Cass. civ., SS.UU., sentenza 29/07/2013, n. 18191
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L'inosservanza da parte del giudice, su conforme parere del P.M., dei termini di durata della custodia cautelare previsti dalla legge, in quanto lesiva del diritto fondamentale di libertà del soggetto trattenuto in carcere oltre i limiti legali, costituisce, per entrambi, grave violazione di legge, sanzionabile come illecito disciplinare, salva la possibilità di applicare un'esimente connessa a circostanze di fatto o a provvedimenti che giustifichino la mancata liberazione, dovendosi attribuire a gravissima negligenza del magistrato ogni violazione del diritto di libertà non dovuta a cause eccezionali, ovvero già determinate per legge. (In forza di tale principio, la S.C. ha ritenuto che l'avvenuta scarcerazione di persona colpita da provvedimento di custodia cautelare, sessantadue giorni dopo la data in cui avrebbe dovuto essere eseguita per decorso dei termini di legge, integri l'illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 1, lettera g), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, escludendo che tanto le circostanze relative alla capacità e laboriosità dimostrate dai magistrati incolpati nelle loro altre attività giudiziarie, quanto il fatto obiettivo dell'omessa trascrizione, nel registro generale, dello stato di detenzione della persona indagata potessero assumere rilievo come cause eccezionali, potenzialmente apprezzabili come esimenti della responsabilità disciplinare, potendo invece solo rilevare, come avvenuto nel caso di specie, sul piano della commisurazione del trattamento sanzionatorio).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R L A - Primo Presidente f.f. -
Dott. R R - Presidente Sez. -
Dott. F F - rel. Consigliere -
Dott. B E - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. M G - Consigliere -
Dott. T G - Consigliere -
Dott. D'ASCOLA Pasquale - Consigliere -
Dott. B R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi riuniti iscritti ai n.ri 1601 e 1602 del Ruolo Generale degli affari civili del 2013, proposti da:
1) Dr. G.F. , giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di A, elettivamente domiciliata in Roma, alla Piazza delle Medaglie d'oro n. 7, nello studio dell'avv. MILELLA TITO LUCREZIO con l'avv. A L del foro di A, che la rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso;
2) Dr. GU.PA. , sostituto procuratore della Repubblica in A, elettivamente domiciliato in Roma, alla Piazza delle Medaglie d'oro n. 7, presso l'avv. Tito Lucrezio Milella con l'avv. A L da A, che lo rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro per legge rappresentato e difeso dall'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO e presso questa domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
- intimato -
nonché
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE;
- interventore necessario -
avverso la sentenza della sezione disciplinare del C.S.M. n. 157/2012 del 9 novembre - 4 dicembre 2012, il cui deposito è stato comunicato il 9 dicembre 2012, impugnata con ricorso del 5 gennaio 2012 trasmesso alla sezione disciplinare nel termine dell'art. 585 c.p.p., comma 1, lett. b;
Udita, alla pubblica udienza del 9 luglio 2013, la relazione del Cons. dr. Fabrizio Forte e sentiti l'avv. Lucchetti, per i ricorrenti, e il P.M. dr. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
PREMESSO IN FATTO
La dr.sa F..G. e il dr. Gu.Pa. , rispettivamente
giudice per le indagini preliminari e sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di A, con sentenza della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura (da ora:
C.S.M.) del 4 dicembre 2012, sono stati dichiarati responsabili dell'illecito disciplinare di cui all'art. 2, lett. g, del D. Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, per "grave violazione di legge determinata
da... negligenza inescusabile", per non avere escarcerato una detenuta, nonostante la decorrenza dei termini di carcerazione preventiva.
La sezione disciplinare ha invece escluso la sussistenza dell'illecito previsto nell'art. 2, comma 1, lett. a, costituito dalla violazione dell'art. 1 dello stesso decreto legislativo, per esercizio delle funzioni con negligenza, avendo la prima, quale G.I.P., omesso di scarcerare l'imputata S.Y. e il secondo quale P.M. espresso parere contrario all'istanza di libertà della imputata, chiedendo per la stessa gli arresti domiciliari, dopo che erano scaduti i termini di custodia cautelare.
Il C.S.M. ha irrogato a ciascuno dei due magistrati la sanzione dell'ammonimento, affermando che, nella fattispecie, pur essendosi l'infrazione interamente consumata nel vigore del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, e dovendosi escludere che il trattamento sanzionatorio
per la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 32 bis, fosse più favorevole di quello precedente, questo ultimo andava applicato, perché rendeva l'irrogazione della sanzione più difficile. Infatti la normativa del 2006, a differenza della precedente, collega la sussistenza dell'illecito disciplinare al riscontro dei due elementi di cui alla contestazione, quello "oggettivo" della grave violazione di legge e l'altro "soggettivo" della negligenza inescusabile. In rapporto alla "gravità" della violazione disciplinare, il C.S.M. ha rilevato che l'omissione degli incolpati era "grave", per avere inciso sul diritto fondamentale (art. 13 Cost.) della libertà personale dell'imputata, della quale ha indebitamente prolungato lo stato di detenzione per sessanta (rectius sessantadue) giorni, così ledendo il diritto costituzionalmente protetto di libertà. Sul piano soggettivo, il C.S.M. ha rilevato che il requisito della negligenza "inescusabile" incide esso stesso sulla gravità dell'infrazione, perché le carenze soggettive nella condotta omissiva degli incolpati che ha comportato la mancata escarcerazione dell'indagata, erano nella fattispecie macroscopiche e come tali incidevano sulla misura della sanzione da irrogare e non sulla configurazione dell'illecito disciplinare correttamente contestato. Infatti nel caso la mancata dovuta escarcerazione era effetto di comportamenti omissivi di ambedue gli incolpati che aveva violato il valore più alto garantito dalla Costituzione, quello della libertà personale;pertanto si è escluso che la condotta degli incolpati potesse non qualificarsi come "gravissima", in ragione dei suoi effetti, e si è tenuto conto a tal fine delle due istanze di libertà personale presentate dall'imputata, entrambe rigettate in violazione della normativa sui termini di custodia cautelare dell'indagata S.Y. , le cui istanze di liberazione sono state respinte in contrasto con la normativa di legge.
La violazione di un dovere elementare di diligenza da parte dei due incolpati, si è ritenuta inescusabile e in tal senso sono state considerate irrilevanti le deduzioni difensive dei due magistrati, che potevano incidere solo sulla misura della sanzione, a causa della unicità della condotta disciplinare contestata e accertata e tenendo conto della laboriosità dei due, ma non erano esimenti della responsabilità disciplinare. Il C.S.M. ha quindi irrogato la sanzione dell'ammonimento in ragione della unicità dell'episodio contestato e per la laboriosità e capacità di regola evidenziati dai due incolpati nell'esercizio delle funzioni, rilevando che la omessa trascrizione nel registro generale dello stato di detenzione dell'indagata aveva concorso anche essa a dar luogo alla tardiva scarcerazione, per cui ha irrogato ai due incolpati la sanzione edittale minima dell'ammonimento per le ragioni sopra indicate. Per la cassazione di tale sentenza della sezione disciplinare del C.S.M. del 4 dicembre 2012, la dr.sa F..G. e il dr.
Pa..Gu. hanno ciascuno proposto un ricorso di tre motivi, ognuno illustrato da memorie ex art. 378 c.p.c.. CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Devono preliminarmente riunirsi i ricorsi della G. e del Gu. ai sensi dell'art. 335 c.p.c., per essere impugnazioni proposte sepatamente contro la stessa sentenza. Sempre in via preliminare va rilevato che i ricorrenti lamentano che il C.S.M. ha valutato la loro responsabilità disciplinare come condotta imputabile al sistema giudiziario inteso in senso globale, ritenendo "inescusabili" i loro comportamenti omissivi per il carattere macroscopico degli errori e delle conseguenti omissioni contestate. La sezione disciplinare ha quindi ritenuto che le carenze organizzative degli uffici potevano incidere nella fattispecie solo sulla misura della sanzione, essendo palese la violazione di legge, costitutiva da sola dell'infrazione. Afferma la sentenza del Consiglio superiore che le due istanze di libertà presentate dall'indagata S.Y. imponevano ai magistrati che le avevano valutate e che sono stati incolpati in questa sede, l'esame della posizione processuale dell'imputata detenuta, la cui omessa escarcerazione costituiva di per sè una "negligenza inescusabile", potendo le giustificazioni addotte dagli incolpati incidere solo sull'entità della sanzione e non sulla sussistenza dell'infrazione disciplinare.
La violazione di legge nell'esercizio delle funzioni degli incolpati e la negligenza nell'omettere la escarcerazione dell'indagata emergevano chiare, anche indipendentemente dalla contestazione della violazione dei doveri di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1. Per i due incolpati si è riconosciuta la colpa di non avere provveduto alla escarcerazione dell'indagata nei termini di legge, consapevoli che l'assenza di siffatto provvedimento "dovuto" per ben sessantadue giorni, era gravemente lesiva del diritto fondamentale di libertà dell'imputata, garantito dalla Costituzione. Gli incolpati hanno, ad avviso del C.S.M., omesso il controllo doveroso sulla scadenza dei termini di carcerazione per la indagata, così provocando la proroga illegale della detenzione dopo la scadenza dei termini di questa e violando il diritto fondamentale alla libertà personale di lei.
I due ricorrenti lamentano che, nella fattispecie, è mancato, da parte del C.S.M., l'esame concreto della negligenza, non essendosi considerata la "condotta esigibile in concreto" dai magistrati per la omessa escarcerazione della indagata, da ritenere "diligente" se esaminata in connessione con l'altro requisito richiesto dalla legge per affermare la responsabilità disciplinare degli incolpati, consistente nella inescusabilità della loro condotta, affermando la sentenza impugnata che, nel caso, la negligenza dei magistrati era stata "macroscopica", al punto da escludere in concreto qualsiasi giustificazione dei loro comportamenti. Secondo il C.S.M. il rigetto dai magistrati incolpati delle due istanze di escarcerazione dell'indagata, "si può spiegare solo con una mancata lettura degli atti di giudizio e in particolare delle date di carcerazione". La sezione disciplinare non ha rilevato la mancanza delle annotazioni sui registri e le carenze organizzative degli uffici di appartenenza, che hanno determinato il rigetto delle istanze di escarcerazione della indagata.
I ricorrenti deducono inoltre, a giustificare la loro condotta, la complessità del procedimento penale con 46 indagati e "consistente in oltre 20 faldoni", la pluralità degli imputati e le difficoltà connesse al loro reperimento, affermando che, degli arresti dell'imputata, non tempestivamente liberata nel periodo pasquale, il dr. Gu. non aveva avuto notizia, per la tardiva trasmissione degli atti del procedimento al suo ufficio, con errore sui termini di liberazione, condiviso dai difensori, dal G.I.P. e dal Tribunale del riesame, circostanze a cui nessun rilievo aveva dato il C.S.M.. Mancando un fascicolo dell'esecuzione provvisoria che poteva esservi ed era anzi consigliato dalla circolare ministeriale del 20 giugno 1990, i gravosi impegni del dr. Gu. potevano rilevare sulla misura della sanzione, in assenza di una giurisprudenza sicura in materia disciplinare sulla infrazione contestata e circa gli elementi costitutivi della stessa contestazione in rapporto alla "negligenza" e alla "inescusabilità" di essa, non potendo dubitarsi della gravità della violazione di legge,lesiva del diritto di libertà. Nella sentenza disciplinare i due elementi della infrazione della negligenza e della inescusabilità della stessa non risultano ben descritti e definiti e per tali profili è censurata la sentenza disciplinare del C.S.M..