Cass. civ., SS.UU., sentenza 16/12/2005, n. 27689
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In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, alle Sezioni Unite della S.C. non è consentito sindacare sul piano del merito le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte medesima limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sulla assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale. (Sulla base del principio di cui in massima, le S.U. hanno confermato, in quanto immune dai predetti vizi, la sentenza della Sezione disciplinare del CSM, la quale aveva irrogato la sanzione disciplinare dell'ammonimento ad un magistrato che, in un procedimento di opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., aveva soppresso mediante lacerazione, tre giorni dopo il deposito, un primo provvedimento di sospensione dell'esecuzione, sostituendolo con altro di rigetto dell'istanza, malgrado fosse stato avvisato dal personale di cancelleria che del primo provvedimento, depositato e iscritto nel registro cronologico, erano state rilasciate copie "libere" al difensore).
L'ordinanza (nella specie, resa in un procedimento di opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ.) configura un atto pubblico, tanto che sia pronunziata in udienza, quanto se emessa fuori udienza, munita della data e della sottoscrizione del giudice, sempre che il deposito del provvedimento sia documentato ai sensi dell'art. 57 cod. proc. civ., atteso che questa disposizione attribuisce ai cancellieri funzioni giurisdizionali di documentazione in relazione alle attività proprie degli organi giudiziari e delle parti. Ne consegue che le comunicazioni che devono seguire le ordinanze pronunziate fuori udienza (art. 134 cod. proc. civ.) sono meri strumenti conoscitivi che non incidono sull'esistenza e validità di tali provvedimenti. (Fattispecie relativa alla soppressione da parte del giudice di un'ordinanza - sostituita con altro provvedimento di opposto tenore - resa fuori udienza e non ancora formalmente comunicata alle parti, ma già depositata, iscritta al registro cronologico e riportata nel frontespizio del fascicolo d'ufficio).
L'azione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, pur non essendo obbligatoria per gli organi che ne sono titolari, una volta esercitata è irretrattabile ed indisponibile e non può costituire oggetto di rinuncia, sicché la richiesta di proscioglimento formulata dal P.G. nel giudizio innanzi alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura non è vincolante per quest'ultima. Né rileva, al fine di ritenere che vi sia improcedibilità dell'azione (a causa della richiesta formulata dal P.G., equiparato al Ministro), il fatto che, ai sensi dell'art. 29 del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, se in sede penale l'incolpato viene prosciolto, solo il Ministro decide se farsi luogo a procedimento disciplinare, atteso che il riferimento esclusivo al Ministro discende dal fatto che nel tempo in cui fu emanato quel testo normativo unicamente il Ministro era titolare dell'azione disciplinare. Inoltre, dopo la sospensione del procedimento, non è necessario un nuovo atto di impulso di un titolare dell'azione disciplinare, essendo sufficiente un provvedimento di riattivazione del procedimento da parte della stessa Sezione disciplinare.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. N G - Primo Presidente f.f. -
Dott. C O F - Presidente di sezione -
Dott. M A - rel. Consigliere -
Dott. P R - Consigliere -
Dott. V U - Consigliere -
Dott. M M R - Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
Dott. V G - Consigliere -
Dott. F G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso per proposto da:
NOME1, elettivamente domiciliato in LOCALITA1, presso lo studio dell'avvocato NOME2, che lo
rappresenta e difende unitamente all'avvocato NOME3, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
M DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la sentenza n. 85/2004 del Consiglio Superiore della Magistratura di ROMA, depositata il 27/01/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2005 dal Consigliere Dott. A M;
udito l'Avvocato NOME2;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. P R che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, a seguito della nota 28/05/1999 del Presidente della Corte d'Appello di LOCALITA2, in data 20 settembre 1999 promuoveva azione disciplinare nei confronti del dott. NOME1, all'epoca dei fatti Pretore di LOCALITA3, incolpandolo della violazione del R.D.Lgs. 31 maggio 1946 n. 511, art. 18, "per aver violato il dovere di correttezza e quello
di diligenza, rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere, così compromettendo il prestigio delle funzioni giudiziarie esercitate". In particolare al dott. NOME1 veniva contestato di avere "nel quadro del procedimento di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., instaurato su ricorso della "NOME4" srl nel confronti della s.a.s., "NOME5", emesso in successione, due contrastanti provvedimenti, di accoglimento (9 gennaio 1999), l'uno, e di rigetto (12 gennaio 1999) l'altro, dell'istanza di sospensione dell'esecuzione, provvedimenti entrambi depositati ed iscritti nel registro cronologico, provvedendo, prima dell'emanazione del secondo, a sopprimere il primo mediante lacerazione, malgrado fosse stato informato dal personale di cancelleria che, del primo provvedimento, erano state rilasciate copie "libere" al difensore". Espletata istruttoria e dopo che il procedimento disciplinare era stato sospeso in attesa della definizione del processo penale instaurato per gli stessi fatti-processo conclusosi con sentenza di assoluzione della Corte d'appello di LOCALITA4 del 19 febbraio 2004 "perché il fatto non sussiste" - veniva fissata l'udienza del 24 settembre 2004, e dopo che, all'esito della discussione orale, il P.G aveva chiesto l'assoluzione dell'incolpato per esclusione dell'addebito, la Sezione disciplinare, con sentenza del 27 gennaio 2005, dichiarava il NOME1 responsabile dell'incolpazione ascrittagli e gli infliggeva la sanzione disciplinare dell'ammonimento. Nel pervenire a tale conclusione, dopo aver sintetizzato il contenuto della sentenza della Corte d'appello di LOCALITA4, la Sezione disciplinare richiamava l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale l'autorità del giudicato vincola unicamente in ordine ai fatti materiali accertati nella loro realtà fenomenica ed oggettiva, consentendo però sempre al giudice disciplinare di verificare se detti fatti, così come accertati, risultino censurabili sul piano deontologico. Nel caso di specie la condotta del Dott. NOME1 costituiva, "per le concrete modalità con cui si era estrinsecata, sintomo inequivoco di superficialità, approssimazione e mancanza del "minimum" di diligenza e perizia richiesta ad un magistrato nell'esercizio delle funzioni di giudice dell'esecuzione". Ed invero, in base alle risultanze processuali, emergeva in modo inequivoco che il dott. NOME1 fosse consapevole dell'esistenza giuridica del primo decreto di sospensione, per essere avvenuto il deposito e la registrazione nel cronologico del cancelliere, sicché detto provvedimento poteva essere revocato o modificato, non certo in modo informale con autonome determinazioni, ma solo alla prima udienza di comparizione.
Ne conseguiva che, tenuto conto degli elementi soggettivi ed oggettivi emersi dall'accertamento dei fatti ed in particolare della laboriosità e della condotta del NOME1 nell'esercizio delle funzioni all'epoca del contestato illecito, dovevasi reputare adeguata la sanzione dell'ammonimento.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per Cassazione, dinanzi alle Sezioni Unite di questa Corte, NOME1 affidandosi a sette motivi di censura, illustrati con memoria. Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati.