Cass. civ., sez. IV lav., ordinanza 27/01/2023, n. 02590

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., ordinanza 27/01/2023, n. 02590
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 02590
Data del deposito : 27 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

C ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 12507/2019 R.G. proposto da: BOSISIO FRATEL ABERTO, in proprio e n.q. di legale rappresentante dell’A.S.A. – ASSOCIAZIONE A SERVIZIO DEGLI ANZIANI ONLUS, elettivamente domiciliato in ROMA,VIA

ANASTASIO II

80, presso lo studio dell’avvocato A B , rappresentato e difeso da ll'avvocato S N -ricorrente-

contro

MINISTERO LAVORO POLITICHE SOCIAI, in persona del Ministro p.t., DIREZIONE TERRITORIAE DEL LAVORO DI SONDRIO LECCO, in persona del legale rappresentante pro tempore, ISPETTORATO TERRITORIAE DEL LAVORO DI COMO LECCO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA , VIA DEI

PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERAE DELLO STATO che li rappresenta e difende -controricorrenti- avverso la SENTENZA d ella CORTE D'APPELLO di MILANO n. 1594/2018 pubblicata il31/10/2018, R.G. n. 316/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/01/2023 dal Consigliere Dott. VAERIA PICCONE.

RILEVATO CHE

1.Con sentenza n. 466 del 2009, il Tribunale di Lecco ha parzialmente accolto l’opposizione avanzata da F A B, in proprio e nella sua qualità di legale rappresentante della A.S.A. -Associazione del Servizio degli Anziani Onlus, avverso l’ordinanza ingiunzione n. 119 del 26 settembre 2007, emessa dalla DPL di Lecco, riducendo le sanzioni nella misura di euro 315,00 e compensando le spese di lite con riguardo alle infrazioni ascritte, consistenti nella violazione dell’art. 7, co. 1 e dell’art. 18 bis, co. 4, D. Lgs. n. 66 del2003 - che prescrivono il riposo giornaliero di 11 ore consecutive - culminate nell’ordinanza ingiunzione relativa alla somma di euro 174,930,00. 1.1. In particolare, il Tribunale, accertata la violazione per non essere stato concesso il riposo minimo previsto, ha ritenuto che, nel caso di specie, l’illecito fosse stato realizzato con “una sola azione” che aveva determinato, in considerazione del riferimento a più lavoratori e a più giornate lavorative, “più violazioni della stessa disposizione di legge” reputando, così, configurabile il concorso formale di norme e, pertanto, applicabile l’art. 8 co. 1, L. n. 689 del 1981 con l’irrogazione della sanzione più grave aumentata sino al triplo. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 1055 del 2011 ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale, rideterminando la sanzione sulla scorta dell’assunto che la sanzione prevista dall’art. 18 bis. D. Lgs. n. 66 del 2003 non poteva essere applicata per ogni violazione ma doveva essere applicata ad ogni lavoratore che non avesse potuto godere del riposo, graduando, quindi, la sanzione in considerazione del numero delle violazioni e distinguendo, altresì, i lavoratori in tre gruppi sulla base del numero di mesi in cui il mancato riposo si era verificato.

1.3. Tale pronunzia è stata cassata con rinvio daquestaCorte con sentenza n. 24 del 2018,nella quale è stato ritenuto arbitrario il criterio applicato dalla Corte territoriale in assenza di un chiaro riferimento normativo in tal senso edè stato affermato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 153 del 2014, ha dichiarato l’illegittimitàcostituzionale dell’art. 18 bis co. 3 e 4 D. Lgs. n. 66 del 2003 con conseguente reviviscenza della disciplina abrogata dalla norma dichiarata costituzionalmente illegittima. Riassunta la causa innanzi alla Corte d’appello di Milano da entrambe le parti, la stessa ha accolto la tesi prospettata dal Ministero del Lavoro, reputando fermo il principio che le sanzioni andassero applicate per ciascun lavoratore cui la sanzione si riferisse.

2. Per la cassazione della sentenza propone, con unico motivo, ricorso , assistito da memoria F A B.

2.1. Resiste, con controricorso, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

CONSIDERATO CHE

1.Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 9 R.d.l. 692/23, 27 L. 370/34, in relazione alla sanzione ritenuta applicabile alle violazionidi cui all’art. 7 co.

1. D. Lgs. n. 66/03, così come contestate al ricorrente dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Lecco in data 12 gennaio 2007. 2. O, va premesso che questa Corte, nel cassare con rinvio la decisione della Corte d’appello che aveva ritenuto doversi applicare la sanzione di cui all’art. 18 bis. D. Lgs. n. 66 del 2003 non per ogni singola violazione ma per ogni singolo lavoratore, graduando, poi, la sanzione in considerazione del numero delle violazioni, ha dettato alcuni principi.

2.1. Va rilevato, al riguardo, che il giudizio di rinvio non costituisce la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, ma costituisce la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione, sicché in quella fase non possono formare oggetto di discussione tutte le questioni che costituiscono presupposti, esplicitamente o implicitamente, decisi nella pronuncia della Corte di cassazione (Cass. SU 2 dicembre 2008, n. 28544). Secondo un condiviso orientamento di questa Corte in ragione della struttura “chiusa” propria del giudizio di rinvio, cioè della cristallizzazione della posizione delle parti nei termini in cui era rimasta definita nelle precedenti fasi processuali fino al giudizio di cassazione e più precisamente fino all’ultimo momento utile nel quale detta posizione poteva subire eventuali specificazioni (nei limiti e nelle forme previste per il giudizio di legittimità, in particolare quelle dell’art. 372 cod. proc. civ.), il giudice di rinvio, al fine di procedere al giudizio nei termini rimessigli dalla cassazione con rinvio, può prendere in considerazione fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti – senza violare il divieto di esame di punti non prospettati o prospettabili dalle parti fino a quel momento – soltanto a condizione che si tratti di fatti dei quali, per essere avvenuta la loro verificazione dopo quel momento, non era stata possibile l’allegazione, a meno che la nuova attività assertiva ed istruttoria sia giustificata proprio dalle statuizioni della Corte di cassazione in sede di rinvio (Cass. 3n. 7281 del 2011;
Cass. 11962 del 2005;
Cass. n. 16294 del 2003;
Cass. n. 1917 del 2001). Nel giudizio di rinvio, infatti, configurato dall'art. 394 c.p.c. quale giudizio ad istruzione sostanzialmente "chiusa", é preclusa la prospettazione di diverse questioni al pari dell'acquisizione di nuove prove e segnatamente la produzione di nuovi documenti, salvo che la stessa sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione o dall'impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore (cfr., ex plurimis,Cass. n. 27336 del 2022). A parte quest’ultima ipotesi, di regola il giudice di rinvio è vincolato dalla sentenza di cassazione che dispone il rinvio stesso anche nel caso in cui essa non si limiti ad accertare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto o il vizio di motivazione che inficiano la sentenza cassata e ad adottare le pronunce consequenziali -quali, nel primo caso, l’enunciazione del principio di diritto -ma anche quando essa contenga statuizioni ulteriori (vedi per tutte: Cass. n. 21006 del 2005). Occorre, poi, sottolineare che la norma di cui all'art. 18 bis, comma 4, del d.lgs. n. 66 del 2003 nel testo "ratione temporis" vigente stabiliva quanto segue: "La violazione delle disposizioni previste dagli articoli 7, comma 1, e 9, comma 1, è punita conla sanzione amministrativa da 105 euro a 630 euro." Secondo questa Corte, il tenore letterale della norma è chiaro nel suo riferimento alla singola violazione da sanzionare, per cui l'interpretazione originariamente offerta dalla Corte di merito, che pur e tiene conto della circostanza che occorre riferirsi all'applicazione di una sanzione per ogni lavoratore il quale non abbia potuto godere del riposo previsto, finisce per rivelarsi arbitraria nel momento in cui, ai fini della determinazione in concreto della sanzione, individua tre gruppi di lavoratori a seconda dell'arco temporale più o meno lungo in cui il riposo era stato inferiore al limite stabilito dalla norma, graduandola in base alla durata della violazione stessa. In ogni caso, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 153 del 21 maggio 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale (per contrasto con l'art. 76 Cost.) dell'art. 18 bis commi 3 e 4 del d.lgs. n. 66 del 2003. 3.Ricostruendo il quadro normativo di riferimento, il giudice di legittimità, nella sentenza n. 24 del 2018 ha rilevato come, con la legge del 1° marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2001) veniva concessa al Governo la delega per l'attuazione di direttive comunitarie, tra le quali quelle in materia di orario di lavoro. Tale legge all'art. 2, comma 1, lettera c), stabiliva il criterio direttivo per cui le sanzioni amministrative dovevano essere regolate secondo la previsione, per la quale, in ogni caso "saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi". In attuazione della delega, il d.lgs. n. 66 del 2003 agli artt. 4,7 e 9, comma 1, regolava la materia dell'orario di lavoro e dei riposi giornalieri e settimanali, senza prevedere nell'originaria formulazione specifiche sanzioni per la violazione di dette norme, e quindi, implicitamente, rinviando per l'aspetto sanzionatorio a quanto previsto per la violazione delle regole sul riposo giornaliero alla sanzione di cui all'art. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923, per la violazione della disciplina del riposo settimanale alla sanzione di cui all'art. 27 della legge n. 370 del 1934, e per la violazione della disciplina sull'orario di lavoro settimanale, sempre, alla sanzione di cui all'art. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923. Il suddetto assetto normativo subiva, però, importanti modificazioni intervenute con l'entrata in vigore del d.lgs.19 luglio 2004, n. 213 (Modifiche ed integrazioni al d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell'orario di lavoro) il quale, con l'introduzione dell'art 18 bis del d.lgs. n. 66 del 2003, contemplava specifiche sanzioni per la violazione delle disposizioni del citato d.lgs. n. 66 del 2003, sanzioni molto più elevate rispetto a quelle previste dalla citata, precedente, normativa.
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