Cass. civ., sez. II, sentenza 14/06/2013, n. 15024

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I muri perimetrali di un edificio in condominio sono destinati al servizio esclusivo dell'edificio stesso, sicché non possono essere usati, senza il consenso di tutti i comproprietari, per l'utilità di altro immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini e costituente un'unità distinta rispetto all'edificio comune, in quanto ciò costituirebbe una servitù a carico di detto edificio. Pertanto, costituisce uso indebito di cosa comune l'appoggio praticato da un condomino sul muro perimetrale dell'edificio condominiale per realizzare locali di proprietà esclusiva, mettendoli in collegamento con altro suo immobile, in quanto siffatta opera viene ad alterare la destinazione del muro perimetrale e ad imporvi il peso di una vera e propria servitù.

In tema di condominio negli edifici, ai sensi dell'art. 1108, terzo comma, cod. civ., applicabile al condominio in virtù dell'art. 1139 cod. civ., per la costituzione di diritti reali sulle parti comuni è necessario il consenso di tutti i condòmini, che non può essere sostituito da una deliberazione assembleare a maggioranza e dal decorso del tempo necessario a consolidarla.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, sentenza 14/06/2013, n. 15024
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15024
Data del deposito : 14 giugno 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P L - Presidente -
Dott. N L - Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. C V - Consigliere -
Dott. F M - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 7462/07) proposto da:
DELL'ORTO CONCETTA, NASTRI GERARDO e NASTRI KATIA, quali eredi di G N, rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall'Avv.to Costanza Maria del foro di Milano e dall'Avv.to P B del foro di Salerno ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell'Avv.to F G in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 154;



- ricorrenti -


contro
C FRANCESCO, A COSIMO e DI M OLGA, rappresentati e difesi dall'Avv.to FORTUNA F S del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, via Monfalcone n. 3;

- controricorrenti e ricorrenti incidentali -
e contro
C LORENZO, C M ANNUNZIATA, F RITA, D'ELIA ANTONIO, GRIPPO LUCIA, CASSESE RAFFAELE, VECCHIO ANGELA, CASSESE ANTONIETTA, CASSESE EMILIA, MELILLO TERESINA, MORCALDI ANTONIETTA e MORCALDI A ;



- intimati -


Nonché sul ricorso incidentale (R.G. n. 9816/07) proposto dai controricorrenti nei confronti dei ricorrenti avverso la sentenza della Corte d'appello di Salerno n. 556 depositata l'11 luglio 2006;

Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 26 febbraio 2013 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

uditi gli Avv.ti Lelio Placidi (con delega dell'Avv.to P B), per parte ricorrente, e F S Fortuna, per parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE

Ignazio, che ha concluso per
l'inammissibilità dei ricorsi, in subordine per il rigetto sia del ricorso principale sia di quello incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 27 gennaio 1988 Francesco C, Annunziata C M, Vito MORCALDI, Olga DI M, Cosimo A, Lorenzo COIRÒ, Rita F, A C, Antonio D'ELIA e Lucia GRIPPO evocavano, dinanzi al Tribunale di Salerno,

NASTRI

Giovanni esponendo di essere proprietari di appartamenti siti nel fabbricato del Condominio Calcaterra, in Eboli, via Amendola n. 31, edificio nel quale il convenuto da alcuni anni si era reso responsabile di una serie di abusi che non potevano essere contrastati in ragione del fatto che lo stesso era titolare di 367/920 millesimi;
in particolare il NASTRI aveva sfondato un solaio di copertura dei suoi locali terranei adibiti a negozi di abbigliamento creando un largo vano di accesso ad altri suoi locali interrati, previo abbattimento delle travettature, che avevano determinato l'indebolimento del fabbricato e specialmente degli appartamenti al primo piano di proprietà di MORCALDI e DI M;

aveva costruito due piccoli locali in aderenza all'altro di sua proprietà avente ingresso da via Amendola, creando comunione con due muri condominiali ed allacciandosi abusivamente alla rete idrica e a quella fognaria, oltre ad occupare suolo comunale;
murato la porta che dall'androne dava ai negozi di sua proprietà;
devastato la rete fognaria del fabbricato deviandone il corso e provocandone intasamenti negli allacciamenti ai vari alloggi;
costruito una canna fumaria lungo la parete ovest del fabbricato;
tanto premesso, chiedevano che venisse ordinato al convenuto la riduzione in pristino stato delle opere modificate. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il giudice adito, espletata istruttoria, anche con c.t.u., accoglieva parzialmente la domanda attorea, dichiarando l'illegittimità delle opere realizzate limitatamente alla costruzione del vano adiacente il locale caldaia ed alla muratura della porta di accesso dall'androne dell'edificio condominiale ai locali di proprietà del NASTRI, con ordine di immediato ripristino dello status quo ante.
In virtù di rituale appello interposto dal NASTRI, assumendo che il giudice di merito aveva travisato i fatti, la Corte di appello di Salerno, nella resistenza degli originari attori C, C M, DI M, A, C, nonché R C e A V, quali eredi di A C (non costituiti F, D'ELIA, G M, A E T M, quali eredi di V M, nonché A ed E C, altre eredi di A C) , i quali proponevano anche appello incidentale, accoglieva parzialmente l'appello principale e quello incidentale, per l'effetto in parziale riforma della sentenza impugnata escludeva la declaratoria di illegittimità della chiusura da parte del Nastri della porta di comunicazione tra i locali di sua proprietà e l'androne condominiale, mentre dichiarava la illegittimità delle opere realizzate dallo stesso appellante limitatamente alla costruzione del vano caldaia, oltre che del vano ulteriormente edificato in connessione con il primo, confermata nel resto la decisione di primo grado.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che le deliberazioni assunte dai condomini nell'adunanza del 5.2.1983, di autorizzazione del secondo locale, seppure adottate a seguito di regolare convocazione, non potevano però influire sulle posizioni soggettive dei singoli condomini;
considerazione che andava effettuata anche con riferimento alla precedente Delib. 1979, con la quale la maggioranza dei condomini aveva autorizzato la realizzazione del primo vano. Osservava, altresì, che l'opera realizzata dal Nastri con i due vani faceva corpo unico con l'edificio condominiale, annettendo a sè la porzione dei muri perimetrali, oltre al necessario innesto dei servizi impiantistici afferenti alla struttura edificata con quelli condominiali, così creando una situazione di asservimento dell'edificio condominiale, con la conseguenza della creazione di una servitù a vantaggio della proprietà esclusiva del Nastri, che avrebbe dovuto essere costituita con il concorso della volontà di tutti i comproprietari (ex art. 1108 c.c.). Aggiungeva quanto alla chiusura della porta di accesso ai locali di proprietà esclusiva dall'androne condominiale, che vi era assenza di violazione della disciplina a presidio dei diritti dei condomini sulle parti comuni, per cui si trattava di intervento limitativo soltanto delle facoltà di uso della cosa comune da parte del Nastri.
Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Salerno hanno proposto ricorso per cassazione Concetta DELL'ORTO, Gerardo e Katia NASTRI, quali eredi di G N , articolato su tre motivi, al quale hanno resistito Francesco C, Cosimo A e Olga DI M, con controricorso, non costituiti gli altri condomini intimati, i quali hanno anche presentato ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
Deve, inoltre, dichiararsi l'inammissibilità del controricorso e conseguentemente del ricorso incidentale, come eccepito da parte ricorrente. Ed infatti, in linea assolutamente generale, la produzione dell'avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del controricorso spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell'art. 149 c.p.c., o della raccomandata con la quale l'ufficiale giudiziario da notizia al destinatario dell'avvenuto compimento delle formalità di cui all'art. 140 c.p.c., è richiesta dalla legge esclusivamente in funzione della prova dell'avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell'avvenuta instaurazione del contraddittorio;
ne consegue che l'avviso non allegato al controricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all'udienza di discussione di cui all'art. 379 c.p.c., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal comma 1 della citata disposizione, ovvero fino all'adunanza della corte in camera di consiglio di cui all'art. 380 bis c.p.c., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti ai sensi dell'art. 372 c.p.c., comma 2. In caso, però, di mancata produzione dell'avviso di ricevimento,
il controricorso e il ricorso incidentale in esso contenuto è inammissibile (Cass. sez. un. 14 gennaio 2008 n. 627;
Cass. 10 aprile 2008 n. 9342;
Cass. 23 gennaio 2009 n. 1694;
Cass. 21 aprile 2010 n. 9487;
Cass. 15 giugno 2010 n. 14421). Passando all'esame del ricorso principale, con il primo motivo i ricorrenti denunciano il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 34, 295, 339, 342 e 345 c.p.c. per avere pronunciato oltre il devoluto, nonché difetto di motivazione, in quanto avendo l'originario convenuto contestato la mancata sospensione del giudizio di prime cure in attesa della definizione di altra questione assunta dallo stesso Tribunale di Salerno relativa alla verifica della validità (o meno) di due delibere assembleari, tra cui quella del 5.2.1983 (poi ritenuta valida dalla sentenza n. 548/03 della stessa Corte di appello), il giudice distrettuale pur ritenendo insuperabile la validità delle deliberazioni condominiali accertata con sentenza passata in giudicato (tipica ipotesi di pregiudiziale in senso tecnico), ha rivalutato la questione, omettendo, altresì, di pronunciarsi sulla mancata sospensione del giudizio conclusosi con sentenza n. 963 del 20.3.2003. A conclusione del motivo viene posto il seguente quesito di diritto:
"in caso di passaggio in giudicato di sentenza che abbia deciso una questione pregiudiziale in senso tecnico è precluso o meno ad altro giudice di esaminare la medesima questione, coperta dal giudicato in relazione al dedotto e al deducibile?".
Va osservato che nella specie i giudici distrettuali sono stati sostanzialmente investiti della questione se le delibere condominiali invocate dai ricorrenti, quella del 1979 e quella del 1983, aventi come oggetto l'autorizzazione alla realizzazione dei locali de quibus, pur avendo passato indenni il vaglio giudiziale, potessero essere poste nel nulla da una successiva Delib. dell'assemblea condominiale.
Al riguardo correttamente la Corte di Appello ha qualificato la situazione venutasi a creare con le opere eseguite dal NASTRI, nonostante l'autorizzazione votata a maggioranza dall'assemblea del condominio, come una situazione di fatto corrispondente ad una servitù di passaggio delle condutture degli impianti, oltre ad annettere porzione dei muri perimetrali comuni (situazione idonea a fare maturare, col tempo, l'usucapione del diritto in questione). Di qui la pertinenza del richiamo dell'art. 1108 c.c., comma 3 che, applicabile al condominio in virtù dell'art. 1139 c.c., richiede per la costituzione di diritti reali sul fondo comune il consenso di tutti i condomini. Nè vale appellarsi al diverso principio maggioritario (ovvero della intagibilità del giudicato) secondo cui il consenso di parte prevalente dei comproprietari della cosa comune alla costituzione di una servitù, con il decorso del tempo necessario a consolidare la delibera assembleare, vincola e quindi pregiudica gli altri comproprietari. Tale consenso, infatti, non è equiparabile alla volontà unanime che deve essere espressa da un'assemblea condominiale, in quanto la volontà contraria di un solo partecipante sarebbe sufficiente ad impedire ogni decisione. Il giudizio sulla liceità di una delibera dipende dal suo contenuto precettivo e, talora, si giustifica alla stregua degli effetti, in considerazione della sua incidenza sui poteri e sulle facoltà inerenti ai diritti dei condomini. Se così è, deve ritenersi che, nel caso di specie, il contenuto delle delibere in questione consiste(va) nella approvazione di innovazioni vietate (art. 1120 c.c., comma 2) e comportava l'impedimento al diritto dei condomini di
beneficiare del bene con le medesime modalità, sicché non rientra(va) nella competenza dell'assemblea il potere di deliberare a maggioranza la modifica della cosa comune, incidendo sulla costituzione di un diritto di servitù in favore del bene di proprietà esclusiva di un solo condomino, che costituiva l'oggetto della delibera medesima. Alla luce dei principi ora chiariti risulta infondata la doglianza dei ricorrenti.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione di legge in relazione agli artt. 884 e 1102 c.c., oltre al vizio di motivazione, per avere la corte di merito errato nel ritenere ricorrere nella specie ipotesi di costituzione di servitù su muro condominiale, mentre le opere fatte realizzare dal NASTRI incidono sulla sua proprietà esclusiva facente parte del complesso condominiale. Il motivo culmina nel seguente quesito di diritto: "nel caso di costruzione in appoggio su muro condominiale il diritto di servitù si costituisce solo nel caso in cui il fondo dominante non rientri nel corpo condominale e nell'area di sua afferenza?". Il terzo motivo - con il quale viene dedotta la violazione di legge in relazione agli artt. 1102 e 1136 c.c. per avere il giudice distrettuale erroneamente affermato la esistenza di una servitù nell'appoggio di un'opera realizzata al fine del migliore godimento della proprietà esclusiva - pone il seguente quesito: "se costituisce o meno ipotesi riconducibile all'art. 1102 c.c. quella in cui il singolo condomino intervenga su una parte comune dell'edificio condominiale a vantaggio di propria esclusiva unità immobiliare, senza alterare le funzioni delle medesime parti comuni?". I due motivi sono tra loro connessi e possono essere esaminati congiuntamente. Vanno disattesi.
La corte distrettuale ha fatto corretta applicazione delle disposizioni dettate dagli artt. 1102 e 1120 c.c., confermando il costante orientamento di questa Corte secondo cui i muri perimetrali di un edificio in condominio sono destinati al servizio esclusivo dell'edificio stesso, di cui costituiscono parte organica per tale funzione e destinazione, sicché possono essere utilizzati dal singolo condomino solo per il migliore godimento della parte del fabbricato di sua proprietà esclusiva, ma non possono essere usati, senza il consenso di tutti i comproprietari, per l'utilità di altro immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini e costituente un'unità distinta rispetto all'edificio comune, in quanto ciò comporterebbe la costituzione di una servitù, a carico di detto edificio, per la quale occorre il consenso di tutti i comproprietari. Pertanto il condomino (nella specie il Natri) che voglia appoggiare una costruzione - realizzata su suolo contiguo di sua esclusiva proprietà e non del condominio - al muro comune di un edificio, di cui egli sia comproprietario, non può farlo senza il consenso degli altri condomini, non essendo applicabile a tale fattispecie il disposto dell'art. 884 c.c. che attribuisce al comproprietario il diritto di appoggiare le sue costruzioni al muro comune (tra le tante, Cass. 23 dicembre 1994 n. 11138;
Cass. 26 marzo 1994 n. 2953;
Cass. 10 ottobre 1979 n. 5261;
Cass. 7 novembre 1978 n. 5095). In effetti, costituisce uso indebito della cosa comune l'appoggio praticato da un condomino sul muro perimetrale dell'edificio condominiale per realizzare locali di proprietà esclusiva, mettendoli in collegamento con altro suo immobile, in quanto siffatta opera viene ad alterare la destinazione del muro perimetrale, incidendo sulla relativa funzione di recingere l'edificio, e, inoltre, viene ad imporre il peso di una vera e propria servitù a favore di un bene di proprietà esclusiva rispetto ai beni comuni del Condominio, per la cui legittima costituzione, vertendosi in tema di diritti reali immobiliari, è richiesta in forma scritta, a pena di nullità, la manifestazione del consenso di tutti i condomini. Infatti la dedotta esclusiva proprietà in capo al Nastri del fondo sul quale sorgono i due manufatti rende questi manufatti estranei al fabbricato condominiale, sicché la infissione nella parete condominiale e l'inglobamento di parte del muro perimetrale nell'ambito dei manufatti determina l'asservimento dell'edificio condominiale a un fondo altrui, per essere stato escluso dal godimento degli altri condomini.
La sentenza impugnata si sottrae, quindi, alle censure mosse dai ricorrenti con i motivi in esame. Il ricorso va pertanto rigettato ma non va adottata alcuna statuizione sulle spese per la inammissibilità del controricorso e del ricorso incidentale in difetto di prova dell'avvenuta notificazione, non avendo peraltro i ricorrenti incidentali preso parte alla discussione in pubblica udienza.

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