Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 12/03/2014, n. 5730

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Nel regime di tutela reale ex art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (nella formulazione "ratione temporis" applicabile, anteriore alla modifica apportata con legge 28 giugno 2012, n. 92), il danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, cagionato dalla perdita del lavoro e della retribuzione, è una conseguenza soltanto mediata ed indiretta (e, quindi, non fisiologica e non prevedibile) del recesso datoriale e, pertanto, non è risarcibile, salvo che nell'ipotesi di licenziamento ingiurioso (o persecutorio o vessatorio) trovando la sua causa immediata e diretta non nella perdita del posto di lavoro, bensì nel comportamento intrinsecamente illegittimo del datore di lavoro, della cui prova - unitamente a quella della lesione alla propria integrità psico-fisica - è onerato il lavoratore.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 12/03/2014, n. 5730
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 5730
Data del deposito : 12 marzo 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V G - Presidente -
Dott. B F - Consigliere -
Dott. B U - Consigliere -
Dott. A R - rel. Consigliere -
Dott. M C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 20804/2010 proposto da:
BILLA A.G. SEDE SECONDARIA IN ITALIA C.F. 94016670260, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA QUINTINO SELLA 41, presso lo studio dell'avvocato M V, rappresentata e difesa dall'avvocato P F, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro
VENTIMIGLIA ANTONIO c.f. VNTNTN59T01Z352Z;

- intimato -

Nonché da:
VENTIMIGLIA ANTONIO C.F. VNTNTN59T01Z352Z, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. ANTONELLI 4, presso lo studio dell'avvocato T M, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
BILLA A.G. SEDE SECONDARIA IN ITALIA C.F. 94016670260, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA QUINTINO SELLA 41, presso lo studio dell'avvocato M V, rappresentata e difesa dall'avvocato P F, giusta delega in atti;

- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 45/2010 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI, depositata il 05/03/2010 R.G.N. 29/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2013 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l'Avvocato PICCOLO GIUSEPPE per delega P F;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 5.3.2010, la Corte di appello di Cagliari accoglieva per quanto di ragione l'appello proposto dalla Bilia A. G. Sede Secondaria in Italia ed, in parziale riforma della sentenza impugnata - confermata per il resto -, dichiarava non dovuta dalla società appellante la somma di Euro 8040,78 liquidata dal primo giudice a titolo di risarcimento dell'ulteriore danno reclamato da V Antonio. Quest'ultimo aveva chiesto la declaratoria di illegittimità del licenziamento in tronco intimatogli con lettera del 19.2.2005 ed il Tribunale di Cagliari, ritenuto illegittimo il recesso, aveva disposto la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro e condannato la resistente al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento fino alla reintegra, nonché al risarcimento del danno biologico commisurato al 6% a seguito dell'espletata c.t.u.. La Corte del merito, nel confermare la pronunzia quanto all'invalidità del licenziamento ed alle conseguente risarcitorie a questo connesse, rilevava che la conclusione del Tribunale in ordine al difetto di proporzione della sanzione meritava di essere condivisa in quanto ancorata ad una compiuta ricognizione delle complessive emergenze processuali, che avevano evidenziato una intensa attività sindacale del V, non gradita ai vertici aziendali, che avevano posto in essere tentativi volti a limitarne l'impegno;
tentativi culminati anche nella adibizione del lavoratore in via temporanea a mansioni inferiori di ricezione merci, oltre che la coincidenza singolare dell'adozione del trasferimento del predetto da Cagliari ad Oristano con la data di svolgimento di una riunione sindacale che avrebbe dovuto ratificarne la nomina a R.S.A. in seno all'azienda, in tal contesto fattuale inquadrandosi l'episodio poi sfociato nel licenziamento. Peraltro, nell'organico aziendale esisteva altro dipendente inquadrato nel secondo livello come il ricorrente e la lettera di trasferimento recava una filma falsificata della responsabile delle risorse umane che si trovava in Milano, in ordine alla quale era stata fornita una giustificazione non plausibile. Le frasi profferite dal V erano connotate, poi, - secondo il giudice del gravame - da sicuro atteggiamento volgare ed offensivo, ma erano prive del contenuto intimidatorio e minaccioso attribuito loro dal datore di lavoro, in quanto scaturite da una reazione impulsiva dovuta alla difficoltà del momento, aggravata dall'assoluta mancanza del preavviso del provvedimento in conformità a quanto previsto dalla normativa contrattuale, inidonea tuttavia ad ingenerare alcuna concreta efficacia intimidatoria, come dimostrato dalla pacatezza dei toni, confermata dai testi, e dalla natura del tutto ipotetica dell'espressione proferita ("io sono una persona serena, altrimenti li avrei aspettati ad Oristano e gli avrei puntato una pistola in bocca").
Osservava che le ulteriori espressioni ingiuriose ed offensive dal dipendente utilizzate integravano certamente un illecito disciplinare, ponendosi in contrasto con gli obblighi imposti a carico del lavoratore dalla normativa legale e contrattuale, anche se, sul piano della qualificazione giuridica, le stesse non erano tuttavia tali da integrare la nozione legale di giusta causa di recesso di cui all'art. 2119 c.c., non potendo ritenersi decisivi i riferimenti operati alla disciplina collettiva del settore commercio, essendo le relative disposizioni non vincolanti ed essendo la valutazione dalla gravità del fatto da compiersi caso per caso. Il comportamento era stato, invero, determinato da una reazione istintiva ad un provvedimento datoriale che, per le sue modalità di estrinsecazione, ben poteva essere interpretato dal destinatario come finalizzato non a perseguire oggettive esigenze aziendali, ma ad impedirgli di assumere importanti incarichi sindacali. Doveva, pertanto, essere ridimensionata la gravità della condotta, sia per l'insussistenza della portata intimidatoria delle espressioni utilizzate, sia per il profilo psicologico, sì che l'episodio non appariva idoneo a comportare un' irrimediabile lesione del vincolo fiduciario specie nella mancanza di precedenti disciplinari per ben diciassette anni.
La disciplina collettiva là dove contemplava una grave violazione degli obblighi di cui all'art. 146, commi 1 e 2, seconda parte, e con riguardo alla previsione dell'insubordinazione verso i superiori accompagnata dal comportamento oltraggioso neanche era idonea a legittimare il licenziamento disciplinare, sia perché la condotta posta in essere dal V era priva dei requisiti di gravità, sia perché l'insubordinazione presupponeva che si fosse contravvenuto ad un ordine legittimo impartito dal datore di lavoro. Fondata, secondo la Corte territoriale, era, invece, la doglianza della società con la quale si rilevava che il danno costituito dalla lesione all'integrità psicofisica del lavoratore fosse stato causato esclusivamente dall'illegittimità del licenziamento, che rappresentava, invece, un evento rientrante nella dialettica delle relazioni aziendali, potendo solo un licenziamento ingiurioso o persecutorio o vessatorio rendere risarcibile il danno derivatone, con onere della prova relativo a carico del lavoratore. Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, che affida l'impugnazione a due motivi. Resiste, con controricorso, il V che propone ricorso incidentale affidato ad unico motivo, cui resiste, con proprio controricorso, la società. MOTIVI DELLA DECISIONE
Va, preliminarmente, disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'ari 335 c.p.c.. Con il primo motivo, la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c., anche in relazione agli artt. 131, 146, 151 c.c.n.l. Commercio/Terziario (ora rispettivamente artt.
221, 212

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