Cass. pen., sez. I, sentenza 16/06/2021, n. 23507
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da LE US IU nato a [...] il [...] avverso l'ordinanza del 14/04/2020 del Tribunale di Chieti visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Elisabetta Ceniccola, che ha concluso chiedendo annullarsi l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Chieti per nuovo esame.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 14 aprile 2020 il Tribunale di Chieti, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha dichiarato non luogo a provvedere sulla istanza avanzata da LE US IU, volta al riconoscimento del vincolo della continuazione ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen., sulla base del rilievo che lo Stato italiano era Stato di condanna e non Stato di esecuzione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 8 e 9 della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, ratificata con legge n. 334 del 1988. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore, l'interessato LE, che ne chiede l'annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.
2.1. Il ricorrente, che premette di essere detenuto in Romania in espiazione della pena di anni tre, mesi tre e giorni ventotto di reclusione di cui al provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Chieti e di avere presentato istanza per l'applicazione della disciplina del reato continuato con riferimento a tre sentenze, comprese in detto provvedimento, emesse, rispettivamente, il 25 novembre 2015 dal Tribunale di Ravenna, il 21 dicembre 2017 dal Tribunale di Chieti e il 20 settembre 2018 dal Tribunale di Ortona, tutte irrevocabili, rileva, a ragione del ricorso, che: - la Convenzione di Strasburgo, richiamata nel provvedimento impugnato a fondamento della decisione, persegue l'obiettivo comune, individuato dagli Stati contraenti e indicato nella premessa dell'articolato, di «favorire il reinserimento sociale delle persone condannate»;
- è consequenziale in tale prospettiva, e secondo una lettura logico- sistematica delle norme pattizie, che si sia demandata alla legge dello Stato di esecuzione la disciplina degli aspetti connessi alla espiazione della pena (e quindi le modalità del trattamento penitenziario, le misure alternative alla detenzione, i benefici penitenziari, le cause estintive della pena), rimanendo allo Stato di condanna la determinazione della pena, della sua natura e della sua durata (art. 10 della Convenzione);
- attiene alla fase della determinazione della pena l'applicazione dell'istituto della continuazione, che, non previsto espressamente dalla Convenzione, presuppone anche in sede esecutiva una valutazione di merito volta a verificare la riconducibilità dei reati al medesimo disegno criminoso per l'applicazione del trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 81, secondo comma, cod. pen.;
- detta valutazione non può che spettare al giudice dello Stato di condanna, nella specie quello italiano, che ha già giudicato i reati e che mantiene in sede esecutiva il potere di rideterminare la durata della pena, le cui modalità, se la pena è espiata all'estero, vanno determinate dal diverso Stato di esecuzione.
2.2. Secondo il ricorrente, le norme del codice di procedura penale hanno una funzione integratrice delle norme pattizie e devono trovare applicazione nel caso in cui le norme della Convenzione non prevedano un determinato aspetto, senza porsi in ogni caso in contrasto con la stessa. Peraltro, la competenza dello Stato di condanna, anche nel caso di esecuzione della pena in Stato estero, è traibile dalla lettura degli artt. 13 e 14 della Convenzione, disponendo il primo che il diritto di decidere sulle domande di revisione della sentenza spetta solo allo Stato di condanna, e prevedendo il secondo che deve disporsi la cessazione della esecuzione della pena da parte dello Stato di esecuzione che sia informato dallo Stato di condanna di qualsiasi decisione o misura incidente sulla cessazione della eseguibilità della pena. In tale previsione deve farsi rientrare il riconoscimento del vincolo della continuazione incidente sulla eventuale riduzione ovvero sulla cessazione della pena in esecuzione, perseguendo le norme della Convenzione una evidente finalità di favore per il condannato. Peraltro, si realizzerebbe in caso contrario una disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri, che, condannati con sentenza del Giudice italiano, espiano la pena nel territorio dello Stato e quelli che la espiano in altro Stato aderente alla Convenzione, potendo solo i primi beneficiare di un trattamento sanzionatorio più favorevole.
3. Il Procuratore generale ha formulato le sue conclusioni con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata, ai sensi dell'art. 23, comma 8, di. 28/10/2020, n. 137, chiedendo annullarsi l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Chieti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Il Procuratore generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha formulato le seguenti considerazioni a conforto della ritenuta fondatezza del ricorso, che si riportano integralmente: «[...] 2. L'inquadramento normativo Va preliminarmente evidenziato che l'istituto della continuazione, così come disegnato nel nostro ordinamento, nella sua estensione anche in sede esecutiva, non trova applicazione in tutti gli ordinamenti europei, sicché non vi è specifica previsione in sede sovranazionale. Risulta, poi, che sulla distinzione dei compiti demandati al Giudice della Emissione ed al Giudice della Esecuzione della pena, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di pronunciarsi esclusivamente in caso di espiazione nel territorio dello Stato di condanne pronunciate da un Giudice straniero, con riferimento ad istituti diversi dalla continuazione;
in materia di continuazione, sempre per il caso di pene espiate nel territorio dello Stato, ha statuito con riferimento all'applicazione della diversa decisione quadro n. 2008/675/GAI, attuata in Italia con il d.lgs. n. 73/2016, "Considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell'Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale", per il caso di condanna da parte dello Stato sopravvenuta al trasferimento. L'approccio alla questione, pertanto, non può che prendere le mosse dal quadro normativo di riferimento. La Convenzione di Strasburgo del 1983, ratificata dall'Italia il 30.06.1989 e dalla Romania il 23.08.1996, seguita dall'accordo bilaterale addizionale tra Italia e Romania del 19.3.2003, ratificato con legge n. 281/2005, a decorrere dal 5 dicembre 2011 è stata sostituita, nelle specifiche disposizioni, dalla decisione quadro del Consiglio d'Europa n. 2008/909/GAI (art. 26 d. q. n. 2008/909/GAI), attuata in Italia con il d.lgs. n. 161/2010 "Disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione quadro 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea" e dalla Romania con la L. n. 300/2013. La disciplina è stata, poi, integrata dalla decisione quadro n. 2008/947/GAI, attuata in Italia con il d.lgs. n. 38/2016 "Attuazione della decisione quadro 2008/947/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive" e dalla Romania con L. n. 300/2013;
da ultimo dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, attuata in Italia con il d.lgs. n. 31/2016 ("Attuazione della decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l'applicazione del principio