' da parte del collegio remittente) che la notifica personale della sentenza alla controparte già costituita a mezzo di procuratore costituisca l'unica forma possibile di notificazione idonea, anche se effettuata in forma esecutiva, a far decorrere il termine breve per l'impugnazione. Il principio costituisce ormai patrimonio consolidato della giurisprudenza di legittimità (susseguente agli interventi in materia della Corte costituzionale), sul quale non occorre neppure svolgere apposita trattazione (cfr. Cass. 26 febbraio 2001, n. 2746;

17 giugno 1999, n. 6011;
24 febbraio 1995, n. 2129;
22 dicembre 1987, n. 9571).
Altrettanto fuori discussione (lo pone in evidenza la sentenza impugnata) è che la morte dell'unico procuratore, a mezzo del quale la parte è costituita in giudizio, determina automaticamente l'interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne hanno avuto conoscenza;
interruzione che preclude ogni ulteriore attività processuale, la quale, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza.
Nullità che può essere fatta valere secondo il principio di cui all'art. 161 c.p.c., per il quale i motivi di nullità della sentenza si convertono in motivi di gravame (nella specie, l'impugnazione è stata sperimentata ma, come s'è visto, è stata dichiarata inammissibile per tardività dal giudice dell'appello). Tutto ciò premesso, la perplessità del collegio remittente ed il quesito del ricorrente concernono piuttosto la possibile applicazione di questo principio (ininfluenza, dunque, della morte del procuratore nella specifica vicenda in esame) anche nel caso in cui il destinatario della notificazione non sia a conoscenza dell'evento morte, ossia di quell'evento che ha comportato l'interruzione, benché non dichiarata, del processo.
In particolare, il ricorrente cita a sostegno della propria tesi (che, in estrema sintesi (lamenta la violazione del diritto costituzionale alla difesa tecnica) due precedenti, in tema, del giudice delle leggi: Corte cost. n. 139 del 1967 e n. 41 del 1986. 2. - GLI INTERVENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE IN MATERIA. Corte cost. 15 dicembre 1967, n. 139 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 305 c.p.c., per la parte in cui fa decorrere il termine per la prosecuzione o la riassunzione del processo non dalla notizia che dell'evento interruttivo (qualunque evento interruttivo) abbia avuto la parte, ma dalla data in cui questo evento si è verificato.
In questa pronuncia la Corte fornisce una definizione ampia del diritto di difesa tecnica, evidenziandone tutti gli elementi che ne devono comporre il contenuto ineludibile. Se ne ricava che l'art. 301 c.p.c., è una disposizione processuale a tutela del diritto di
difesa, coerente con il dettato dell'art. 24 Cost.. In particolare la norma mira a limitare le conseguenze negative della sopravvenuta assenza di continuità nell'assistenza tecnica, che invece non viene meno quando gli eventi interruttivi riguardino la parte e non il difensore. La difesa deve essere garantita in ogni stato e grado del processo, ma non la si protegge in tale estensione quando la disposizione di tutela, utile per un grado, è causa di pregiudizio se applicata al grado successivo. Le misure di garanzia del diritto di difesa devono essere valutate in modo "integrale", non limitandone l'esame alle singole fasi processuali od ai singoli gradi. La discrezionalità legislativa nella formulazione dei termini processuali non è in discussione ma occorre valutare se la norma ponga il soggetto in grado di utilizzare nella sua interezza lo spatium deliberandi predeterminato.
In altri termini, la censura di costituzionalità - ritiene il giudice delle leggi - non riguarda l'adeguatezza del termine ma la legittimità del criterio adottato per identificare il dies a quo, non potendo essere compatibile con la piena esplicazione del diritto alla difesa il decorso di un termine, quale quello stabilito per la prosecuzione o riassunzione del giudizio ex art. 305 c.p.c., senza che la parte conosca il fatto cui la legge subordina o condiziona il concreto esercizio del diritto di difesa.
È indubbio che, come pongono in evidenza sia il ricorrente sia l'ordinanza di rimessione, i principi desumibili dalla sentenza costituzionale in commento, benché resi in una fattispecie affatto diversa da quella ora in esame, debbano costituire un punto centrale di riflessione per la soluzione del quesito oggi posto alle sezioni unite. Ne emerge, infatti, il canone generale secondo cui la causa interruttiva debba essere conosciuta dalla parte a cui svantaggio opera, potendosi trasformare, in caso d'ignoranza incolpevole, da misura di garanzia del diritto di difesa a conseguenza negativa produttiva di effetti (come il giudicato) potenzialmente irreversibili. Per altro verso, se ne ricava l'incompatibilità costituzionale della formazione "involontaria" (per una delle parti) del giudicato senza aver messo in condizione la parte che ne risulti danneggiata di porre in essere le contromisure difensive idonee a scongiurarne la verificazione.
Autorevolissima dottrina processuale accolse subito con favore l'intervento della Corte costituzionale, senza però mancare di porre in evidenza che esso aveva scongiurato la "estinzione misteriosa" del processo, restando tuttavia da evitare il correlato rischio di una "interruzione perpetua". Propose, dunque, di porre, a carico della parte pregiudicata dall'estinzione, l'onere di provare l'ignoranza dell'interruzione automatica o, comunque, la sua tardiva conoscenza. Fatto sta che, a fondamento della problematica, è stato sempre posto in evidenza il bipolarismo degli interessi in gioco: da un lato, l'esigenza di rendere effettivo il contenuto del diritto di difesa (nel suo profilo di difesa tecnica, quando la parte è tenuta a stare in giudizio a mezzo di un difensore);
dall'altro, l'esigenza altrettanto rilevante di assicurare la stabilizzazione dei rapporti attraverso la formazione del giudicato.
Il rilievo della conoscenza dei fatti che incidono sulla sfera dei diritti e delle facoltà processuali delle parti, si riscontra anche in altre pronunce della Corte costituzionale. Nella sentenza n. 34 del 1970, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 297 c.p.c., nella parte in cui dispone la decorrenza del termine utile per la richiesta di fissazione della nuova udienza dalla cessazione della causa di sospensione del procedimento invece che dalla conoscenza che ne abbiano le parti del processo sospeso. Con la sentenza n. 159 del 1971 il principio contenuto nella sentenza n. 139 del 1967 viene esteso anche ai fatti interruttivi, indicati nell'art. 299 c.p.c., che colpiscono la parte e che possono non essere conosciuti dagli eredi o dalle controparti. Anche in questa ipotesi, ritiene la Corte, il termine per la prosecuzione o la riassunzione del giudizio deve decorrere dalla conoscenza del fatto interruttivo e dal suo venire in essere.
L'opera di adeguamento sistematico della disciplina processuale dell'interruzione del procedimento ha investito anche l'art. 328 c.p.c., nella parte in cui non prevede l'interruzione del termine
breve per impugnare pure nel caso in cui il fatto interruttivo, sopravvenuto nella pendenza del termine in questione, riguardi il procuratore costituito nel precedente grado. A questa specifica lacuna ha posto rimedio la sentenza n. 41 del 1986 (che, siccome riguardante anch'essa più da vicino il tema oggi in trattazione, risulta pure menzionata dall'ordinanza di rimessione) dalla quale si può estrarre il principio secondo cui il diritto alla difesa tecnica non è tutelabile solo all'interno delle singole fasi processuali ma si estende, sotto il profilo specifico della continuità dell'assistenza tecnica anche nelle fasi di quiescenza, o più esattamente, di passaggio da un grado all'altro del giudizio, in quanto scandite da adempimenti assoggettati a preclusioni ed esposte al rischio, non più soltanto endoprocessuale, del giudicato. La mancanza della condizione della rappresentanza processuale non fa venire meno la garanzia costituzionale della difesa tecnica anche in questa delicata scansione del giudizio, come può rilevarsi dagli artt. 285 e 330 c.p.c., che pongono a carico del procuratore costituito nel precedente grado precisi obblighi di ricezione degli atti più incisivi sulle scelte processuali future e d'informazione tempestiva.
Se, per un verso, s'è detto che i menzionati arresti del giudice costituzionale affrontano in pieno la problematica della quale qui si discute e forniscono un quadro esauriente e suggestivo del diritto della parte alla difesa tecnica, per altro verso occorre pur dire che le fattispecie nelle quali è intervenuta la Corte costituzionale sono ben diverse da quella qui in trattazione. Differenza di non scarso rilievo che ci fa riflettere circa l'impossibilità di traslare in maniera pressoché automatica quei principi al nostro caso.
infatti, nella fattispecie esaminata da Corte cost. n. 139 del 1967 (ma tanto vale anche per gli altri menzionati arresti) la parte che rischia l'estinzione non è destinataria di alcun atto avente rilievo processuale dal momento in cui opera l'interruzione automatica del processo fino alla perenzione del termine;
ossia, per lei l'estinzione può essere effettivamente misteriosa, visto che non le proviene alcuno stimolo (men che mai dalla controparte) che le possa dare cognizione del fattore interruttivo. Nel caso che ci riguarda, invece, la parte ha ricevuto la notifica personale della sentenza, ossia un atto formale proveniente dalla controparte, contenente quanto meno l'informazione relativa all'intervenuta pronuncia sfavorevole. Una forma di conoscenza del mutamento della condizione preesistente si è verificata, pur se l'atto non contiene la specificazione dell'intervenuto evento interruttivo ed anche se non può pretendersi dalla parte la conoscenza dei complessivi effetti dell'intervenuta notifica della sentenza alla parte stessa invece che al suo difensore.
Lo stesso discorso può farsi quanto alla sentenza costituzionale n. 41 del 1986, la quale, come s'è visto, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 328 c.p.c., laddove non prevedeva tra i motivi di interruzione del termine breve per l'impugnazione (art. 325 c.p.c.) la morte, la radiazione e la sospensione dall'albo del procuratore costituito sopravvenute nel corso del termine stesso. In questo caso l'evento interruttivo sopravviene rispetto all'inizio del termine per impugnare ed il venir meno della rappresentanza processuale fa mancare la garanzia costituzionale della difesa tecnica anche in questa delicata scansione del giudizio, come può rilevarsi dagli artt. 285 e 330 c.p.c., che pongono a carico del procuratore costituito nel
precedente grado precisi obblighi di ricezione degli atti più incisivi sulle scelte processuali future e d'informazione tempestiva. Nel nostro caso, invece, l'evento interruttivo s'è verificato (benché non dichiarato) nel corso del giudizio di primo grado ed il termine breve d'impugnazione comincia a decorrere proprio quando, legittimamente e senza alcuna alternativa, la sentenza viene notificata alla parte personalmente. Caso nel quale, dunque, non può parlarsi di interruzione d'un termine che, al momento del verificarsi dell'evento interruttivo, non è neppure cominciato a decorrere.

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