Cass. civ., sez. I, sentenza 31/07/2018, n. 20306
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Testo completo
vocando il decreto ingiuntivo emesso nel 1992 dal Tribunale irpino, la Corte territoriale ha detratto dal credito il cui pagamento era stato intimato col provvedimento monitorio sia le somme che gli attuali ricorrenti avevano nel frattempo provveduto a versare alla Banca, sia quelle corrispondenti a interessi anatocistici indebitamente appostati in conto;ha invece ritenuto dovuto il residuo credito, portato da titoli cambiari che la società aveva girato alla Banca per lo sconto, tornati insoluti dopo la chiusura del rapporto di conto corrente. In particolare, la Corte napoletana non ha ravvisato profili di illegittimità e/o di scorrettezza nel comportamento della banca, che non aveva dato specifico avviso ai debitori del mancato pagamento dei titoli cambiari;la stessa ha pertanto respinto la domanda risarcitoria avanzata nei confronti della stessa dagli opponenti/appellanti. 2.- Resiste con controricorso C s.r.l. 3.- Per la trattazione della controversia è stata fissata pubblica udienza per il giorno 9 febbraio 2017. Prima dello svolgimento della stessa è peraltro deceduto l'avvocato M S, difensore dei ricorrenti. Preso atto di questo, il Collegio ha rinviato, con apposita ordinanza interlocutoria, la controversia a nuovo ruolo, disponendo che del rinvio fosse data comunicazione alla parte personalmente. Con «comparsa di costituzione in prosecuzione», datata 27 luglio 2017, l'avvocato F S, munita di procura speciale ad litem, ha fatto proprie tutte le difese già svolte dal precedente difensore. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.- Il primo motivo del ricorso assume «violazione/falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.) con riferimento all'art. 52 legge cambiaria, agli artt. 1175 e 1375 del codice civile nella lettura orientata dall'art. 2 Costituzione, all'art. 1373 cod. civ. e all'art. 8 legge n. 154/1992. I ricorrenti deducono che la corte del merito ha errato nel mandare esente da responsabilità la Banca per non averli puntualmente informati dell'esistenza degli insoluti. Simile comportamento avrebbe violato i doveri di informazione specifica posti dall'art. 52 I. cambiaria (secondo il quale il portatore del titolo deve dare avviso ai giranti del suo mancato pagamento), oltre che dal canone di buona fede oggettiva e dall'art. 8 I. n. 142/1992 (che prescrive l'obbligo della Banca di «comunicazione dettagliata alla scadenza del contratto») e li avrebbe esposti ad ingenti danni. Più in particolare, la sentenza impugnata è censurata sia per aver richiamato, a fondamento del rigetto della domanda risarcitoria, l'esistenza di un patto di dispensa dagli avvisi ex art. 52 I. cambiaria, che non poteva più spiegare efficacia dopo il recesso della Banca dal rapporto, sia per aver comunque ritenuto sufficiente la generica comunicazione inviata dalla creditrice, che non indicava nel dettaglio quali titoli erano rimasti impagati, nonostante il profondo spessore del dovere di buona fede, come «costituzionalizzato in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.». 2.- Il secondo motivo denuncia «motivazione insufficiente (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.)», lamentando che la corte d'appello abbia ritenuto che la notevole esposizione debitoria della s.a.s., sebbene « soltanto di poco superiore nella sua articolazione ai singoli affidamenti, come individuabili dal documento allegato sub n. 2» fosse sufficiente a motivare il recesso della Banca dai rapporti in essere. 3.- Il terzo motivo assume «violazione/falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 comma 3 cod. proc. civ.) con riferimento agli artt. 1175, 1375 e 1845 cod. civ.» e si sostanzia nell'affermazione dell'erroneità dell'assunto della sentenza impugnata secondo cui le pattuizioni intervenute tra le parti consentivano alla Banca di recedere dal rapporto «in qualsiasi tempo ed a suo insindacabile giudizio», atteso che «la questione della sussistenza o meno della giusta causa si ricollega al principio di correttezza, buona fede e solidarietà, che ... è ormai costituzionalizzato e, come tale, deve costituire la chiave di lettura delle norme e di valutazione dei comportamenti». 4.- Il primo motivo è infondato. In proposito va in primo luogo rilevato che non è controverso in causa che le cambiali rimaste insolute erano stati girate alla Banca per lo sconto nell'ambito del relativo, specifico rapporto di affidamento allora in essere tra le parti: la circostanza che il mancato pagamento dei titoli sia stato constatato dopo il recesso della creditrice non poteva pertanto far venire meno la validità della clausola di dispensa sottoscritta dai debitori, i cui effetti erano destinati ad esplicarsi sino all'esaurimento di tutte le obbligazioni discendenti dalle operazioni di anticipazioni su titoli intercorse fra le parti. Tenuto conto della permanente efficacia della clausola di dispensa dall'avviso, si manifesta poi generica la contestazione relativa al mancato rispetto del canone di buona fede oggettiva, posto che il motivo non indica le ragioni per cui nella specie detto canone avrebbe assunto connotazioni particolari. 5.- Il secondo motivo è inammissibile, in quanto volto ad ottenere una valutazione degli elementi istruttori diversa da X. quella operata dal giudice d'appello, e perciò ad invocare un sindacato in fatto, precluso a questa corte di legittimità. 6.- Il terzo motivo è infondato in quanto non investe la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha testualmente collegato la dichiarazione di recesso della Banca alla sussistenza di una «notevole esposizione debitoria», come «menzionata dalla richiamata lettera di revoca degli affidamenti». Il motivo, d'altro canto, si limita a contestazioni di tratto generico, senza neppure indicare quale attinenza queste possano avere con la fattispecie concreta dedotta in giudizio. 7.- In conclusioni, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
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