Cass. civ., sez. I, sentenza 28/12/2006, n. 27592

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In tema di capacità di fare il riconoscimento del figlio, disciplinata - in base alle norme del diritto internazionale privato (art. 35, secondo comma, della legge 31 maggio 1995, n. 218) - dalla legge nazionale del genitore, il principio di ordine pubblico internazionale che riconosce il diritto alla acquisizione dello "status" di figlio naturale a chiunque sia stato concepito, indipendentemente dalla natura della relazione tra i genitori, costituisce un limite generale all'applicazione della legge straniera (nella specie, egiziana, recepente in materia di "statuto personale" il diritto islamico) che, attribuendo all'uomo la paternità unicamente nell'ipotesi in cui il figlio sia stato generato in un "rapporto lecito", preclude al padre di riconoscere il figlio nato da una relazione extramatrimoniale. In tal caso, stante la rilevata contrarietà all'ordine pubblico internazionale della norma straniera applicabile in base al sistema di diritto internazionale privato, trova applicazione la corrispondente norma di diritto interno (art. 250 cod. civ.), la quale, in relazione alla capacità del padre di addivenire al riconoscimento del figlio naturale, si sostituisce integralmente alla norma straniera, ai sensi dell'art. 16, secondo comma, della citata legge n. 218 del 1995.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 28/12/2006, n. 27592
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 27592
Data del deposito : 28 dicembre 2006
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Presidente -
Dott. MORELLI Mario Rosario - Consigliere -
Dott. BONOMO Massimo - Consigliere -
Dott. GIULIANI Paolo - rel. Consigliere -
Dott. PANZANI Luciano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MO DA LE, elettivamente domiciliata in Roma, Via Città della Pieve n. 19, presso lo studio degli Avv.ti BOTTIGLIERI Romilda e MARTINO Claudio che la rappresentano e difendono, anche disgiuntamente, in forza di procura speciale a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
AM AH MO ALÌ;

- intimato -

avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, sezione per i minorenni, n. 3387/2004 pronunciata il 4.5.2004 e pubblicata il 19.7.2004;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 25.9.2006 dal Consigliere Dott. GIULIANI Paolo;

Udito il difensore della ricorrente;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. UCCELLA Fulvio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso in data 17.10.2001, MA HA ME Alì, premesso di avere intrattenuto nel 1997 una relazione con RA IL NT dalla quale, il 10.5.1998, era nata la figlia IC, riconosciuta dalla sola madre, chiedeva al Tribunale per i Minorenni di Roma di dichiarare l'ammissibilità dell'azione per l'accertamento giudiziale della paternità che intendeva proporre nei confronti della minore, avendogli la RA IL impedito il riconoscimento.
Radicatosi il contraddittorio, quest'ultima, dopo avere eccepito che la domanda proposta dall'MA HA era da qualificare in termini di istanza ai sensi dell'art. 250 c.c., comma 2, deduceva la necessità di acquisire la legislazione peruviana ed egiziana in materia di riconoscimento di figlio naturale, essendo la minore e la madre cittadine peruviane ed il ricorrente cittadino egiziano. Acquisita la suddetta documentazione, il Tribunale adito, con ordinanza in data 23.9.2003, dopo avere affermato che la legislazione egiziana attribuiva al ricorrente la capacità di effettuare il riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio, rimetteva la causa in istruttoria per l'ulteriore corso.
Avverso tale ordinanza, con due distinti atti qualificati come reclami, proponeva impugnazione la RA IL, chiedendo che la Corte di Appello capitolina, in riforma del provvedimento gravato, assunto sulla base di una erronea interpretazione della legislazione egiziana in materia, accertasse l'incapacità del ricorrente di riconoscere la minore, dichiarando, per l'effetto, inammissibile il ricorso proposto dall'MA HA.
Resisteva nel grado quest'ultimo, preliminarmente eccependo l'inammissibilità dei reclami per essere stati proposti avverso un provvedimento non definitivo e carente di contenuto decisorio, nonché oltre il termine di dieci giorni previsto dall'art. 739 c.p.c.. Riuniti i due procedimenti, la Corte territoriale di Roma, nella sua specializzata composizione per i minorenni, con sentenza in data 4.5/19.7.2004, confermava il provvedimento reso dal primo Giudice, assumendo:
a) che l'azione esperita dall'MA HA dovesse essere qualificata come azione ex art. 250 c.c., comma 4, diretta ad ottenere una pronuncia sostitutiva del consenso dell'altro genitore al fine di procedere al riconoscimento della figlia naturale;

b) che il provvedimento impugnato, seppure denominato "ordinanza" dal Tribunale minorile, contenesse una statuizione in merito alla contestata capacità del ricorrente di riconoscere la figlia medesima, onde tale Giudice aveva, in realtà, emesso una sentenza non definitiva su una questione preliminare del giudizio;

c) che fossero, quindi, infondate le eccezioni, sollevate dall'MA HA, relative alla pretesa inammissibilità delle impugnazioni esperite dalla RA IL;

d) che, nel merito, non potesse trovare conferma la motivazione che aveva indotto il Tribunale per i Minorenni a riconoscere la capacità dello stesso MA HA di effettuare il riconoscimento della figlia naturale IC, dichiaratamente nata da una relazione adulterina intrattenuta dall'appellato, coniugato con altra donna, con la RA IL, dal momento che il diritto egiziano, applicabile al fine di valutare la capacità del ricorrente, cittadino di quello Stato, ai sensi dell'art. 35, comma 2, della L. n. 218 del 1995, attribuisce all'uomo la paternità unicamente nell'ipotesi in cui il figlio sia stato generato in un rapporto lecito, non conoscendo la differenza tra figlio legittimo e figlio naturale ed attribuendo lo stato di figlio soltanto al primo, non già al secondo;

e) che, tuttavia, si dovesse egualmente giungere all'affermazione di capacità del ricorrente, nel senso che una norma straniera la quale, pur applicabile al caso concreto, neghi giuridicità ad una qualunque specie di filiazione e non attribuisca al padre naturale alcuna azione per far valere il suo diritto di paternità appunto, contrasta con l'ordine pubblico internazionale e, segnatamente, con i principi fondamentali che riguardano la persona nell'ordinamento italiano, onde la necessità di far capo alla corrispondente norma del diritto interno (art. 250 c.c.) che, in relazione all'aspetto normativo in esame (capacità di riconoscimento da parte del ricorrente), si sostituisce integralmente alla legge straniera ai sensi della già richiamata L. n. 218 del 1995, art. 16, comma 2. Avverso tale sentenza, ricorre per Cassazione la RA IL, deducendo due motivi di gravame ai quali non resiste l'MA HA.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i due motivi sopraindicati, del cui esame congiunto si palesa la necessità in ragione della stessa illustrazione unitaria che ne ha fatto la ricorrente, lamenta quest'ultima violazione e falsa applicazione, sotto più profili, della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 35, nonché motivazione contraddittoria e comunque assolutamente
insufficiente su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, assumendo:
a) che la disposizione di cui alla richiamata L. n. 218 del 1995, art. 35, comma 2, là dove prevede che "La capacità del genitore di
fare il riconoscimento è regolata dalla sua legge nazionale", opera un rinvio generale alla normativa del paese di appartenenza del soggetto che intende fare il riconoscimento, rinvio che, pertanto, non incontra il limite dell'ordine pubblico interno, dacché, altrimenti, il legislatore avrebbe operato una scelta assai differente, individuando nel diritto italiano, anche per lo straniero, la norma regolatrice della capacità di fare il riconoscimento;

b) che evidente, dunque, è la violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 35, comma 2, a torto ritenuto nella specie inapplicabile in quanto (erroneamente) ritenuto soggetto al limite dell'ordine pubblico;

c) che parimenti evidente, sotto questo profilo, è il distinto vizio di motivazione insufficiente, in quanto l'applicabilità alla fattispecie del diritto egiziano, doverosa in forza del rinvio operato dal già menzionato art. 35, è stata viceversa esclusa sol perché in contrasto con l'ordine pubblico nazionale, laddove giammai avrebbe potuto costituire un limite all'applicazione dell'unica normativa che, nella specie, il Giudice italiano era ed è tenuto ad applicare;

d) che la violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 35 menzionato, appare sotto distinto profilo tenuto conto che,
contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, non può dirsi esistente, nel nostro ordinamento, un principio di ordine pubblico secondo cui è consentito, sempre e comunque, a chi assuma di essere padre di taluno di agire in giudizio per conseguire il relativo riconoscimento;

e) che, in base al diritto vivente, infatti, la legittimazione all'azione di riconoscimento della paternità non è assoluta, ma è comunque sempre subordinata ad una verifica che, sempre ed in ogni caso, ha ad oggetto l'interesse del minore e che, in alcune ipotesi (art. 251 c.c.), è esclusa del tutto;

f) che, se il legislatore italiano ha fissato limiti non soltanto riconducibili alla valutazione dell'interesse del minore, ma anche alla particolare situazione in cui il figlio è nato (il caso dei figli incestuosi), non può affermarsi l'esistenza, nel nostro ordinamento, di un principio di ordine pubblico in forza del quale sia poi consentito eludere, per asserita contrarietà a detto principio, l'applicazione di una norma di altro ordinamento che, a propria volta, sulla base di canoni e criteri propri di tale ordinamento, abbia compiuto una autonoma valutazione ed escluso, per altra categoria di persone, la possibilità di agire per il riconoscimento;

g) che, peraltro, il riferimento del nostro ordinamento ai figli incestuosi sembra, in certo modo, assimilabile alla "relazione illecita" che, nel diritto egiziano, esclude la possibilità di fare il riconoscimento;

h) che la decisione impugnata ha, dunque, a torto, ritenuto sussistente un principio di ordine pubblico nel nostro ordinamento (secondo cui solo una normativa

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