Cass. civ., sez. I, sentenza 29/07/2005, n. 15936
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In tema di determinazione dell'indennità di espropriazione, il diritto del conduttore, che nell'immobile eserciti un'attività economica, ad un'indennità aggiuntiva è riconosciuto solo nelle ipotesi, previste dall'art. 17, secondo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, del "fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante costretto ad abbandonare il terreno", mentre nelle altre ipotesi riprendono vigore i principi generali in tema di espropriazione per causa di pubblica utilità, quali si traggono dalla legge fondamentale 25 giugno 1865, n. 2359 (cui già faceva rinvio, prima delle innovazioni introdotte in materia dagli artt. 34 e 35 della legge 27 luglio 1978, n. 392, il combinato disposto degli artt. 4 e 6 della previgente legge 27 gennaio 1963, n. 19 sulla tutela giuridica dell'avviamento commerciale), secondo cui (art. 27, terzo comma, legge n. 2359, cit.), lungi dal riconoscersi ai conduttori un ulteriore, autonomo indennizzo volto a compensare il pregiudizio per le attività di fatto espletate sull'immobile ed interrotte dall'espropriazione, è attribuito, piuttosto, agli stessi il diritto di pretendere dal proprietario già indennizzato la corresponsione della parte di indennità loro spettante (come previsto, peraltro, anche dall'art. 1638 cod. civ.), nonché il diritto, in via alternativa, sulla base del disposto degli artt. 52-56 della legge n. 2359, cit., di agire con opposizione avverso la stima dell'indennità medesima (qualora ritengano che l'indennità come determinata in sede amministrativa non comprenda l'intero ammontare dovuto), ovvero di intervenire nell'analogo giudizio promosso dal proprietario espropriato, qualificandosi tale intervento come intervento autonomo e restando esclusivo legittimato passivo l'espropriante, ancorché la sua eventuale responsabilità verso i medesimi conduttori, in base al principio dell'unicità dell'indennità nella disciplina di cui alla menzionata legge n. 2359 del 1865, possa solo esplicarsi nell'adempimento dell'obbligo di depositare, a favore del proprietario, anche quella somma che risulti destinata a soddisfare le ragioni del conduttore stesso. (Nella fattispecie la S.C. ha quindi cassato la sentenza di merito che finiva, invece, con il riconoscere una duplice indennità rispettivamente al proprietario di un edificio espropriato, destinato a rivendita di frutta e verdura, ed al conduttore dello stesso).
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C A - Presidente -
Dott. P C - Consigliere -
Dott. G P - rel. Consigliere -
Dott. B S - Consigliere -
Dott. G M C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COMUNE di ALBISOLA SUPERIORE, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza del Paradiso n. 55, presso lo studio dell'Avv. F L R, rappresentato e difeso dall'Avv. BERTINI Carlo del foro di Genova in forza di procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
Z L, in proprio e quale erede di V Z, elettivamente domiciliato in Roma, Via Monte Zebio n. 30, presso lo studio dell'Avv. CAMICI Giammaria che lo rappresenta e difende, anche disgiuntamente dall'Avv. M C del foro di Savona, in forza di procura speciale a margine del controricorso
- controricorrente -
nonché
G T;
- intimata -
avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova n. 912/2001 pronunciata il 24.10.2001 e pubblicato il 15.11.2001. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'8.2.2005 dal Consigliere Dott. P G. Udito il difensore del ricorrente.
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R L A, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell'ottobre del 1991, E G, proprietaria di immobili siti nel Comune di Albisola Superiore assoggettati ad occupazione prima e ad esproprio poi da parte di tale Ente per la realizzazione di una piazza all'interno dell'abitato, conveniva davanti alla Corte di Appello di Genova il Comune anzidetto, opponendosi alla stima delle relative indennità ad essa offerte e chiedendo che, con la nuova determinazione, da effettuare alla luce della reale portata edificatoria delle aree e con riferimento altresì ai manufatti ivi esistenti, venisse stabilita la parte che spettava ad alcuni conduttori dei beni espropriati.
Il convenuto, costituendosi, eccepiva l'infondatezza dell'opposizione, essendo stata la stima medesima effettuata in conformità ai criteri di legge ed in misura non lontana dal valore di mercato dei beni sopra indicati.
Interveniva, quindi, volontariamente in causa Giovanna T, la quale, già conduttrice di un immobile della Grosso destinato a rivendita di frutta e verdura, la cui attività era stata costretta a cessare, chiedeva che fossero determinate le indennità ad essa dovute per effetto del disposto esproprio.
Il processo, interrotto a seguito del decesso dell'attrice, veniva riassunto dai figli ed eredi V e L Z, i quali insistevano nelle domande proposte dalla madre.
Il Giudice adito, con sentenza del 24.10/15.11.2001, determinava le indennità dovute agli Zavattoni, nella riferita qualità, nonché alla T, impartendo le consequenziali statuizioni e segnatamente assumendo, per quanto interessa:
a) che le costruzioni ed i manufatti esistenti nella zona espropriata fossero rappresentati, ad eccezione di quello adibito a negozio di frutta e verdura, da fabbricati vetusti e degradati, i quali, ancorché privi di specifiche autorizzazioni e/o concessioni amministrative, non erano certamente da considerare abusivi, tenuto conto dell'inesistenza, all'epoca della loro costruzione, ben anteriore all'anno (1931) cui risaliva il primo regolamento edilizio del Comune di Albisola Superiore, di vincoli, divieti o quant'altro potesse farne ritenere l'illegittimità, laddove l'indennizzo spettante agli attori al riguardo doveva essere determinato sulla base del valore di mercato dei fabbricati stessi;
b) che, non potendo la T pretendere la condanna del Comune a corrisponderle direttamente alcunché in ragione della perdita dell'avviamento e non potendo, del resto, gli attori, in mancanza di domanda in proposito, essere condannati a corrispondere all'ex conduttrice il dovuto, la parte di indennità di spettanza dell'intervenuta fosse da liquidare in lire 25.914.000. Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione il Comune di Albisola Superiore, deducendo tre motivi di gravame, illustrati da memoria, ai quali resiste con controricorso il solo L Z, in proprio e nella qualità di (unico) erede del defunto fratello V, mente non resiste la T.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione e falsa applicazione degli artt. 27, 39,52, 54 e seguenti della legge n. 2359 del 1865, dell'art. 17 della legge n. 865 del 1971, dell'art. 1638 c.c., dell'art. 34 della legge n. 392 del 1978, nonché dei
principi che presiedono alla corretta determinazione delle indennità di espropriazione e di occupazione, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., assumendo:
a) che l'attrice E G (alla quale, deceduta in corso di causa, sono quindi subentrati i figli V e L Z) aveva proposto opposizione alle indennità di espropriazione ed occupazione, rilevando, tra l'altro, che, "dato lo stato di affittanza degli immobili espropriati (contratti registrati per T Giovanna e G M nonché contratto verbale per Alamanno A) si ritiene debba separatamente valutarsi l'indennità spettante ai menzionati conduttori";
b) che, in particolare, trattasi del contratto di locazione ad uso commerciale avente ad oggetto il manufatto del quale è conduttrice la sopra nominata T, la quale è intervenuta in giudizio per reclamare il proprio diritto, non riconosciuto dall'Amministrazione espropriante, a conseguire l'indennità per la perdita dell'attività di vendita di frutta e verdura esercitata nel suddetto locale;
c) che, nel corso d&Ì Viter processuale, il consulente tecnico designato dalla Corte territoriale ha determinato in lire 30.000.000 il valore commerciale del manufatto adibito a frutteria, mentre ha stimato nell'importo di lire 25.914.000
il pregiudizio subito dalla conduttrice dell'immobile in ragione della perdita dell'avviamento dell'azienda;
d) che detto Giudice è, quindi, pervenuto a riconoscere alla medesima conduttrice la somma quantificata dal consulente (pari appunto a lire 25.914.000), ordinandone il deposito ai sensi di legge;
e) che, come noto, costituisce regola generale della materia in argomento, desumibile dagli artt. 27 e 52 e seguenti della legge n. 2359 del 1865, quella secondo cui l'indennità che l'espropriante
deve depositare è unica e su questa deve trovare soddisfazione la pretesa di coloro che, già titolari di un diritto di godimento sui beni espropriati, vengano a risentire un pregiudizio per effetto dell'estinzione di quel diritto, pure provocata dall'espropriazione, onde l'indennità unica va necessariamente rapportata a "come" il bene si presenta, prescindendo dalla considerazione dei soggetti aventi diritto a soddisfarsi su di essa per il pregiudizio appunto che l'espropriazione medesima arreca loro, laddove la parte di indennità dovuta ai titolari di diritti del genere di quello sopra indicato, siccome incide sull'unica indennità, diminuisce la parte di questa di pertinenza del proprietario del bene;
f) che la Corte territoriale, disattendendo tali principi, ha dapprima riconosciuto agli eredi dell'espropriata il valore del manufatto condotto in locazione dalla T, determinato tenendo conto delle oggettive caratteristiche strutturali e delle destinazioni d'uso di cui esso è suscettibile, liquidando, poi, in favore della stessa T, una separata ed autonoma indennità, aggiuntiva rispetto alla prima, mentre l'intervenuta, titolare di un diritto di godimento, poteva soddisfarsi solamente sull'unica indennità liquidata in favore dei proprietari espropriati;
g) che, in tal modo, il Giudice di merito ha altresì violato la disposizione contenuta nell'art. 17 della legge n. 865 del 1971, la quale ha accordato il diritto ad una indennità distinta e aggiuntiva solamente a beneficio dei soggetti che traggono i mezzi di sussistenza dalla coltivazione del suolo, con esclusione, dal novero relativo, dell'affittuario esercente attività diverse dalla coltivazione e dalla produzione agricola, onde quest'ultimo può far valere il suo diritto all'indennità solo nei riguardi del concedente ed in forza del rapporto contrattuale che costituisce il titolo del suo godimento, ai sensi dell'art. 1638 c.c.;
h) che l'intervento dell'affittuaria T, siccome priva di ogni legittimazione, doveva essere dichiarato inammissibile e comunque integralmente disatteso.
Il motivo è fondato.
Giova, al riguardo, premettere:
a) che, in tema di determinazione dell'indennità di espropriazione quando l'immobile che ne forma oggetto costituisce bene strumentale di un'azienda, là dove, cioè, si domanda se tale indennità debba tenere conto ed in quali termini anche del pregiudizio che l'espropriazione medesima arreca per il fatto di rendere impossibile l'ulteriore esercizio dell'attività commerciale o industriale già svolta nell'immobile espropriato, l'art. 17, secondo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, riconosce lo specifico diritto alla
c.d. "indennità aggiuntiva" in favore di quei soggetti che traggono i propri mezzi di sussistenza dalla coltivazione del suolo, condizionando la concreta erogazione del beneficio all'utilizzazione agraria del terreno ed attribuendo, in particolare, l'autonoma legittimazione a richiedere direttamente nei confronti dell'espropriante la determinazione di siffatta indennità, introdotta dalla norma, esclusivamente al "fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno" medesimo per effetto dell'espropriazione, in funzione evidentemente compensativa del sacrificio sopportato da tali soggetti a causa della definitiva perdita del fondo su cui esercitavano l'attività di coltivazione e produzione agricola, con relativa esclusione, dal novero degli aventi diritto, non soltanto dell'affittuario esercente attività diverse da quella anzidetta ma anche dell'imprenditore agricolo (di colui, cioè, che eserciti quest'ultima attività con prevalenza del fattore capitale sul fattore lavoro e con impegno prevalente di manodopera subordinata), tanto individuale quanto costituito sotto forma di società commerciale, di capitali o di persone (Cass. 26 agosto 1998, n. 8491;Cass. 3 marzo 1999, n. 1774;Cass. 27 aprile 1999, n. 4191;Cass. 16 febbraio 2001, n. 2270;Cass. 18 settembre 2001, n. 11697;Cass. 19 febbraio 2003, n. 2477;Cass. 15 luglio 2004, n. 13115);b) che, per contro, quando non si tratti
di applicare una disposizione di questo tipo, come appunto nel caso di specie in cui viene in considerazione, secondo l'incensurato apprezzamento di fatto della Corte territoriale, il rapporto di "conduzione" del fabbricato, già di proprietà della Grosso, destinato all'attività di rivendita di prodotti ortofrutticoli dapprima esercitata dalla T e quindi interrotta per effetto del disposto esproprio, riprendono vigore i principi generali in tema di espropriazione per causa di pubblica utilità, quali si traggono dalla legge fondamentale 25 giugno 1865, n. 2359 (cui già faceva rinvio, prima delle innovazioni introdotte in materia dagli artt. 34 e 35 della legge 27 luglio 1978, n. 392, il combinato disposto degli artt. 4 e 6 della previgente legge 27 gennaio 1963, n. 19, sulla tutela giuridica dell'avviamento commerciale), là dove la menzionata legge n. 2359/1865, al terzo comma dell'art. 27, lungi dal riconoscere ai "conduttori" un ulteriore, autonomo indennizzo rivolto a compensare il pregiudizio per le attività di fatto espletate sull'immobile ed interrotte dall'espropriazione, attribuisce piuttosto agli stessi il diritto di pretendere dal proprietario già indennizzato la corresponsione della parte dell'indennità loro spettante, come previsto (peraltro) anche dall'art. 1638 c.c., nonché il diritto, in via alternativa, sulla base del disposto degli artt. 52-56 della legge da ultimo citata ivi pure richiamati, di agire con opposizione avverso la stima dell'indennità medesima (qualora ritengano che l'indennità determinata in sede amministrativa non comprenda l'intero ammontare dovuto) ovvero di intervenire nell'analogo giudizio promosso dal proprietario espropriato, dovendosi, al riguardo, ritenere che tale intervento presenti i connotati dell'intervento autonomo e che, qualora il conduttore si avvalga di una simile alternativa, legittimato passivo risulti esclusivamente l'espropriante, ancorché la sua eventuale responsabilità verso il medesimo conduttore, in base al principio dell'unicità dell'indennità nella disciplina di cui alla già menzionata legge n. 2359 del 1865, possa solo esplicarsi nell'adempimento dell'obbligo di depositare, a favore del proprietario, anche quella somma che risulti destinata a soddisfare le ragioni del conduttore stesso (Cass. 19 maggio 1983, n. 3448;Cass. 26 gennaio 1985, n. 379;Cass. sezioni unite 8 giugno 1998, n. 5609;Cass. 20 febbraio 2004, n. 3384);
c) che, in ragione degli indicati principi, essendo unica l'indennità che l'espropriante deve depositare, su di essa deve trovare soddisfazione la pretesa di coloro che, già titolari di un diritto di godimento sul bene espropriato, vengono a risentire un pregiudizio per effetto dell'estinzione di quel diritto, pure provocata dall'espropriazione, laddove, per altro verso, essendo l'indennità in parola destinata a tener luogo del bene espropriato, non può superare il valore che esso presenta, in considerazione della sua concreta destinazione, ovvero, ex art. 39 della legge n. 2359 del 1865, il valore che il proprietario ne ritrarrebbe se
decidesse di porlo sul mercato (Cass. sezioni unite 5609/1998, cit);
d) che il termine di riferimento dell'indennità è, quindi, rappresentato dal valore di mercato del bene espropriato quale gli deriva dalle sue caratteristiche naturali, economiche e giuridiche, non anche dal pregiudizio che il proprietario od altro titolare di minore diritto di godimento risente come effetto del non potere ulteriormente svolgere, mediante l'uso dello stesso immobile, la precedente attività, onde l'unica indennità va rapportata a come il bene si presenta, prescindendo dalla considerazione dei soggetti aventi diritto a soddisfarsi su di essa per il pregiudizio che l'espropriazione arreca loro, mentre la parte di indennità dovuta ai titolari di diritti di godimento, in quanto incide sull'unica indennità, diminuisce la parte di questa di pertinenza del proprietario del bene ed è, quindi, da detrarre da quella spettante al proprietario (Cass. sezioni unite 5609/1998, cit;nonché Corte Cost. 9 novembre 1988, n. 1022 e, anche se relativa a fattispecie normativa regionale, Corte Cost. 12 maggio 1988, n. 530). Tanto premesso, si osserva come la Corte territoriale, dopo avere correttamente richiamato i principi sopra enunciati ed avere, riassumendo, ribadito che al conduttore non spetta un diritto di credito per la perdita dell'avviamento da far valere nei confronti dell'ente espropriante (potendo le sue pretese essere indirizzate nei soli confronti del proprietario espropriato e dovendo nondimeno essere riconosciuta la legittimazione dello stesso ad intervenire nel giudizio di opposizione alla stima per farne ottenere la giusta determinazione) e che il proprietario, debitore sostanziale verso il conduttore di quella parte di indennizzo che giova a ristorare quest'ultimo del pregiudizio costituito dalla perdita dell'avviamento, vada ritenuto legittimato a pretendere la determinazione separata di detto cespite ai fini della regolamentazione dei conseguenti rapporti economici con il medesimo conduttore, abbia quindi concluso nel senso:
a) che la T non può pretendere la condanna del Comune a corrisponderle direttamente alcunché a tale titolo;
b) che, in mancanza di domanda in proposito, gli attori non possono essere condannati a corrispondere alla ex conduttrice il dovuto;
c) che, tuttavia, sulla base della domanda degli attori e dell'intervento della T, possa e debba essere determinato l'indennizzo di spettanza di quest'ultima, ordinandone il deposito ai sensi di legge, con svincolo delle conseguenti somme a favore dell'avente diritto in una successiva (ed eventuale) fase processuale.
Per l'effetto, la medesima Corte territoriale ha determinato in lire 25.914.000 "la parte di indennità spettante alla T... con ordine al Comune di Albissola Superiore di provvedere al relativo deposito presso la Cassa DD.PP., con gli interessi legali dalla data dell'esproprio al deposito".
Pur tuttavia, detto Giudice ha altresì proceduto alla determinazione dell'indennità di espropriazione dovuta agli eredi dell'espropriata (la defunta Grosso), la quale, relativamente all'immobile già condotto dalla stessa T (partita 175, fg. 28, mapp. 357), è così risultata pari a lire 30.000.000.
Pertanto, il medesimo Giudice, là dove tanto nella motivazione (pag. 17) quanto nel dispositivo dell'impugnata pronuncia, ha ordinato al Comune espropriante di provvedere al deposito della differenza tra "le somme determinate con la presente sentenza" e le minori somme versate in via amministrativa presso la Cassa DD.PP., appare essere incorso nella violazione dei principi sopra enunciati, non avendo in particolare:
a) affermato che la parte di indennità dovuta alla titolare del diritto di godimento, come appunto la T, incide sull'unica indennità e, quindi, "diminuisce" la parte di questa di spettanza dei proprietario del bene dovendo essere "detratta" da tale spettanza;
b) riconosciuto, quindi, che l'obbligo dell'espropriante di depositare a favore del proprietario stesso "anche quella somma che risulti destinata a soddisfare le ragioni del conduttore" (al netto, evidentemente, di quanto già versato) debba intendersi relativo all'indennità di espropriazione dovuta al proprietario "al lordo" della somma di pertinenza del conduttore medesimo, ovvero relativo al totale risultante dall'addizione di quest'ultima somma e della riferita indennità quale "diminuita" di tale somma. Con il secondo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente violazione e falsa applicazione dell'art. 16, terz'ultimo comma, della legge n. 865 del 1971, nonché omessa o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c., deducendo:
a) che, allorquando gli immobili oggetto di causa sono stati occupati dal Comune, è stato redatto un verbale di consistenza, nel quale si è dato atto che i manufatti insistenti sui mappali 357 e 364 del foglio 28 si presentavano vetusti, degradati e prevalentemente costruiti con mezzi di fortuna;
b) che, in ordine a tali precarie costruzioni, il Comune ha formalmente attestato, sulla base dei propri atti, che esse risultano realizzate in assenza di titolo abilitativo e non condonate;
c) che il consulente d'ufficio aveva peraltro accertato che si tratterebbe di opere realizzate in epoca anteriore alla prima disciplina edilizia introdotta dal Comune, risalente al 1931, desumendo un simile convincimento dalle descrizioni contenute in perizie e sentenze redatte in epoca remota;
d) che, a fronte di tali rilievi, il Comune stesso aveva replicato che l'opinione espressa dal consulente non appariva condivisibile in quanto, secondo le descrizioni sopra citate, si tratterebbe di manufatti realizzati con normali materiali edilizi e con ordinarie tecniche costruttive, laddove le opere constatate in occasione della redazione del verbale di consistenza risultano costruite in modo approssimativo e con mezzi di fortuna, nonché in quanto il medesimo consulente aveva specificato le dimensioni dei manufatti in questione, le quali non corrispondevano affatto a quelle catastali;
e) che, in base a tali elementi, si doveva ritenere provato, ad avviso del Comune, il carattere abusivo dei manufatti in parola, trattandosi di opere non corrispondenti a quelle esistenti all'inizio del secolo o che, quanto meno, costituiscono il risultato di successivi incrementi avvenuti in modo del tutto irregolare;
f) che, quindi, per tali costruzioni, realizzate in assenza di licenza edilizia ovvero in contrasto con il titolo abilitativo, ove esistente, non poteva essere riconosciuta l'indennità di espropriazione, ma solo un'indennità ragguagliata al valore dell'area di sedime;
g) che, sul punto, la sentenza impugnata si è limitata a recepire acriticamente le considerazioni del consulente, senza farsi carico di esaminare i rilievi prospettati dal Comune, i quali, se ritenuti fondati, avrebbero condotto ad escludere totalmente l'indennità per siffatti degradati manufatti.
Il motivo non è fondato.
Al riguardo, la Corte territoriale, nell'impugnata sentenza, ha:
a) dato espressamente atto che "si è posto dalla difesa del Comune il problema del loro (delle costruzioni e dei manufatti, cioè, esistenti nella zona espropriata, siti nei mappali 357 e 364) indennizzo, essendone stata sostenuta la loro abusività e, quindi, l'indennizzabilità limitata al solo valore dell'area, così come previsto dall'art. 16, comma quinto, della L. 865 del 1971";
b) fatto proprio il ragionamento del c.t.u., secondo cui, "esaminate... le vicende dei beni quali risultanti dai relativi atti di acquisto... la data di realizzazione delle costruzioni medesime è ben anteriore al 1931, epoca in cui il Comune di Albissola Superiore si è dotato del primo regolamento edilizio, per cui esse, ancorché prive di specifiche autorizzazioni e/o concessioni amministrative, non possono certamente considerarsi abusive tenuto conto dell'inesistenza all'epoca di vincoli, divieti o quant'altro che potessero far ritenere abusive e/o illegittime le costruzioni stesse".
A fronte di un simile apprezzamento, le censure dell'odierno ricorrente non si palesano decisive, nel senso che:
a) il fatto che, "secondo le descrizioni contenute nei documenti sopra citati, si tratterebbe di manufatti realizzati con normali materiali edilizi e con ordinarie tecniche costruttive, mentre le opere constatate dal tecnico comunale in occasione della redazione del verbale di consistenza appaiono costruite in modo approssimativo e con mezzi di fortuna", non è evidentemente tale da incidere sulla data di realizzazione dei manufatti stessi, risultando del tutto plausibile che altre fossero le condizioni di questi ultimi al momento della loro costruzione e che altre fossero, invece, le loro condizioni al momento della redazione del verbale anzidetto;
b) la mancata corrispondenza delle dimensioni dei manufatti in parola rispetto a quelle desumibili dai dati catastali non appare, di nuovo, decisiva ai fini del riconoscimento della loro pretesa "abusività", dal momento che una simile circostanza, se anche può essere idonea a dimostrare che le opere attuali non corrispondano a quelle esistenti all'inizio del secolo, non si palesa tuttavia idonea a dimostrare altresì l'epoca di effettiva realizzazione "di successivi incrementi avvenuti (ove pure) in modo del tutto irregolare".
Pertanto, il primo motivo del ricorso merita accoglimento, laddove il secondo va rigettato, onde, restando assorbito il terzo riguardante una questione (relativa, cioè, alla sorte delle spese processuali) dipendente da quella che ha formato oggetto del suindicato accoglimento, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche ai fini della spese del giudizio di Cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Genova, affinché detto Giudice provveda a statuire sul punto in contestazione facendo applicazione dei principi sopra enunciati.