Cass. pen., sez. VI, sentenza 27/12/2022, n. 49264
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: M S, nato a Capodrise il 12/05/1964 avverso l'ordinanza del 13/06/2022 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere A C;lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale M d N, che ha richiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Il ricorrente impugna l'ordinanza della Corte di appello di Roma che ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza n. 9284/19 emessa dalla Corte di appello di Napoli del 19 dicembre 2019, irrevocabile il 26 novembre 2021 (all'esito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione con sentenza n. 1007 del 2022), che aveva condannato S M A alla pena di anni tre e mesi due di reclusione ed euro 6.000 di multa in ordine ai delitti ex artt. 81, secondo comma, 644, quarto comma, n. 5, cod. pen. afferenti ad ipotesi di usura continuata aggravata in danno di G C, sino al marzo del 2014. La Corte di appello ha dichiarato l'inammissibilità dell'istanza, ritenuta manifestamente infondata, reputando non ricorresse l'ipotesi di cui all'art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. in quanto i fatti per i quali era stata richiesta la revisione non sono stati ritenuti incompatibili con quelli oggetto di accertamento nel giudizio, svoltosi dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 22 settembre 2021, irrevocabile il 5 febbraio 2022, che aveva condotto all'assoluzione di D'Onofrio Vincenzo e C M per fatti di usura nei confronti di G C. 2. S M, per mezzo del difensore munito di procura speciale, con un unico articolato motivo, deduce vizi cumulativi di motivazione e violazione di legge dell'art. 630, lett. a), cod. proc. pen. In particolare, dopo aver effettuato una sintesi delle ragioni che hanno portato la Corte di appello a ritenere manifestamente infondata la richiesta di revisione e ripercorso le ragioni della stessa, la difesa ha osservato che l'art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. non richiede l'identità del fatto, come affermato nell'ordinanza impugnata, ma solo l'oggettiva incompatibilità tra fatti storici diversi, aspetto trascurato nell'ordinanza. Secondo la difesa, l'ordinanza impugnata prende le mosse "da un travisamento dell'inconciliabilità tra fatti" nella parte in cui ha ritenuto che in nessun passaggio della sentenza assolutoria nei confronti di D'Onofrio Vincenzo e C M si faccia menzione della posizione di S M o dei rapporti tra C ed il Massari. La Corte di merito non fornisce adeguata motivazione in ordine alle ragioni per cui ha ritenuto conciliabili le due decisioni visto che ritiene essenziale quale requisito, in realtà non richiesto dalla norma, la nnedesimezza del fatto, imponendo invece la norma solo che i fatti posti a fondamento della decisione di condanna non siano conciliabili con quelli di altra decisione passata in giudicato. Non è stata valutata la circostanza che nella richiesta di revisione era stato rappresentato come i fatti giudicati nelle due decisioni non potessero essere tra loro scissi, a prescindere dalla differenza degli imputati e della presenza del ricorrente nel contesto probatorio. Erroneo si rileva l'apprezzamento del rinvenimento a casa del M, a seguito della perquisizione, di un brogliaccio ove erano appuntate delle somme ricondotte all'attività usuraria, mentre C e D'Onofrio avevano elargito 80.000 euro al C proprio in relazione all'acquisto della mansarda sita in Caturano, circostanza che di rivela incompatibile con la decisione di condanna del M e smentisce quanto dichiarato dalla Corte di appello nella parte in cui afferma che in nessuna parte della decisione assolutoria di C e D'Onofrio si fa menzione del M o dei rapporti tra costui ed il C. Non è corrispondente al vero la parte dell'ordinanza impugnata che, facendo riferimento alla decisione di questa Corte con cui è stata dichiarato inammissibile il ricorso in Cassazione, ha rilevato che il ricorrente non si sia confrontato con il dato che ha visto rinvenire l'appunto manoscritto a seguito della perquisizione, posto che sul punto il ricorrente ha nel processo rappresentato la sua versione smentendo la lettura data dalla sentenza di condanna. La decisione, in conclusione, omette di fornire risposta sull'inconciliabilità fattuale emergente dalle sentenze e, in particolare, la sentenza di assoluzione conferma l'autenticità delle dichiarazioni del M che corroborava il dato a mente del quale C e D'Onofrio avessero elargito 80.000 al C in relazione all'acquisto della mansarda sita in Caturano, dato inconciliabile con la sentenza di condanna.
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