Cass. civ., sez. V trib., sentenza 01/08/2019, n. 20729
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Testo completo
o la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 7259 del ruolo generale dell'anno 2011 proposto da: Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;- ricorrente -contro Linclalor s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti G C, G S e M M, presso lo studio del quale ultimo in Roma, via Vittoria Colonna n. 32, è elettivamente domiciliata;- contro ricorrente e ricorrente incidentale - per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 8/10/10, depositata in data 1 marzo 2010;udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 febbraio 2018 dal Consigliere G T;udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale dott. U D A, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale;udito per la società l'Avv. C D M;Fatti di causa L'Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, in epigrafe che, in parziale accoglimento dell'appello da essa proposto, ha riformato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Alessandria che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto dalla Linda& s.p.a. avverso l'avviso di accertamento con il quale era stata rettificata la dichiarazione dei redditi della società contribuente, relativa all'anno di imposta 2002, recuperando a tassazione una maggiore IRPEG, IRAP e IVA. Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: il recupero a tassazione riguardava la non corretta detrazione e deduzione di costi e spese relative all'anno di imposta 2002, in particolare: 1) costi sostenuti per la manutenzione e la riparazione di fabbricati ed impianti a seguito di danni derivanti dall'alluvione del 2000;2) ammortamento dei costi sostenuti per l'adeguamento alla normativa antinfortunistica su immobili e impianti generici;3) interessi passivi dedotti su contributi ricevuti dalla Regione Piemonte come rimborso delle spese sostenute a seguito degli eventi alluvionali del 2000;4) costi sostenuti per attività di consulenza tecnica e gestione della sicurezza svolta su macchinari e impianti concessi in uso gratuito ad una società controllata, per redazione bilancio e acquisto materiale vario dalla stessa utilizzato;5) costi sostenuti per l'allestimento di una stand fieristico a Lione;6) costi per spese rimborsate ad amministratori e dipendenti della società per la partecipazione alla fiera a Lione sostenuti nel 2001 e rinviati contabilmente all'esercizio finanziario 2002;la Commissione tributaria provinciale di Alessandria aveva accolto il ricorso su tutti i punti sopra indicati, ad eccezione di quello di cui al punto 4) relativo alla deduzione dei costi per attività di consulenza e gestione della sicurezza svolta su macchinari ed impianti concessi in uso gratuito ad una società controllata;avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l'Agenzia delle entrate, nel contraddittorio con la società contribuente. La Commissione tributaria regionale del Piemonte ha parzialmente accolto l'appello, riformando la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto che era illegittima la ripresa a tassazione relativamente al punto n. 2) sopra indicato, relativo all'ammortamento dei costi sostenuti su immobili e impianti generici per adeguamento alla normativa antinfortunistica. In particolare, in punto di diritto, la Commissione tributaria regionale ha ulteriormente ribadito le ragioni della illegittimità dell'avviso di accertamento relativamente ai punti 1), 3), 5) e 6), ritenendo legittimo, oltre il recupero a tassazione di cui al punto 4), anche quello di cui al punto n. 2), precisando, con riferimento a tale profilo, di non potere condividere l'assunto dei primi giudici secondo cui i costi sostenuti per l'adeguamento dei macchinari e degli impianti alla normativa antinfortunistica di cui al decreto legislativo n. 626/1994, non incrementano l'utilizzabilità e l'efficienza dei relati beni, per cui non sarebbero da "patrimonializzare" sul valore degli stessi, in quanto detta capitalizzazione, incrementativa del valore dei singoli beni, andrebbe prioritariamente eseguita, e detti costi dovrebbero essere ammortizzati, nelle misure previste per i beni di riferimento e non separatamente, come invece operato dalla società contribuente, nella misura del 20 per cento quali spese relative a più esercizi. Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l'Agenzia delle entrate affidato a tre motivi di censura. La Linclanor s.p.a. si è costituita con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidato a un unico motivo di censura, condizionato all'accoglimento del primo motivo di ricorso principale. La società ha altresì depositato memoria. Ragioni della decisione Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 54, 67 e 75 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e degli artt. 4 e 4- bis del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per avere erroneamente ritenuto che, con riferimento alla totale deduzione dei costi operata dalla contribuente per la manutenzione e la riparazione dei fabbricati e degli impianti conseguenti ai danni alluvionali subiti dalla società contribuente nell'anno 2000, il regime di deducibilità non è quello dell'art. 67, comma 7, del d.P.R. n. 917/86, trattandosi di spese straordinarie;si,.censura inoltre la sentenza in quanto doveva tenersi conto del fatto che né il contributo regionale né gli indennizzi ricevuti dalla società contribuente possono essere considerati come elementi che concorrono a formare il reddito imponibile, ciò in quanto, l'art. 67, comma 7, cit., si applica sia alle spese ordinarie che straordinarie e, inoltre, nessun rilievo può avere la circostanza che la contribuente abbia ricevuto, per coprire i suddetti danni, il contributo regionale e gli indennizzi assicurativi, in quanto non concorrono a formare il reddito imponibile. Il motivo è fondato. La questione di fondo, definibile mediante l'esame dell'avviso di rettifica notificato alla società contribuente ed oggetto di impugnazione nonché dagli atti difensivi delle parti, attiene alla legittimità o meno della integrale deduzione dei costi dalla stessa sostenuti quali spese di manutenzione e riparazione dei fabbricati e impianti in conseguenza degli eventi alluvionali dell'anno 2000. In particolare, l'ufficio finanziario aveva ritenuto che i costi sostenuti, finalizzati al ripristino della normale efficienza degli impianti e dei fabbricati, e non anche conseguenti a perdite dei beni, dovevano essere considerati relativi ad attività di manutenzione ordinaria e rientranti, in quanto tali., nei limiti di deducibilità di cui all'art. 67, comma 7, TUIR, a nulla rilevando che i suddetti costi erano stati interamente rimborsati mediante contributo regionale e indennizzo assicurativo. La sentenza censurata ha ritenuto, sul punto, che le spese erano relative ad attività di manutenzione straordinaria, quindi non riconducibili alla disciplina di cui all'art. 67, comma 7, del TUIR, e che le stesse, derivanti da proventi contabilmente rilevati, erano da porsi in correlazione con i risarcimenti ricevuti, circostanza che doveva, altresì, condurre a ritenere non applicabile l'art. 75 TUIR. Va osservato, in primo luogo, che è incontestato che le spese in esame sono state sostenute per la manutenzione dei beni strumentali ai fini del recupero della loro funzionalità, ma non hanno riguardato beni distrutti o perduti a seguito degli eventi alluvionali, sicchè non correttamente la pronuncia censurata argomenta sulla base della ritenuta natura straordinaria dei medesimi, trattandosi invece di costi rientranti nell'ambito della previsione di cui all'art. 67, comma 7, TUIR. In secondo luogo, occorre valutare se sia corretta la ritenuta non applicazione della previsione di cui all'art. 75 TUIR, esclusa dal giudice di secondo grado in base alla considerazione, conforme alla linea difensiva della contribuente nonché alla pronuncia di primo grado, che deve farsi riferimento solo ai costi di manutenzione rimasti definitivamente a carico della società nell'esercizio in esame, quindi senza tenere conto degli indennizzi assicurativi e dei contributi ricevuti dalla Regione Piemonte. La suddetta linea argomentativa non è corretta. L'art. 75, comma 5, TUIR (nel testo vigente ratione temporis) prevede che «Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito». La previsione normativa citata, quindi, richiede che, per la deducibilità delle spese sia necessario che le stesse riguardino beni da cui derivano i proventi che concorrono a formare il reddito. La stessa, quindi, pone una stretta correlazione tra le spese sostenute e gli importi utilizzati, nel senso che solo gli importi consistenti in proventi concorrenti a formare il reddito possono essere oggetto di deduzione. I proventi in esame, consistenti negli indennizzi assicurativi o nei contributi ricevuti, non concorrono a formare il reddito, sicchè, in linea generale, gli stessi non possono essere oggetto di deduzione. In particolare, l'art. 4 bis del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, (convertito dalla legge 11 dicembre 2000, n. 365), prevede, al comma, 1, che «Ai soggetti privati e alle imprese gravemente danneggiati dalle calamità idrogeologiche dei mesi di ottobre e novembre 2000 nei territori per i quali è intervenuta la dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225, si applicano i benefici e le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4, 5, 5-bis, 6, 7, 8, 9-bis e 10-bis dell'articolo 4». Inoltre, l'art. 4, comma 5 -bis, della medesima legge prevede che «I contributi di cui al comma 4 ed al primo periodo del presente comma non concorrono alla formazione del reddito di impresa ai fini dell'assoggettabilità alle imposte previste». Le suddette previsioni normative, dunque, sono chiaramente dirette ad escludere che i contributi riconosciuti alle imprese, secondo la disciplina in esame, concorrano a formare il reddito di impresa, con conseguente refluenza sulla questione in esame, non essendo corretto ritenere che gli stessi non siano attratti dall'ambito dispositivo di cui all'art. 67 TUIR in quanto i costi non sono stati sopportati dalla società contribuente, essendo, come detto, prevalente la considerazione della non concorrenza alla formazione del reddito, presupposto fondamentale ai fini della deducibilità degli stessi. Non assume rilevanza, preme precisare, la considerazione espressa dalla contribuente secondo cui le deduzioni dell'ufficio finanziario condurrebbero ad una reformatio in peius dell'avviso di accertamento ed alla conseguente dichiarazione di totale indeducibilità di tutte le spese sostenute, posto che, se tale considerazione potrebbe valere in astratto, in concreto i giudizi di merito, nonché il presente giudizio di legittimità, devono tenere conto di quanto sostenuto in sede di pretesa impositiva, sicché non assume rilevanza la circostanza che l'ufficio finanziario ha, comunque, ritenuto di dovere contestare il superamento del limite del plafond di cui all'art. 67 TUIR. Per quanto concerne, poi, gli indennizzi assicurativi ricevuti dalla contribuente, correttamente la ricorrente fa richiamo alla previsione di cui all'art. 53, comma 1, lett. d), TUIR, secondo cui sono considerati ricavi solo le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento di beni non strumentali, mentre per i beni strumentali, l'art. 54 TUIR prevede che sono da considerarsi ricavi solo le plusvalenze, cioè la differenza fra l'indennizzo percepito e le spese necessarie per riportare il bene al valore di costo non ammortizzato al momento del sinistro.Con riferimento al caso di specie, è fatto non contestato che gli indennizzi assicurativi hanno riguardato unicamente i beni strumentali, non i beni non strumentali relativi all'attività esercitata, sicchè, eventualmente, solo la plusvalenza avrebbe potuto costituire ricavo. Va osservato, a tal proposito, che non può accogliersi l'eccezione di parte controricorrente della novità della questione prospettata dalla ricorrente con riferimento a quanto previsto dagli artt. 53 e 54 TUIR sopra citati. In realtà, con la pretesa impositiva si è contestata l'integrale deduzione dei costi sostenuti dalla contribuente quali spese di manutenzione e riparazione dei fabbricati e impianti in conseguenza degli eventi alluvionali dell'anno 2000, in relazione sia alla non corretta totale deduzione dei costi sia ai contributi che agli indennizzi assicurativi ricevuti. Pur non avendo l'ufficio finanziario fatto specifico riferimento alle previsioni contenute negli artt. 53 e 54 TUIR, è certo che con l'atto impositivo si era sostenuto che non era corretto che anche gli indennizzi assicurativi fossero stati totalmente dedotti e, in questo quadro, era implicitam' ente dedotto che gli stessi, non costituendo ricavi, non potevano entrare in considerazione ai fini della deduzione dei costi. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell'art. 63, d.P.R. n. 917/1986, e degli artt. 4 e 4 -bis del decreto-legge n. 279/2000, per avere ritenuto che, essendo il contributo regionale a fondo perduto e, per espressa dizione normativa, "non rilevante" alla formazione del reddito di impresa, gli interessi passivi non sono da considerarsi assimilabili alla categoria dei redditi esenti, e quindi sarebbero interamente deducibili. Il motivo è fondato.L'art. 63, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo vigente ratione temporis, detta la disciplina della deducibilità degli interessi passivi e, in particolare, prevede che «Gli interessi passivi sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi». Il successivo comma 2 stabilisce espressamente quali proventi non devono essere considerati ai fini del calcolo del rapporto indicato nel comma 1, e, in questo contesto, non è fatto alcun riferimento agli interessi passivi relativi a contributi ricevuti. La lettura della previsione in esame, nonché della disciplina di riferimento relativa ai contributi in esame di cui all'art. 4 bis del decreto-legge n. 279/2000, conduce a ritenere che, sebbene gli stessi, come già rilevato, non siano proventi che concorrono a formare il reddito imponibile, tuttavia concorrono, comunque, a formare, in senso economico, il reddito del percipiente, con conseguente sottoponibilità alla disciplina di cui all'art. 63, comma 1, TUIR. La sentenza censurata, è quindi incorsa nel vizio di violazione di legge laddove ha ritenuto la non applicabilità, al caso di specie, della suddetta previsione normativa. Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per avere ritenuto, circa la ripresa a tassazione delle spese nell'anno 2002 ma compiute nell'anno 2001, che era onere dell'ufficio finanziario dare prova della fondatezza della ragione della ripresa, non tenendo invece conto del fatto che era onere della contribuente dare prova della legittimità della deduzione di un costo nell'anno in cui lo stesso è dedotto. Il motivo è fondato. Va, in primo luogo, osservato che nel controricorso viene contestata l'ammissibilità del presente motivo in quanto la censura alla pronuncia della Commissione tributaria regionale doveva t' 5 s cz prospettata in correlazione con la decisione di primo grado, cui il giudice del gravame aveva fatto espresso richiamo, mentre nessuna ragione di contestazione era stata_ prospettatg, con il presente motivo. L'eccezione è infondata, in quanto la pronuncia in esame ha deciso sulla questione con una autonoma valutazione rispetto a quella del giudice di primo grado, di cui, peraltro, parte controricorrente non riproduce il testo ed è sulle ragioni della decisione del giudice del gravame che, correttamente, la ricorrente ha prospettato le ragioni di censura. Va quindi osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, dalla complessiva prescrizione del d.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, deriva che anche per le spese e gli altri componenti negativi, dei quali "non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare", il legislatore considera come "esercizio di competenza" quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico che costituisce la fonte di ciascuna di tali voci, limitandosi soltanto a prevedere una deroga al principio della competenza, col consentire deducibilità di dette particolari spese e componenti nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza della loro esistenza ovvero la determinabilità, in modo obiettivo, del relativo ammontare. L'obbiettiva determinabilità sancita dalla legge non è collegata o collegabile alla manifestazione della volontà delle parti sul costo, essendo, altrimenti, ad esse demandata la scelta di stabilire a quale esercizio di competenza imputare la relativa componente del reddito d'impresa, (Cass. n. 18237 del 24/10/2012;Cass. n. 3484 del 14/02/2014;Cass. n. 1107 del 18/01/2017). Quanto alla ripartizione dell'onere della prova, inoltre, se sull'Amministrazione incombe di provare la data in cui si sono realizzati i fatti di verificazione dei componenti negativi o positivi di reddito, così determinando l'esercizio di competenza, al contribuente che abbia operato la registrazione in un esercizio diverso, spetta provare che solo in tale anno questi sono diventati certi e determinabili nell'ammontare (in tal senso, Cass. n. 25282 del 2015). La sentenza censurata ha ritenuto che, rispetto alla linea difensiva dell'ufficio finanziario della deducibilità dei costi per l'anno di competenza, lo stesso non aveva dato prova della riferibilità delle spese all'anno 2001, ritenendo che gli stessi potevano essere ricondotti, invece, all'anno 2002, in tal modo, tuttavia, invertendo l'onere della prova sulla imputabilità dei costi, secondo quanto sopra riportato. Invero, è certo che i costi erano stati sostenuti nel 2001 e la riferibilità degli stessi all'anno 2002 è stata genericamente fondata sulla circostanza che gli stessi andavano correlati alla collezione vestiaria realizzata in tale anno;ed è altresì certo (vd. sentenza, pag. 3, in relaz. al punto 6), che l'ufficio finanziario aveva contestato che gli scontrini e le ricevute fiscali avevano un contenuto generico, senza alcun riferimento specifico che consentisse di collegare le spese dei dipendenti e/o amministratori alla partecipazione alla fiera. Rispetto a questa contestazione, la pronuncia impugnata ha risolto la questione solo sulla base dell'omesso assolvimento dell'onere probatorio, quando, invece, era onere della contribuente dare prova, rispetto al generale principio della competenza, della riferibilità delle spese ad un anno finanziario diverso rispetto a quello in cui le stesse erano state sostenute. Non correttamente, preme precisare, parte contribuente sostiene che vi sarebbe stato, nella pronuncia del giudice del gravame, un accertamento in fatto sulla riferibilità delle spese all'anno 2002, posto che la pronuncia impugnata non ha espresso alcuna valutazione in merito, ma ha solo ragionato in ordine alla mancanza di prova da parte dell'ufficio finanziario.Così statuendo, dunque, la pronuncia si è posta in contrasto con gli affermati principi di imputazione per competenza dei costi e in totale inosservanza dei criteri di ripartizione dell'onere della prova, addossando all'Ufficio l'onere di provare gli elementi certi e precisi per la diversa imputazione. Con l'unico motivo di ricorso incidentale la società contribuente censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione degli artt. 23, 24 e 57 del decreto legislativo n. 546/1992 e dell'art. 345, cod. proc. civ., per avere ritenuto che il riferimento all'art. 75, comma 5, TUIR, effettuato dall'Agenzia delle entrate in sede di giudizio di appello con riferimento alla deducibilità dei costi per contributi e indennizzi assicurativi, costituiva semplice allegazione difensiva, e non un Mutamento della prospettazione contenuta in sede di avviso di accertamento, da ritenersi quindi ammissibile. Il motivo è infondato. Correttamente la pronuncia del giudice di appello ha ritenuto che il riferimento all'art. 75, comma 5, TUIR, rientrasse nelle ragioni di contestazione contenute nell'atto impugnato, in quanto elemento normativo rafforzativo dei motivi della pretesa. Va osservato, infatti, che la pretesa impositiva ha avuto riguardo alla contestazione della integrale deduzione dei costi sostenuti dalla contribuente quali spese di manutenzione e riparazione dei fabbricati e impianti in conseguenza degli eventi alluvionali dell'anno 2000, in particolare alla non corretta totale deduzione dei costi sia in relazione ai contributi che li indennizzi assicurativi ricevuti. Pur non avendo l'ufficio finanziario fatto specifico riferimento alla previsione contenuta nell'art. 75 TUIR, è certo che sin dall'atto impositivo si era sostenuto che non era corretto che i contributi e gli indennizzi assicurativi fossero stati totalmente dedotti e, in questo quadro, era implicitamente dedotto che gli stessi, non costituendo ricavi, non potevano entrare in considerazione ai fini della deduzione dei costi. Per quanto sopra esposto, sono fondati i motivi di ricorso principale, è infondato il motivo di ricorso incidentale, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
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