Cass. civ., sez. I, ordinanza 17/02/2023, n. 05045
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Testo completo
seguente ORDINANZA sul ricorso n. 26915/2016 proposto da: L V, L G, L N, L A, elettivamente domiciliati in Roma, Via Nizza n. 53, presso lo studio dell'avvocato C V E, rappresentati e difesi dall'avvocato V N per procure speciali estese a margine del ricorso ricorrenti
contro
B D, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Barberini n. 12, presso lo studio dell'avvocato L P G che lo rappresenta e difende, unitamente all'avvocato U P G, per procura speciale estesa in calce al controricorso controricorrente V F e V G, elettivamente domiciliati in Roma, Via Nizza n. 59, presso lo studio dell'avvocato A D A che li rappresenta e difende, unitamente all'avvocato F P R, per procure speciali estese in calce al controricorso controricorrenti B O, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato M B per procura speciale estesa a margine del controricorso controricorrente D s.p.a. (già denominata Deloitte & Touche s.p.a.), in persona del suo amministratore pro tempore dotato dei poteri di rappresentanza, elettivamente domiciliata in Roma, Via Donatello n. 75, presso lo studio dell'avvocato A B che la rappresenta e difende, unitamente agli avvocati M G e A S, per procura speciale estesa in calce al controricorso controricorrente S A, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cassia n. 1110, presso lo studio dell'avvocato V C, rappresentato e difeso dall'avvocato D G per procura speciale estesa a margine del controricorso controricorrente A G, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato M A per procura speciale estesa a margine del controricorso controricorrente D F Francesco, P Mauro intimati avverso la sentenza n. 440/2016 della Corte di appello di Bari, pubblicata il 14 aprile 2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 novembre 2020 dal consigliere Marco Vannucci;
letta la memoria depositata dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Lucio Capasso, che ha concluso chiedendo: la rimessione del procedimento alla pubblica udienza di discussione;
in subordine, il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con citazione del 6 maggio 1998 Vito L, Antonio L, Nicola L e Giuseppe L convennero in giudizio avanti il Tribunale di Bari (per quanto qui ancora interessa) A B, M P, F D F, G A, A S, D B e O B (all'epoca dei fatti controversi, verificatisi nei primi mesi dell'anno 1996, componenti il consiglio di amministrazione della P s.p.a., di cui B era anche amministratore delegato), G V (al tempo direttore generale e responsabile del servizio amministrazione e controllo della P s.p.a.), F V (all'epoca direttore generale e responsabile del servizio finanza e tesoreria della P s.p.a.) e la Deloitte & Touche s.n.c. (oggi D s.p.a.), all'epoca dei fatti avente l'incarico, di fonte contrattuale, di revisione dei bilanci della Par-fin s.p.a.
1.1 Gli attori chiesero che tali convenuti venissero condannati a risarcire, anche col vincolo della solidarietà passiva, il danno patrimoniale di £. 13.428.738.500 loro cagionato dai fatti nell'atto introduttivo descritti.
1.2 In particolare, per effetto di operazione di pronti contro termine dagli attori stipulata con la P s.p.a. il 22 marzo 1996 essi dedussero di avere versato a tale società la sopra citata somma di danaro per l'acquisto di obbligazioni emesse dalla stessa P, convertibili in azioni P, che la società si obbligò a riacquistare, al medesimo prezzo, al più tardi il 21 giugno 1996. Tale obbligazione non venne adempiuta dalla società finanziaria il cui fallimento venne dichiarato il 18 marzo 1997. Gli attori imputarono la mancata restituzione della citata somma di danaro anche a comportamenti antidoverosi, di natura commissiva ovvero omissiva, rispettivamente imputabili ai sopra indicati convenuti.
2. Con sentenza pubblicata 4 aprile 2014 il Tribunale di Bari, in composizione monocratica, rigettò tali domande.
3. Adita dalle parti soccombenti, la Corte di appello di Bari,, con sentenza pubblicata il 14 aprile 2016: accertò la nullità della sentenza resa del Tribunale di Bari perché la relativa decisione (relativa a controversia avente per oggetto azione ex art. 2395 cod. civ.) venne assunta in composizione monocratica anziché collegiale (in violazione dell'art. 50-bis, primo comma, n. 5), cod. proc. civ.);
in accoglimento della domanda dagli appellanti proposta
contro
A B, condannò tale persona a risarcire ai Signori L e L il danno patrimoniale a costoro solidalmente recato dal fatto da questi commesso quale amministratore delegato della P s.p.a., liquidato in C. 6.395.364,64, oltre rivalutazione di tale somma di danaro e interessi in misura legale decorrenti dal 2 giugno 1996;
rigettò la domanda di risarcimento del medesimo danno dai Signori L e L proposta anche nei confronti, rispettivamente, di M P, D B, O B, G A, A S, G V, F V, F D F e della D s.p.a.;
condannò B al pagamento in favore delle parti vittoriose delle spese processuali del giudizio di appello;
condannò i L e i L a rimborsare, col vincolo della solidarietà passiva, a ciascuna delle altre parti costituite le spese processuali da ciascuna di esse rispettivamente anticipate nel giudizio di primo grado e in quello di appello.
3.1 La motivazione della decisione sul merito delle sopra indicate domande può così essere sintetizzata: l'oggetto sociale di P s.p.a. prevedeva che la società avesse a svolgere anche "attività di negoziazione a pronti o a termine per conto proprio o della clientela";con deliberazione assunta 1'11 dicembre 2015 il consiglio di amministrazione di P deliberò l'emissione di prestito obbligazionario di durata quinquennale (rimborsabile fra il 1996 e il 2001), poi approvato all'assemblea straordinaria della società con deliberazione iscritta nel registro delle imprese il 13 marzo 1996 (dopo la sua omologazione decisa dal tribunale il 11 marzo 1996);
dopo che Vito L, si era rivolto, anche in nome e nell'interesse di Antonio L e dei L, ad A B (in quel tempo amministratore delegato di P), e aveva con lui contrattato, i L e i L conclusero con P due operazioni di pronti contro termine;
con la prima, del 20 febbraio 1996, essi acquistarono obbligazioni emesse da tale società della durata di cinque anni convertibili in azioni emesse dalla stessa con opzione di rivendita a un mese (con interessi pari al 9,70%), due mesi (con interessi pari al 9,75%), tre mesi (con interessi pari al 9,80%);
il giorno successivo (22 marzo 1996) a quello del riscatto di tali obbligazioni, avvenuto alla prima scadenza con accredito di quanto ricavato dall'operazione (con valuta del 21 marzo 1996), i L e i L acquistarono altre obbligazioni P della durata di cinque anni convertibili in azioni emesse dalla stessa società con opzione di rivendita a un mese (con interessi pari al 9,80%), due mesi (con interessi pari al 9,85%), tre mesi (con interessi pari al 9,90%);
le due operazioni si desumono da note rispettivamente sottoscritte dagli allora dirigenti di P V e V;
il richiesto riscatto di tali obbligazioni non si verificò in quanto il 18 marzo 1997 venne dichiarato il fallimento dell'obbligata P;
dal contenuto della perizia eseguita in sede penale (acquisita agli atti del processo di primo grado) risulta che l'amministratore unico B, falsificò materialmente "i documenti contabili e addirittura documenti rappresentativi di investimenti finanziari", alterò "i bilanci" e distrasse "mezzi patrimoniali, determinando con il suo comportamento la crisi strutturale dell'impresa emittente, il suo dissesto economico e, conseguentemente, precludendo la restituzione del prestito";
B, quale amministratore delegato di P, concluse con i L e i L la seconda operazione di investimento (quella del 22 marzo 1996) "pur consapevole che la società era incapace di adempiere, atteso che il bilancio alterato della controllata della P, in cui alcune poste erano state da lui alterate (nel portafoglio del Credito commerciale Tirreno non esistevano più titoli esteri perché sostituiti interamente dal "foglio cedole" del BTP 1/11/2023 per un valore al costo di £. 57.502 milioni, in realtà rivelatosi titolo inesistente perché falsificato), la progressiva azione di svuotamento delle società del gruppo..., il fatto che la gestione delle operazioni di pronto contro termine avvenisse, in modo disordinato e disinvolto, con l'utilizzo di disponibilità attinte a vario titolo da terzi investitori o dal sistema bancario, ovvero da conti del gruppo che presentassero evidenze creditorie comunque formatesi";
dal contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni escussi e della documentazione acquisita ("relazioni sindacali" e "relazione di ctu") risulta "che B aveva amplissimi poteri e comunque ha compiuto operazioni spregiudicate senza sottoporle proprio all'approvazione del Cda";
se, dunque, B risponde del danno cagionato agli attori ex art. 2395 cod. civ. in ragione del suo comportamento doloso, dell'evento medesimo non sono responsabili, neppure per colpa, i dirigenti V e V e i componenti il consiglio di amministrazione di P privi di deleghe;
quanto a V e V, "non è stato compiutamente allegato, prima ancora che provato, che essi conoscessero tutti gli illeciti posti in essere da B", essendo emerso "dall'istruttoria espletata" che costoro "non avevano alcuna aul:onomia decisionale rispetto al B e che è stato quest'ultimo a concludere effettivamente per la società le operazioni per cui è giudizio";
quanto agli altri componenti il consiglio di amministrazione, non può configurarsi colpa di costoro nell'avere approvato l'emissione del prestito obbligazionario, dal momento che dall'operazione di riclassificazione del bilancio di P compiuta dal consulente tecnico d'ufficio "risultava una difficoltà di restituzione delle obbligazioni nel breve periodo" e che "tale difficoltà di restituzione non era prevedibile come evento sicuro", posto che "come già rilevato dal giudice di primo grado...il bilancio della P emittente apparentemente non era alterato e la crisi di questa società è stata conseguenza del default della controllata Credito commerciale Tirreno, come causato tuttavia dalle azioni delittuose di B sopra indicate";
non vi è neppure violazione da parte di costoro del precetto contenuto nell'art. 2410 cod. civ. (nel testo al tempo vigente), in quanto dal "bilancio 1995 - preso a base dell'emissione - e dalla relazione a tale bilancio il capitale risulta di £. 120.000.000.000, interamente versato, mentre le obbligazioni da emettere sono state deliberate nell'ammontare di £. 50.000.000.000";
"è stata la contrattazione dell'operazione dei pronti contro termine la condotta lesiva, non certamente la sola emissione delle obbligazioni con scadenza a cinque anni (dal 1996 al 2001) e questa contrattazione è stata decisa...in autonomia dal B, in forza dei suoi poteri;
i direttori, invece, risulta che hanno solo firmato la nota e gli amministratori unicamente assunto la delibera concernente l'emissione delle obbligazioni rimborsabili a cinque anni;
l'investimento, andato a buon fine una volta, è stato rinnovato dagli atti nel giro di 24 ore, pertanto, non è esigibile che fosse oggetto di verifica, controllo ed eventuale blocco da parte del Cda";
in definitiva, in funzione della decisione sull'azione di cui all'art. 2395 cod. civ., "il doloso comportamento dell'amministratore delegato si è certamente inserito nella conseguenzialità causale degli avvenimenti in modo assolutamente preponderante e, in quanto non rilevabile dagli altri soggetti amministratori qui convenuti in giudizio, ha interrotto ogni nesso causale tra questi ultimi e gli eventi dannosi";
del pari da escludere è la responsabilità della società di revisione (D s.p.a.): quanto all'approvazione del bilancio di P relativo all'esercizio 1994, è "ragionevole ritenere" che tale bilancio "non sia stato utilizzato dagli appellanti per valutare le condizioni di solvibilità della Società ben quattordici mesi dopo la chiusura del relativo esercizio e, comunque, manca del tutto la prova di un nesso causale tra la determinazione dell'investimento e la revisione eseguita";
essendo oltretutto l'attività di revisione non finalizzata "alla scoperta di eventuali frodi e trova ovviamente un limite nella riconoscibilità dei fatti secondo la diligenza media, non potendosi ritenere che il revisore sia tenuto ad andare oltre le carte, accertando l'esistenza di fatti non
contro
B D, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Barberini n. 12, presso lo studio dell'avvocato L P G che lo rappresenta e difende, unitamente all'avvocato U P G, per procura speciale estesa in calce al controricorso controricorrente V F e V G, elettivamente domiciliati in Roma, Via Nizza n. 59, presso lo studio dell'avvocato A D A che li rappresenta e difende, unitamente all'avvocato F P R, per procure speciali estese in calce al controricorso controricorrenti B O, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato M B per procura speciale estesa a margine del controricorso controricorrente D s.p.a. (già denominata Deloitte & Touche s.p.a.), in persona del suo amministratore pro tempore dotato dei poteri di rappresentanza, elettivamente domiciliata in Roma, Via Donatello n. 75, presso lo studio dell'avvocato A B che la rappresenta e difende, unitamente agli avvocati M G e A S, per procura speciale estesa in calce al controricorso controricorrente S A, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cassia n. 1110, presso lo studio dell'avvocato V C, rappresentato e difeso dall'avvocato D G per procura speciale estesa a margine del controricorso controricorrente A G, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall'avvocato M A per procura speciale estesa a margine del controricorso controricorrente D F Francesco, P Mauro intimati avverso la sentenza n. 440/2016 della Corte di appello di Bari, pubblicata il 14 aprile 2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 novembre 2020 dal consigliere Marco Vannucci;
letta la memoria depositata dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Lucio Capasso, che ha concluso chiedendo: la rimessione del procedimento alla pubblica udienza di discussione;
in subordine, il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con citazione del 6 maggio 1998 Vito L, Antonio L, Nicola L e Giuseppe L convennero in giudizio avanti il Tribunale di Bari (per quanto qui ancora interessa) A B, M P, F D F, G A, A S, D B e O B (all'epoca dei fatti controversi, verificatisi nei primi mesi dell'anno 1996, componenti il consiglio di amministrazione della P s.p.a., di cui B era anche amministratore delegato), G V (al tempo direttore generale e responsabile del servizio amministrazione e controllo della P s.p.a.), F V (all'epoca direttore generale e responsabile del servizio finanza e tesoreria della P s.p.a.) e la Deloitte & Touche s.n.c. (oggi D s.p.a.), all'epoca dei fatti avente l'incarico, di fonte contrattuale, di revisione dei bilanci della Par-fin s.p.a.
1.1 Gli attori chiesero che tali convenuti venissero condannati a risarcire, anche col vincolo della solidarietà passiva, il danno patrimoniale di £. 13.428.738.500 loro cagionato dai fatti nell'atto introduttivo descritti.
1.2 In particolare, per effetto di operazione di pronti contro termine dagli attori stipulata con la P s.p.a. il 22 marzo 1996 essi dedussero di avere versato a tale società la sopra citata somma di danaro per l'acquisto di obbligazioni emesse dalla stessa P, convertibili in azioni P, che la società si obbligò a riacquistare, al medesimo prezzo, al più tardi il 21 giugno 1996. Tale obbligazione non venne adempiuta dalla società finanziaria il cui fallimento venne dichiarato il 18 marzo 1997. Gli attori imputarono la mancata restituzione della citata somma di danaro anche a comportamenti antidoverosi, di natura commissiva ovvero omissiva, rispettivamente imputabili ai sopra indicati convenuti.
2. Con sentenza pubblicata 4 aprile 2014 il Tribunale di Bari, in composizione monocratica, rigettò tali domande.
3. Adita dalle parti soccombenti, la Corte di appello di Bari,, con sentenza pubblicata il 14 aprile 2016: accertò la nullità della sentenza resa del Tribunale di Bari perché la relativa decisione (relativa a controversia avente per oggetto azione ex art. 2395 cod. civ.) venne assunta in composizione monocratica anziché collegiale (in violazione dell'art. 50-bis, primo comma, n. 5), cod. proc. civ.);
in accoglimento della domanda dagli appellanti proposta
contro
A B, condannò tale persona a risarcire ai Signori L e L il danno patrimoniale a costoro solidalmente recato dal fatto da questi commesso quale amministratore delegato della P s.p.a., liquidato in C. 6.395.364,64, oltre rivalutazione di tale somma di danaro e interessi in misura legale decorrenti dal 2 giugno 1996;
rigettò la domanda di risarcimento del medesimo danno dai Signori L e L proposta anche nei confronti, rispettivamente, di M P, D B, O B, G A, A S, G V, F V, F D F e della D s.p.a.;
condannò B al pagamento in favore delle parti vittoriose delle spese processuali del giudizio di appello;
condannò i L e i L a rimborsare, col vincolo della solidarietà passiva, a ciascuna delle altre parti costituite le spese processuali da ciascuna di esse rispettivamente anticipate nel giudizio di primo grado e in quello di appello.
3.1 La motivazione della decisione sul merito delle sopra indicate domande può così essere sintetizzata: l'oggetto sociale di P s.p.a. prevedeva che la società avesse a svolgere anche "attività di negoziazione a pronti o a termine per conto proprio o della clientela";con deliberazione assunta 1'11 dicembre 2015 il consiglio di amministrazione di P deliberò l'emissione di prestito obbligazionario di durata quinquennale (rimborsabile fra il 1996 e il 2001), poi approvato all'assemblea straordinaria della società con deliberazione iscritta nel registro delle imprese il 13 marzo 1996 (dopo la sua omologazione decisa dal tribunale il 11 marzo 1996);
dopo che Vito L, si era rivolto, anche in nome e nell'interesse di Antonio L e dei L, ad A B (in quel tempo amministratore delegato di P), e aveva con lui contrattato, i L e i L conclusero con P due operazioni di pronti contro termine;
con la prima, del 20 febbraio 1996, essi acquistarono obbligazioni emesse da tale società della durata di cinque anni convertibili in azioni emesse dalla stessa con opzione di rivendita a un mese (con interessi pari al 9,70%), due mesi (con interessi pari al 9,75%), tre mesi (con interessi pari al 9,80%);
il giorno successivo (22 marzo 1996) a quello del riscatto di tali obbligazioni, avvenuto alla prima scadenza con accredito di quanto ricavato dall'operazione (con valuta del 21 marzo 1996), i L e i L acquistarono altre obbligazioni P della durata di cinque anni convertibili in azioni emesse dalla stessa società con opzione di rivendita a un mese (con interessi pari al 9,80%), due mesi (con interessi pari al 9,85%), tre mesi (con interessi pari al 9,90%);
le due operazioni si desumono da note rispettivamente sottoscritte dagli allora dirigenti di P V e V;
il richiesto riscatto di tali obbligazioni non si verificò in quanto il 18 marzo 1997 venne dichiarato il fallimento dell'obbligata P;
dal contenuto della perizia eseguita in sede penale (acquisita agli atti del processo di primo grado) risulta che l'amministratore unico B, falsificò materialmente "i documenti contabili e addirittura documenti rappresentativi di investimenti finanziari", alterò "i bilanci" e distrasse "mezzi patrimoniali, determinando con il suo comportamento la crisi strutturale dell'impresa emittente, il suo dissesto economico e, conseguentemente, precludendo la restituzione del prestito";
B, quale amministratore delegato di P, concluse con i L e i L la seconda operazione di investimento (quella del 22 marzo 1996) "pur consapevole che la società era incapace di adempiere, atteso che il bilancio alterato della controllata della P, in cui alcune poste erano state da lui alterate (nel portafoglio del Credito commerciale Tirreno non esistevano più titoli esteri perché sostituiti interamente dal "foglio cedole" del BTP 1/11/2023 per un valore al costo di £. 57.502 milioni, in realtà rivelatosi titolo inesistente perché falsificato), la progressiva azione di svuotamento delle società del gruppo..., il fatto che la gestione delle operazioni di pronto contro termine avvenisse, in modo disordinato e disinvolto, con l'utilizzo di disponibilità attinte a vario titolo da terzi investitori o dal sistema bancario, ovvero da conti del gruppo che presentassero evidenze creditorie comunque formatesi";
dal contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni escussi e della documentazione acquisita ("relazioni sindacali" e "relazione di ctu") risulta "che B aveva amplissimi poteri e comunque ha compiuto operazioni spregiudicate senza sottoporle proprio all'approvazione del Cda";
se, dunque, B risponde del danno cagionato agli attori ex art. 2395 cod. civ. in ragione del suo comportamento doloso, dell'evento medesimo non sono responsabili, neppure per colpa, i dirigenti V e V e i componenti il consiglio di amministrazione di P privi di deleghe;
quanto a V e V, "non è stato compiutamente allegato, prima ancora che provato, che essi conoscessero tutti gli illeciti posti in essere da B", essendo emerso "dall'istruttoria espletata" che costoro "non avevano alcuna aul:onomia decisionale rispetto al B e che è stato quest'ultimo a concludere effettivamente per la società le operazioni per cui è giudizio";
quanto agli altri componenti il consiglio di amministrazione, non può configurarsi colpa di costoro nell'avere approvato l'emissione del prestito obbligazionario, dal momento che dall'operazione di riclassificazione del bilancio di P compiuta dal consulente tecnico d'ufficio "risultava una difficoltà di restituzione delle obbligazioni nel breve periodo" e che "tale difficoltà di restituzione non era prevedibile come evento sicuro", posto che "come già rilevato dal giudice di primo grado...il bilancio della P emittente apparentemente non era alterato e la crisi di questa società è stata conseguenza del default della controllata Credito commerciale Tirreno, come causato tuttavia dalle azioni delittuose di B sopra indicate";
non vi è neppure violazione da parte di costoro del precetto contenuto nell'art. 2410 cod. civ. (nel testo al tempo vigente), in quanto dal "bilancio 1995 - preso a base dell'emissione - e dalla relazione a tale bilancio il capitale risulta di £. 120.000.000.000, interamente versato, mentre le obbligazioni da emettere sono state deliberate nell'ammontare di £. 50.000.000.000";
"è stata la contrattazione dell'operazione dei pronti contro termine la condotta lesiva, non certamente la sola emissione delle obbligazioni con scadenza a cinque anni (dal 1996 al 2001) e questa contrattazione è stata decisa...in autonomia dal B, in forza dei suoi poteri;
i direttori, invece, risulta che hanno solo firmato la nota e gli amministratori unicamente assunto la delibera concernente l'emissione delle obbligazioni rimborsabili a cinque anni;
l'investimento, andato a buon fine una volta, è stato rinnovato dagli atti nel giro di 24 ore, pertanto, non è esigibile che fosse oggetto di verifica, controllo ed eventuale blocco da parte del Cda";
in definitiva, in funzione della decisione sull'azione di cui all'art. 2395 cod. civ., "il doloso comportamento dell'amministratore delegato si è certamente inserito nella conseguenzialità causale degli avvenimenti in modo assolutamente preponderante e, in quanto non rilevabile dagli altri soggetti amministratori qui convenuti in giudizio, ha interrotto ogni nesso causale tra questi ultimi e gli eventi dannosi";
del pari da escludere è la responsabilità della società di revisione (D s.p.a.): quanto all'approvazione del bilancio di P relativo all'esercizio 1994, è "ragionevole ritenere" che tale bilancio "non sia stato utilizzato dagli appellanti per valutare le condizioni di solvibilità della Società ben quattordici mesi dopo la chiusura del relativo esercizio e, comunque, manca del tutto la prova di un nesso causale tra la determinazione dell'investimento e la revisione eseguita";
essendo oltretutto l'attività di revisione non finalizzata "alla scoperta di eventuali frodi e trova ovviamente un limite nella riconoscibilità dei fatti secondo la diligenza media, non potendosi ritenere che il revisore sia tenuto ad andare oltre le carte, accertando l'esistenza di fatti non
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