Cass. pen., sez. I, sentenza 30/12/2022, n. 49713

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 30/12/2022, n. 49713
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 49713
Data del deposito : 30 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MOSCIA GAOLO nato a ROMA il 07/03/1977 avverso l'ordinanza del 31/01/2022 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere F A;
lette le conclusioni del PG. NICOLA LETTIERI che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza indicata nei preambolo il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma - quale giudice della esecuzione - ha respinto l'istanza introdotta da G M, tesa ad ottenere la rideterminazione della pena inflitta con la sentenza emessa in 5 aprile 2013 (irrevocabile il 17 dicembre 2014), con l'esclusione dell'aumento di pena disposto ai sensi dell'art. 99, quarto e quinto, comma cod. proc. pen. in applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 185 dei 2015. A ragione della decisione osserva, riproducendo le argomentazioni già espresse dai giudice della cognizione, che l'avvenuta applicazione della recidiva è del tutto giustificato non solo dalla esistenza di numerosi precedenti penali per reati di significativo allarme sociale, ma anche dalla consumazione dell'ultimo reato in ordine di tempo nei corso dell'esecuzione della pena oggetto di precedente condanna. Tali circostanze, aggiunge, connotano una personalità criminale particolarmente accentuata anche per l'assenza di segnali di resipiscenza.

2. Avverso l'ordinanza M ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - articolando due distinti motivi.

2.1 Con il primo motivo deduce erronea applicazione dell'art. 99, comma 5, cod. pen. in relazione all'art. 666 cod. proc. pen. Evidenzia che il giudice all'esecuzione non ha verificato in concreto, come imposto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 2015 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'automatismo sanzionatorio originariamente previsto dall'art. 99, quinto comma, cod. pen., se la reiterazione dell'illecito costituisca effettivo sintomo di una più accentuata capacità a delinquere dell'autore o della maggiore gravità del reato.

2.2 Con il secondo motivo deduce l'assenza di motivazione del provvedimento impugnato e la sua contraddittorietà. Secondo il ricorrente, il Tribunale, discostandosi dalla consolidata giurisprudenza di legittimità analiticamente richiamata, ha mantenuto l'aumento per la recidiva senza procedere alla necessaria valutazione della gravità dell'illecito commesso e della maggiore attitudine a delinquere, ma attribuendo rilevanza esclusiva alla presenza di precedenti condanne per delitti non colposi

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato, per le ragioni che seguono.

1. Va ricordato in premessa che per- costante ricognizione interpretativa dei sistema processuale, la giurisdizione esecutiva non può essere ritenuta un rimedio COH natura di impugnazione e pertanto eventuali errori applicativi di norme di diritto sostanziale o di procedura, verificatisi in cognizione, non sono deducibili in sede esecutiva, dato che tali - ipotetici - vizi sono rilevabili esclusivamente attraverso l'impugnazione dei provvedimenti che definiscono il grado di giudizio in cognizione (da ultimo Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep.2021, Lovric in motivazione). Le competenze attribuite al giudice della esecuzione - pur ampie - risultano tassativamente predeterminate dal legislatore nell'ambito di un disegno sistematico che prende in esame la ovvia necessità di dirimere dubbi, applicare benefici correlati a norme sopravvenute o risolvere conflitti intersoggettivi insorti nella fase successiva al giudicato (art. 667, art.668, art.672, art.674) e che non 2 033, consente - in via generale - al giudice della fase esecutiva di rilevare vizi dei procedimento o della decisione ma, al più, di integrare la decisione incompleta (art. 675, art.676, art. 183 disp. att. Cod. proc. pen.) o di prendere atto di aspetti non trattati in cognizione ed inerenti il riconoscimento del reato continuato, tra fatti posti a base di più decisioni irrevocabili (art. 671 cod. proc. pen.) Anche le ipotesi di revoca della sentenza per abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma incrirninatrice (art. 673 cod. proc. peri.) sono, di regola, ricollegabili a fatti «sopravvenuti» rispetto alla conclusione del procedimento che ha prodotto il titolo esecutivo, e solo in via eccezionale possono trovare applicazione in caso di non considerazione dell'intervenuto effetto abrogativo da parte del giudice (come precisato da Sez. U. n. 26259 del 29.10.2015, P.M. in proc. Mraidi, Rv 266872 e, più di recente, ribadito da Sez. U., n. 38809 dei 31/03/2022, Miraglia, in motivazione). Quanto al trattamento sanzionatorio, la stessa possibilità, ribadita dalla già citata Sez. U. n. 47766 del 26.6.2015, di rimediare - in sede esecutiva - alla avvenuta determinazione di una «pena illegale» non va letta come ricognizione di un potere ordinario, tale da consentire un sindacato in sede esecutiva in ogni caso di potenziale erroneità di statuizioni e/o argomentazioni concorrenti a determinare la sanzione, ma rappresenta una valvola di sicurezza dei sistema a fronte di un trattamento sanzionatorio elaborato, anche in parte, sulla base di norme dichiarate incostituzionali (ai sensi della legge n. 87 del 1953, art.30 come precisato da Sez. U. n. 42858 del 2014, Gatto) o contrastante con la interpretazione della Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali fornita dalla CEDU (Sez. U. n.18821 del 24.10.2013, Ercolano, Rv 258651) o ancora frutto di «palesi errori giuridici o materiali» commessi dai giudice della cognizione come una sanzione non prevista dall'ordinamento in rapporto al fatto dedotto in giudizio o determinata in modo superiore al massimo edittale, sì da ritenersi abnorme (Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera).
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