Cass. civ., sez. V trib., sentenza 07/09/2018, n. 21824
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
L'Agenzia delle Entrate notificava alla I. P. s.r.l. distinti avvisi di accertamento relativi ai periodi di imposta 1.12.1999-30/11/2000, 1.12.00-30.11.2001, 1.12.2001-30.11.2002, 1.12.02-30.11.2003, 1.12.2003-30.11.2004, 1.12.2004-30.11.2005, 1.12.2005-30.11.2006 ed alla I.H. s.r.l., società consolidante del Gruppo I. , avviso di accertamento relativo al periodo d'imposta 2004-2005, tutti scaturenti dalla medesima verifica fiscale, conclusasi con la redazione del processo verbale di constatazione del 5.10.2005, con il quale si contestava:
a) la elusività, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37- bis, delle operazioni di acquisto e di successiva incorporazione da parte di I. CP (all'epoca denominata N.L. s.r.l.) delle società E. s.r.l. e E. 2 s.r.l. e quindi la indeducibilità delle quote di ammortamento inerenti al disavanzo di fusione iscritto a bilancio nella voce "avviamento";
b) la omessa contabilizzazione di royalties infragruppo conseguenti alla concessione in uso gratuito di marchi alla società capogruppo statunitense;
c) la indebita deduzione (per alcuni anni d'imposta) di spese di rappresentanza.
In particolare, i verificatori avevano accertato che nel 1998 il Gruppo I. (facente capo alla società statunitense Tw. Inc.) aveva acquistato, tramite la I. F. s.p.a., due società, la E. s.r.l. e la "E. 2 s.r.l." e che nel 2000 la F. s.p.a. aveva trasferito la proprietà delle società acquistate ad altra società del Gruppo, la N.L. s.r.l. - che era stata costituita nel maggio 2007 ed era rimasta inattiva fino al 2000 - la quale, nello stesso anno, aveva incorporato le medesime società e, a seguito della fusione, aveva variato denominazione in "I. P. Italy s.r.l.".
Nel processo verbale di constatazione si evidenziava che "la fusione era avvenuta con annullamento, senza sostituzione, di tutte le quote costituenti l'intero capitale delle società incorporate, in quanto la incorporante N.L. s.r.l., alla data di stipula dell'atto, controllava direttamente il 100% della E. s.r.l., la quale controllava direttamente il 100% della E. 2 s.r.l....", e che la I. P. Italy s.r.l. (già N.L. s.r.l.), risultante dalla fusione, per effetto dell'annullamento del valore delle partecipazioni, aveva allocato il disavanzo di fusione, pari a complessive Lire 41.335.220.840, alla voce "avviamento", procedendo, ai fini fiscali, alla deduzione dell'importo dell'intero disavanzo di fusione in dieci quote costanti a titolo di ammortamento.
L'Ufficio, ritenendo insussistenti valide ragioni economiche a fondamento della scelta che aveva portato ad effettuare le operazioni di riorganizzazione societaria conclusesi con la fusione, contestava che l'operazione di riorganizzazione societaria realizzata era volta unicamente all'ottenimento di un vantaggio fiscale.
Con autonomi ricorsi gli avvisi venivano impugnati dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, la quale, con distinte sentenze, li accoglieva relativamente ai rilievi concernenti il recupero a tassazione delle quote di ammortamento e dei componenti positivi di reddito derivanti dalla concessione in uso di marchi, respingendoli con riguardo alle spese di rappresentanza.
In esito agli appelli, la Agenzia delle Entrate ha proposto cinque distinti ricorsi per cassazione avverso le sentenze di secondo grado limitatamente alle statuizioni ad essa sfavorevoli.
Motivi della decisione
1. In via preliminare va disposta la riunione al ricorso iscritto al n. 22492/2011 R.G. di quelli recanti nn. 23116/2011 R.G., 23186/2011 R.G., 22321/14 R.G. e 2826/15 R.G., per evidente connessione oggettiva e soggettiva, trattandosi di ricorsi che - sebbene relativi a cinque diverse decisioni di merito - scaturiscono dalla medesima verifica fiscale e presuppongono, per quanto si dirà, l'applicazione dei medesimi principi di diritto in una medesima fattispecie impositiva.
2. Ricorso n. 22492/2011 R.G. La Agenzia delle Entrate propone quattro motivi per la cassazione della sentenza n. 40 del 29 marzo 2011 con la quale la Commissione tributaria regionale del Veneto, a conferma della decisione di primo grado, richiamando i principi enunciati da questa Corte con la sentenza n. 1372 del 21/1/2011, ha ritenuto illegittimi gli avvisi di accertamento relativi al periodo d'imposta 1/12/2003-30/11/2004 ed inapplicabili alla fattispecie in esame le disposizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37- bis.
In particolare, i giudici di appello hanno motivato che non possa contestarsi alla società ricorrente una scelta imprenditoriale che, pur rispondendo a ragioni economiche reali, comporta un minor carico fiscale ed hanno ritenuto priva di riscontro probatorio la contestata cessione gratuita dei marchi e deducibili, quali spese di rappresentanza, i costi sostenuti per l'acquisto di orologi, telefonini e giubbotti destinati ai clienti della società.
Resiste la contribuente con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..
2.1. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo, costituito dalla mancanza di valide ragioni economiche a fondamento della operazione di fusione, da cui è stato originato il disavanzo di fusione.
Lamenta che la operazione complessiva di fusione è stata ritenuta dai giudici di appello rispondente a "ragioni economiche reali", sebbene il risultato conseguito abbia comportato una notevole riduzione del carico fiscale, e che le argomentazioni dei giudici regionali non tengono conto del contesto fattuale delineato dall'Amministrazione, nè degli elementi su cui si fonda l'ipotesi elusiva descritta nell'atto impositivo.
Ritrascrivendo uno stralcio dell'avviso impugnato, l'Agenzia delle Entrate ha nuovamente ribadito che:
a) l'acquisto della partecipazione totalitaria nelle E. s.r.l. da parte della N.L. s.r.l. nel marzo 2000 non era supportata da valide esigenze economiche, atteso che al momento della compravendita la società acquirente era priva di mezzi finanziari per il sostenimento del costo di acquisto, tanto che l'acquisto della partecipazione aveva determinato la insorgenza di un rilevante debito per effetto del quale la società aveva dovuto sostenere i relativi interessi passivi;
b) l'acquisto della partecipazione non era necessario per l'ottenimento del nuovo assetto organizzativo del gruppo, in quanto il medesimo risultato si sarebbe potuto ottenere trasferendo la partecipazione totalitaria nella E. s.r.l. dalla I. F. s.p.a. direttamente alla C. s.r.l. (società che aveva incorporato la N.L. s.r.l.) e operando contemporaneamente o in un momento successivo la fusione tra E. s.r.l. ed E. 2 s.r.l.;
c) l'inclusione della N.L. s.r.l. nell'operazione di fusione tra le società E. s.r.l. ed E. 2 s.r.l. non era giustificata dalla necessità di ridurre il numero delle società esistenti nell'ambito del gruppo;
d) la N.L. s.r.l., essendo inattiva, avrebbe potuto essere posta in liquidazione;
e) la necessità di ridurre il numero delle società all'interno del gruppo, evidenziata nel verbale del consiglio di amministrazione della E. s.r.l. del 5/5/2000, contrastava con quanto avvenuto nello stesso anno, atteso che in data 18/10/2000 era stata costituita una nuova società, denominata I. A. s.r.l., controllata al 100% dalla I.H. s.r.l..
Ad avviso della ricorrente, pertanto, i giudici di appello hanno operato una ricostruzione dell'operazione che valorizza le esigenze di riduzione di costi e di recupero di efficienza fatte valere dalla contribuente, tralasciando di valutare circostanze molto più significative evidenziate nell'atto impositivo e richiamate con i motivi di appello, rendendo in tal modo una motivazione incompleta ed inadeguata.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 358 del 1997, artt. 1 e 6, applicabile ratione temporis, nella parte in cui i giudici di secondo grado hanno dato rilevanza alla circostanza che "i soci delle due società E. hanno corrisposto l'imposta sostitutiva sulle plusvalenze", senza tenere conto che la contribuente non poteva beneficiare della previsione, dettata dal citato art. 6, di opponibilità ai fini fiscali dei maggiori valori iscritti in bilancio per effetto della imputazione del disavanzo derivante da fusione, essendo pacifico in causa che ad avvalersi del pagamento dell'imposta sostitutiva non era stata la contribuente I. CP, bensì gli originari soci della E. s.r.l. e la Fastex, ossia distinti soggetti.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente - deducendo omissione di pronuncia per violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione al n. 4 dell'art. 360 c.p.c., comma 1 - evidenzia che la C.T.R. non si è pronunciata sul motivo di gravame, formulato dall'Ufficio avverso la sentenza di primo grado, con il quale era stato dedotto che l'affrancamento del disavanzo di fusione previsto dal D.L. n. 358 del 1997, non precludeva l'applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37- bis.
2.4. Con il quarto motivo l'Agenzia delle Entrate deduce insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo con riferimento al secondo dei recuperi contestati con gli avvisi di accertamento.
Premettendo che all'esito della verifica fiscale l'Amministrazione aveva rilevato che la I. CP riconosceva mensilmente alla I.H. s.r.l., controllante indiretta, royalties, ossia canoni per l'utilizzo di beni immateriali, sulla base di un contratto di sublicenza, avente decorrenza dal 1 febbraio 2001, denominato "sublicense agreement" (contratto di sublicenza) ed intercorrente tra la società verificata (sublicenziataria) e la I.H. s.r.l. (concedente in sublicenza), concernente la concessione in uso di marchi di proprietà della stessa I. CP, sostiene che dai controlli effettuati è emerso che, in dipendenza di tale contratto, la sub-licenziataria ha concesso gratuitamente in licenza marchi di sua proprietà alla capogruppo statunitense I. , omettendo di rilevare componenti positivi di reddito, secondo quanto disposto dall'art. 110, comma 7, del T.U.I.R. e di fatturare le prestazioni ritenute imponibili ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3.
I giudici di merito, secondo la prospettazione della ricorrente, hanno erroneamente ritenuto la mancanza di prova della cessione dei marchi da parte della società contribuente, fondando il proprio convincimento esclusivamente sulla terminologia usata nel contratto di sub-licenza e sulla interpretazione del paragrafo 9.1. del medesimo contratto, con la conseguenza che la pronuncia sarebbe viziata da carente motivazione, poichè non avrebbe preso in esame l'aspetto centrale della questione di fatto, ossia la coincidenza, in capo ad uno stesso soggetto (ossia la contribuente), della qualità di titolare dei marchi e di avente diritto, a titolo oneroso, al loro utilizzo.