Cass. pen., sez. VI, sentenza 21/06/2019, n. 27707
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la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da N M F, nato il 21/02/1945 a Planches Montreux (Svizzera)i avverso la sentenza del 13/06/2018 della Corte di appello di Milano visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;udita la relazione svolta dal consigliere M R;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale C A, che ha concluso per il rigetto del ricorso;udito il difensore, Avv. B S, in sost. dell'Avv. F P, che si è riportata al ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 13/6/2018 la Corte di appello di Milano ha confermato quella del Tribunale di Milano in data 30/9/2015, con cui N M F è stato riconosciuto colpevole del delitto di peculato in relazione al mancato versamento delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno dalla struttura alberghiera MIHOTEL, gestita dalla società MFN s.r.I., di cui il Norsa era legale rappresentante. 2. Ha presentato ricorso il Norsa tramite il suo difensore. 2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge in merito all'individuazione sia dell'elemento oggettivo che di quello soggettivo del reato di peculato. Sotto il primo profilo rileva che sarebbe occorsa una condotta di espropriazione e di impropriazione delle somme, ciò che nel caso di specie non sarebbe potuto ravvisarsi, in quanto il ricorrente da un lato aveva predisposto una struttura amministrativa gestionale, per la cura delle incombenze relative alla riscossione e al riversamento delle somme introitate a titolo di imposta di soggiorno, e dall'altro si era trovato nell'impossibilità di far fronte all'obbligo di versamento, avendo perduto ogni legittimazione gestionale, dopo l'omologa del piano di ristrutturazione del debito e nella fase della sua attuazione, durante la quale era intervenuta la diffida da parte del Comune di Milano. In tal modo non si sarebbe potuta ravvisare alcuna interversione del possesso, fermo restando che tutte le attività di pagamento erano sottoposte al controllo del Tribunale e della Banca Sella, principale creditore, e che il ricorrente aveva anche messo a disposizione beni personali perché il piano andasse a buon fine. Sotto il secondo profilo avrebbe dovuto considerarsi che il ricorrente non aveva inteso sottrarsi al pagamento con piena coscienza dell'antidoverosità del comportamento, essendo a suo carico semmai ravvisabile negligenza nella cura degli aspetti legati alla gestione dell'imposta di soggiorno, essendosi fidato di coloro che aveva all'uopo delegato, in assenza della volontà di trattenere o impiegare indebitamente le somme riscosse, inserite in un fondo evidenziato in un conto a parte della situazione contabile oggetto della omologa. A fronte di ciò la Corte aveva fornito una motivazione illogica che rendeva la decisione incompiuta e non adeguata alle reali risultanze processuali, essendosi decontestualizzato il riferimento all'incameramento delle somme rispetto al momento storico in cui la condotta, pur qualificata come volontaria, si sarebbe attuata. 2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione nella parte in cui la Corte non aveva tenuto conto di numerosi aspetti emersi dalla documentazione prodotta, non dando rilievo alle limitazioni funzionali del ricorrente ed ai suoi sforzi di approntare idonee cautele anche mediante coinvolgimento di soggetti con qualifiche specifiche.In particolare la Corte aveva erroneamente valutato il tema dell'assunzione del tecnico Dottorini, avendo rilevato che all'epoca il regime di incasso si era instaurato, ma senza considerare che per la quasi totalità i versamenti avrebbero dovuto essere effettuati successivamente. La Corte non aveva valutato l'alternativa ipotesi ricostruttiva incentrata sulla mancanza di poteri gestori in capo al ricorrente, fornendo una motivazione laconica e meramente riproduttiva degli assunti del giudice di primo grado.
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