Cass. pen., sez. VI, sentenza 08/06/2023, n. 24905
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Testo completo
seguente SENTENZA sul ricorso proposto da M M, nato a Cosenza il 14/02/1975 avverso la ordinanza del 19-20/09/2021del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere M S G;letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale A C, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro - sezione per il riesame - ha rigettato la richiesta di riesame dell'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Ufficio, che aveva applicato la misura della custodia in carcere nei confronti di M M per il reato di cui agli artt. 416-bis, commi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto cod. pen. (capo 1). Il reato contestato si inserisce in una serie di episodi delittuosi - tutti oggetto del medesimo provvedimento genetico - posti in essere da vari indagati. In particolare, vengono contestati 298 capi di imputazione. Al capo 1) è contestato il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen. nei confronti di 119 indagati, con attribuzione del ruolo dagli stessi rivestito all'interno di una articolazione della 'ndrangheta. Dal capo 2) al capo 172) sono contestati i reati-fine, tutti aggravati ai sensi dell'art. 416-bis.1 cod. pen. e riferiti alla consorteria mafiosa di cui al capo 1). Al capo 173) è contestata una associazione criminale ex art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ontologicamente collegata all'associazione di cui al capo 1) e, infine, dal capo 174) al 298) sono contestati i reati-fine relativi all'associazione di cui al capo 173). Innanzitutto, il Tribunale respingeva la doglianza difensiva relativa alla violazione della disciplina di cui all'art. 297, comma 3, cod. proc. pen. sul rilievo che il materiale investigativo posto a fondamento del titolo cautelare fosse il medesimo utilizzato nell'ambito di altro procedimento (tuttora pendente in primo grado), ove M era stato sottoposto alla misura detentiva per il reato di cui all'art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e che già allora erano desumibili i fatti oggetto del presente procedimento. I giudici del riesame ritenevano, da un lato, che i fatti oggetto del presente procedimento non erano stati commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza, trattandosi di una contestazione "aperta" e che, dall'altro, gli elementi indiziari (con particolare riguardo alle intercettazioni) già acquisiti e posti a fondamento della contestazione associativa ex art. 74 d.P.R. cit. dell' 11 febbraio 2020 non erano sufficienti a inquadrare M quale partecipe dell'associazione di stampo mafioso, dal momento che la completezza del quadro indiziario era stata raggiunta solo grazie alla collaborazione di R P, le cui dichiarazioni hanno avuto luogo in momenti successivi a partire dal dicembre 2020. Il Tribunale narrava quindi, anche mediante il richiamo al provvedimento genetico, le vicende concernenti l'esistenza e l'operatività della consorteria di 'ndrangheta operante nel territorio cosentino (capo 1), caratterizzata dall'essere un'unione fra sette gruppi confinanti e alleati, al fine di preservare, mantenere e rinforzare il dominio sul territorio, nonché dediti a commettere i diversi delitti sottesi a tale finalità (estorsioni, gioco d'azzardo e scommesse, narcotraffico, usure ed esercizio abusivo dell'attività finanziaria). In particolare, la consorteria denominata "Lanzino-Ruà-Patitucci" risultava confederata con il gruppo detto "Zingari", della quale la famiglia A ("B") era l'espressione più importante. Del clan "Lanzino-Ruà-Patitucci" il gruppo Presta si configurava come una propaggine territoriale operante nell'area Tarsia-Roggiano Gravina.Gli esiti investigativi risultanti da captazioni telefoniche, ambientali e telematiche, l'analisi delle immagini estrapolate dagli impianti di videosorveglianza, i servizi di geolocalizzazione, osservazione e controllo, le attività di perquisizione e sequestro e l'analisi delle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia (Celestino A, F B, S G, D L, G M, A N, G Z, N A, E F, R P) - soggetti, tutti, impegnati in quel contesto criminale e perciò a conoscenza dei relativi assetti di potere - compendiati nelle ricche ed esaurienti informative di polizia giudiziaria, consentivano di ricostruire il complesso quadro sopra descritto. Il Tribunale esaminava quindi la consistenza probatoria delle specifiche accuse che riguardavano l'indagato, risultante partecipe della associazione 'ndranghetista e, in particolare, inserito nel gruppo riconducibile ai "Lanzino-Ruà-Patitucci", ove svolgeva un ruolo operativo nel campo del traffico di sostanze stupefacenti, ritenendo che la prova cautelare degli addebiti emergesse anzitutto dall'attività intercettativa e dalle successive dichiarazioni del collaboratore di giustizia R P. Quest'ultimo, nel descrivere le dinamiche associative, ha narrato che M (detto M o L) - che aveva ricevuto una dote di 'ndrangheta - era operativo nel campo degli stupefacenti e forniva il proprio costante contributo nella realizzazione di ritorsioni commissionate dal clan di appartenenza, oltre che nella veicolazione di messaggi verbali per conto dei vertici dell'associazione. Lo stesso, insieme ai sodali Fabio Giannelli e Mario Sollazzo, rappresentava all'esterno i vertici del gruppo per la vendita dello stupefacente all'ingrosso, in una rete di distribuzione capillarmente gestita dai componenti più fidati. Dalle captazioni ambientali è inoltre emerso che il gruppo si prodigava, anche attraverso il costante rapporto con gli altri, nella raccolta di denaro per sostenere le spese legali di Franco Presta. Dalla conversazione del 25 marzo 2017 fra i fratelli Roberto e Tonino Presta si evinceva che il clan incamerava somme significative dal settore degli stupefacenti, in parte desinate ad alimentare la "bacinella" comune alla confederazione di 'ndrangheta. Da altro dialogo intercorso fra i fratelli Antonio e R P il 4 febbraio 2017 si evinceva il ruolo di M, indicato (unitamente a quello di Sollazzo) come uno degli incaricati a svolgere un'azione punitiva violenta nei confronti di alcuni soggetti che si erano intromessi nel traffico di droga ("E gli ho detto...ora dovete andare a rompergli il muso, ora!"). M aveva anche il compito di veicolare messaggi con esponenti di spicco della consorteria quale Costantino Sforza. Ancora, il 16 marzo 2017, M veniva intercettato a bordo dell'auto di R P, ove questi, insieme al fratello Tonino, lo incaricava di recarsi a un incontro importante, consegnandoli anche del denaro. Da altre captazioni (13 maggio e 26 giugno 2017) si evinceva il suo ruolo nel movimentare somme di denaro.Circa le esigenze cautelari, la presunzione di sussistenza delle stesse e di esclusiva adeguatezza della misura custodiale in carcere non era superata dal mero decorso di un lasso temporale in ragione delle concrete manifestazioni di partecipazione al sodalizio criminoso, attesa la dimensione attuale della affiliazione e del persistente vincolo associativo risalente nel tempo e mai rescisso.
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