Cass. civ., sez. V trib., ordinanza 07/12/2021, n. 38771
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la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 15052/2013 R.G. proposto da Agenzia delle Entrate e del Territorio, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;- ricorrente - Ctro S S, rappresentata e difesa dall'Avv. G C, con domicilio in Roma, via della Mercede n. 11, presso lo studio dell'Avv. L R;- controricorrente ricorrente incidentale - avverso la sentenza n. 37/02/12 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia depositata il 23/04/2012. Nonché ci 2. S S, rappresentata e difesa dall'Avv. G C, con domicilio in Roma, via della Mercede n. 11, presso lo studio dell'Avv. L R;- ricorrente successivo - Ctro Agenzia delle Entrate e del Territorio, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;- controricorrente - avverso il provvedimento dell'Agenzia delle entrate di diniego della domanda di definizione agevolata della controversia tributaria oggetto di causa, notificato il 14/7/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre 2021 dal Csigliere O D M;RITENUTO CHE S S impugnava la cartella di pagamento n. 295 2005 00346063 27, notificata il 30/1/2006, recante l'iscrizione a ruolo della imposta di successione, ipotecaria e catastale, oltre sanzioni ed interessi, per 143.304,31 euro, in relazione alla denuncia integrativa di successione presentata il 16/5/2002, a seguito della morte di A S, deceduto il 27/4/1997, che aveva determinato l'emissione, da parte dell'Ufficio, di nuovo avviso di rettifica e liquidazione di maggiori imposte, stante l'accertato diverso valore dei beni compresi nell'asse ereditario. L'adita CTP di Messina accoglieva il ricorso della contribuente, con decisione confermata dalla CTP della Sicilia che, con la sentenza indicata in epigrafe, disattendeva l'appello dell'Agenzia delle entrate, sul rilievo che in pendenza della procedura di liquidazione dell'eredità, apertasi a seguito di accettazione degli eredi con beneficio d'inventario, l'avviso di liquidazione non poteva essere emesso e neppure la successiva cartella di pagamento, in difetto di prova della "esistenza di un residuo attivo sufficiente all'assolvimento del debito d'imposta", essendo "la liquidazione dell'imposta, se ed in quanto dovuta, (...) procrastinata al momento della chiusura della procedura concorsuale". Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate, affidato a due motivi, cui esiste con controricorso e memoria la contribuente, la quale propone ricorso incidentale condizionato. Il giudizio è rimasto sospeso avendo la contribuente depositato istanza ex art. 6, d. I. n. 119 del 2018, per fruire della definizione agevolata delle controversie tributarie. Avverso il provvedimento di diniego la S propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste l'Agenzia delle entrate con controricorso;la ricorrente ha depositato memoria. CONSIDERATO CHELa ricorrente Agenzia delle entrate, con il primo motivo, deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992, e 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, giacché l'Ufficio aveva eccepito sia in primo grado, che in appello, l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, perché proposto avverso la cartella di pagamento non per vizi propri della stessa, questione sulla quale la CTP e la CTR hanno omesso di pronunciarsi, essendo divenuto definitivo, per mancata impugnazione da parte della contribuente, il prodromico avviso di accertamento, e, conseguentemente, non essendo più possibile la proposizione di doglianze riguardanti l' an ed il quantum della pretesa impositiva. C il secondo motivo, deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 31, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 346 del 1990, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacché il Giudice di appello non ha ccnsiderato che l'eredità è stata accettata il 7/5/1997, entro sei mesi dalla morte dello S, l'inventario è stato completato il 18/10/1997, ma la prima dichiarazione di successione è stata presentata soltanto il 18/6/1999, e che la mancata osservanza delle formalità e dei termini stabiliti dalle norme civilistiche (artt. 485, 486, 489 c.c.), comporta che il chiamato all'eredità deve essere considerato erede puro e semplice (art. 470 c.c.), ed è soggetto all'obbligo di presentazione della dichiarazione nel previsto termine semestrale dall'apertura della successione, nella specie, non rispettato, che, dunque, l'emissione della cartella esattoriale è legittima, salvo il diritto del contribuente a procedere al pagamento nei soli limiti dell'attivo ricevuto, in quanto l'accettazione con beneficio d'inventario (art. 490 c.c.) di per sé non fa venire meno la responsabilità patrimoniale dell'erede per i debiti, anche tributari, ma fa solo sorgere il diritto a non risponderne ultra vires, ovverossia al di là del valore dei beni relitti.La ricorrente S, con il primo motivo, deduce violazione del principio del contraddittorio endoprocessuale, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il provvedimento di diniego della definizione agevolata della controversia tributaria, versato in atti, non è stato preceduto da alcun preavviso di rigetto, come sarebbe imposto dagli art. 10 e 10 bis, I. n. 241 del 1990 e dall'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali UE. C il secondo motivo, deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6, d.lgs. n. 119 del 2018, conv. con modific. dalla I. n. 136 del 2018, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacché l'Ufficio ha motivato il diniego sul rilievo che l'atto impugnato non rientra tra quelli previsti dalla definizione agevolata trattandosi di cartella di pagamento emessa a seguito di omessa impugnazione dell'avviso di rettifica e liquidazione dell'imposta complementare di successione, senza considerare che la cartella di pagamento impugnata ha natura di atto impositivo avendo resa edotta la contribuente per la prima volta della pretesa tributaria. In ordine di priorità logico-giuridica, va esaminato per primo il ricorso proposto dalla contribuente avverso il provvedimento di diniego della definizione agevolata della controversia chiesto ai sensi dell'art. 6 del d. I. n. 119 del 2018. Il ricorso è fondato come di seguito precisato. L'articolo 6, co. 12, del d. I. n. 119 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 136 del 2028, prevede che "L'eventuale diniego della definizione va notificato entro il 31 luglio 2020 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel caso in cui la definizione della controversia è richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale può essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest'ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine". L'unico adempimento procedimentale richiesto dalla richiamata disposizione è la formalizzazione del diniego in un provvedimento motivato, che deve essere notificato al contribuente entro un termine perentorio, scaduto il quale la definizione deve ritenersi validamente perfezionata, e non già l'instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale. Le norme richiamate dalla contribuente sul diritto di difesa, quindi, non possono trovare applicazione nella fattispecie in esame e nemmeno si può fondatamente sostenere, contrariamente a quanto esposto dalla contribuente nel primo profilo di censura, che la mancata preventiva attivazione del contraddittorio contrasti con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, atteso che un tale obbligo sussiste soltanto per i tributi armonizzati, non anche per quelli non armonizzati, per i quali non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo vincolo generalizzato, sicché esso ricorre soltanto per le ipotesi per le quali risulti specificamente sancito. Quanto al secondo profilo di censura, alla luce della sentenza n. 18298/2021 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è corretto affermare che è ravvisabile una controversia suscettibile di definizione, ai sensi dell'art. 6, d. I. n. 119 del 2018, conv. dalla I. n. 136 del 2018, quando la cartella di pagamento impugnata costituisce il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente, essendo come tale atto impugnabile, ex art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva. Nella fattispecie in esame, la contribuente ha sempre contestato di aver ricevuto la notifica del prodromico avviso di rettifica e liquidazione dell'imposta complementare di successione emesso dall'Ufficio, atto che assume ricevuto dai soli coeredi, i quali lo avevano fatto oggetto di autonome impugnazioni, e deduce, altresì, che la cartella di pagamento n. 295 2005 00346063 27, di fatto, "ha costituito il primo atto a mezzo del quale la ricorrente è stata resa edotta della pretesa fiscale", donde la natura di vero e proprio atto impositivo definibile ex art. 6 d. I. più volte citato. La circostanza che il predetto avviso di rettifica e liquidazione dell'imposta complementare di successione venne ritualmente notificato alla contribuente, e non tempestivamente impugnato, non è in alcun modo riscontrabile in atti, essendo rimasta alla stregua di mera affermazione di parte. L'esito del giudizio avente ad oggetto altra cartella di pagamento (v. sentenza n. 25150/2016 della Corte emessa anche nei confronti di S S) sebbene afferente la medesima successione ereditaria di A S, appare ininfluente ai fini del decidere, in quanto va considerata la pluralità di denunzie di successione che hanno modificato la base imponibile netta da sottoporre a tassazione nonché il giudizio di congruità del valore dichiarato dei beni costituenti l'asse ereditario intervenuto nel corso della procedura di liquidazione concorsuale dei beni del de cuius. La riscossione delle imposte mediante cartella di pagamento, anche in difetto di previa notifica dell'avviso di accertamento o, come nella specie, dell'avviso di rettifica e liquidazione dell'imposta complementare di successione, non determina alcuna irreversibile compressione del diritto di difesa, stante la possibilità, ai sensi dell'art. 19, co. 3, d.lgs. n. 546 del 1992, di impugnare, unitamente alla cartella di pagamento, anche tutti gli atti presupposti eventualmente non notificati, facendo valere vizi propri di quelli, cosa che la S ha fatto.Ne discende la fondatezza della tesi della contribuente secondo cui la cartella non è più mero atto di natura riscossiva ma (primo) atto di natura sostanzialmente impositiva, con tutte le conseguenze del caso, attesa l'impugnazione cumulativa anche dell'atto presupposto (in tesi non notificato) e la contestazione radicale della pretesa tributaria. Appare opportuno sottolineare che il condono è ammesso solo nei casi in cui l'impugnazione sia stata indirizzata contro le fasi che precedono l'emissione della cartella, ipotesi che qui ricorre proprio perché le contestazioni della contribuente non si limitano ai vizi propri della cartella di pagamento ma si estendono ai vizi di merito della pretesa tributaria, per cui trova piena applicazione il principio affermato dalle Sezioni Unite che innanzi è stato ricordato. La ricorrente ha presentato l'istanza prevista dall'art. 6 del d. I. n. 119 del 2018, con conseguente versamento, mediante mod. F24, o della prima rata prevista per ia definizione agevolata della controversia fiscale. La relativa documentazione non è stata oggetto di contestazione, da parte dell'Agenzia delle Entrate, nel controricorso depositato per sostenere la legittimità del provvedimento di diniego per non condonabilità della lite. Restano, quindi, assorbiti i motivi del ricorso principale presentato dalla Agenzia delle entrate atteso che il processo deve essere dichiarato estinto, ai sensi del d. I. n. 119 del 2018, convertito in I. n. 136 del 2018. Le spese del giudizio vanno interamente compensate tra le parti, per l'intervenuto mutamento giurisprudenziale sulla questione.
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