Cass. pen., sez. I, sentenza 16/02/2023, n. 06609

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 16/02/2023, n. 06609
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 06609
Data del deposito : 16 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: DISTANTE GIOVANNI nato a LATIANO il 11/03/1963 avverso la sentenza del 09/07/2021 della CORTE APPELLO di LECCEvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere D F;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore F Z che ha concluso chiedendo ic 0 1 6- &Tre OF-i re-c2sc

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. G D ricorre contro la sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce con la quale è stato condannato alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione e 1400 euro di multa, dopo aver riqualificato l'originaria imputazione di cui all'art. 697 cod. pen. in quella di cui all'artt. 2 e 7, legge 2 ottobre 1967 n. 895, per la detenzione in data 24.5.2015 di un fucile a pompa cal. 12, di una pistola cal. 7,65 e di sette cartucce cal. 12 per fucile, così riformando, su appello del Procuratore della Repubblica la sentenza in primo grado del Tribunale di Brindisi che aveva dichiarato estinto per oblazione la contravvenzione originariamente contestata.

2.1. Col primo motivo, denuncia il ricorrente che il Pubblico ministero non aveva interesse all'impugnazione in appello, così come aveva concluso il Procuratore generale nel processo di appello, atteso che l'oblazione era intervenuta senza che il pubblico ministero avesse mai mutato la contestazione nel processo, mentre, dopo il corretto controllo del giudice, erano seguiti il provvedimento di ammissione all'oblazione e il pagamento della relativa somma da parte dell'imputato, sicché l'ufficio del pubblico ministero, che nulla aveva osservato sulla richiesta di ammissione all'oblazione avanzata dall'imputato, non poteva dolersi con l'appello dell'errata qualificazione giuridica del fatto, perché poteva modificare l'imputazione soltanto con gli strumenti dell'art. 516 e ss. cod. proc. pen. A tale approdo ermeneutico il ricorrente giunge argomentando sulla base della giurisprudenza di legittimità (Sez. U. n. 20214 del 27/03/2014, Frija, Rv. 259076) che consentirebbe l'applicazione del beneficio anche se il giudice non aveva dato una qualificazione che consentiva l'oblazione, con l'onere però (ex art. 141 disp. att. cod. proc. pen.) di presentare apposita istanza di ammissione all'oblazione, in difetto di apposita istanza;
il diritto a fruire di tale causa estintiva resta precluso invece se il giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, provveda di ufficio a dare una qualificazione che avrebbe impedito l'oblazione. Sicché, seguendo lo stesso ordine di idee, se egli non avesse formulato simile istanza, non potrebbe chiederlo con l'appello, perché difetterebbe di interesse concreto «dal momento che l'alternativa alla sentenza di condanna, vale a dire l'oblazione, non sarebbe neppure astrattamente ipotizzabile per l'assenza del presupposto essenziale costituito dall'istanza dell'imputato». Costituirebbe una violazione del principio costituzionale di parità di trattamento e del giusto processo, in definitiva, consentire al pubblico ministero l'impugnazione sulla qualificazione dopo l'ammissione all'oblazione.

2.2. Il motivo è infondato, perché ai sensi dell'art. 570 cod. proc. pen. il Pubblico Ministero può sempre impugnare la sentenza di primo grado per la corretta qualificazione del fatto ai fini dell'applicazione della legge penale, indipendentemente dalle conclusioni del rappresentante del pubblico ministero nel giudizio. Nemmeno l'art. 141 disp. att. cod. proc. pen. pone alcuna preclusione al pubblico ministero di impugnare la sentenza pronunciata all'esito dell'ammissione all'oblazione. Correttamente la Corte leccese ha evidenziato che il combinato disposto degli artt. 570 e 593 cod. proc. pen., nella versione previgente rispetto alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 11/2018, consentivano al pubblico ministero di appellare la sentenza di proscioglimento rese in dibattimento senza alcun limite, essendo venuto meno quello apposto dalla legge del 20 febbraio 2006 n. 46 per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 26 del 2007. D'altro canto come in modo ineccepibile ha argomentato la corte territoriale, a pag. 4 della sentenza impugnata, l'ademptnicélt, dell'obbligo pecuniario a seguito dell'ammissione dell'oblazione in difetto delle condizioni previste salla legge non determina l'immediata estinzione del reato (Sez. 1, n. 23513 del 12/04/2019). Quando il giudice chiamato ad emettere la pronunzia richiesta riscontri che non sussistono le condizioni previste dalla legge perché sia dichiarato l'effetto estintivo, l'erroneità dell'atto di ammissione all'oblazione non può costituire, come è naturale, un vincolo estrinseco e formale all'esercizio della funzione ontologicamente propria dell'atto decisorio, afferente alla verifica in ordine alla legalità della sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato per oblazione.
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