Cass. pen., sez. II, sentenza 28/05/2018, n. 23887

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. II, sentenza 28/05/2018, n. 23887
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23887
Data del deposito : 28 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

to la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: VACCHI MARIA nato il 21/02/1969 a PERMO avverso la sentenza del 14/10/2016 della CORTE APPELLO di PERMOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere

GIOVANNI ARIOLLI

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ELISABETTA CENICCOLA che ha concluso per l'annullamento per quanto riguarda la prescrizione del reato e/o rigetto nel resto del ricorso Udito il difensore, il quale insiste nell'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14/10/2016 la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia emessa il 15/06/2015 dal Tribunale della medesima città che aveva condannato V M alla pena di mesi quattro di reclusione ed C 200,00 di multa in ordine al delitto di truffa, così diversamente qualificata l'imputazione di ricettazione, riteneva corretta l'originaria contestazione di cui all'art. 648 cod. pen., confermando la decisione nel resto.

2. Avverso la predetta sentenza ricorre per cassazione il difensore nell'interesse dell'imputata, chiedendone l'annullamento.

2.1. Con il primo motivo, deduce la violazione di legge con riferimento agli artt. 597 e 605 cod. proc. pen., 648 cod. pen. e 6 CEDU, per avere la Corte territoriale erroneamente riqualificato il fatto nel delitto di ricettazione, ritenendo che la ricorrente, prima di compiere l'operazione di riscatto delle polizze di pegno di proprietà di B A, avesse dovuto necessariamente riceverle, al fine di trarne profitto (pag. 3 della sentenza) e che quindi si fosse consumata dapprima la condotta prevista dall'art. 648 cod. pen. e, solo successivamente, quella di riscatto. Invero, tale argomentazione sarebbe erronea e contraddittoria con quanto poi indicato in sentenza (pag. 5) con riguardo al rapporto intercorrente tra l'imputata e la persona offesa (che è padre del compagno della Vacchi) ed in ordine al fatto che questi avessero trascorso insieme, unitamente ad altri parenti, la giornata di festa antecedente al riscatto delle polizze, secondo quanto emerso dall'istruttoria dibattimentale (allega il verbale dell'udienza del 10/6/2014). Elementi, questi, che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare e dai quali emergerebbe la partecipazione, anche solo morale, della ricorrente nel delitto presupposto (per essersi questa impossessata delle polizze o partecipato anche solo moralmente all'apprensione di esse), con conseguente esclusione della configurabilità a suo carico del delitto di ricettazione, come ritenuto dal giudice di primo grado. La Corte territoriale, nel riqualificare il fatto, avrebbe quindi travisato le emergenze processuali indicate e violato il principio dell'in dubio pro reo, secondo cui nel caso di dubbio se l'imputato abbia partecipato al delitto di ricettazione o a quello ad essa presupposto, questi deve essere condannato per il reato meno grave. Evidenzia inoltre come nel giudizio di gravame non fosse stato acquisito alcun elemento di prova al fine di determinare l'aggravamento della qualificazione giuridica del fatto, non essendo stata chiesta alcuna integrazione probatoria e, soprattutto, in assenza di impugnazione del pubblico ministero. Lamenta, infine, la violazione dell'art. 6 della Cedu, per la mancata prevedibilità della riqualificazione del fatto in appello in una fattispecie incriminatrice più grave e della quale difettavano comunque gli elementi costitutivi, anche alla luce delle acquisizioni probatorie suindicate, circa la vicinanza tra la persona offesa e l'imputata.

2.2. Con il secondo motivo, nel richiamare le argomentazioni sviluppate nel paragrafo che precede, deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all'art. 648 cod. pen, per avere la Corte territoriale basato il giudizio di colpevolezza su un percorso logico-giuridico illogico, contraddittorio, manifestamente infondato. Invero, i giudici di seconde cure avrebbero omesso di effettuare un vaglio critico della sentenza di primo grado e di pronunciarsi in ordine ai vizi di cui essa era inficiata, dovuti all'erronea interpretazione delle emergenze probatorie, secondo quanto dedotto dalla difesa. In particolare, la Corte appello avrebbe dovuto verificare se l'imputata fosse stata responsabile della riscossione di due polizze di cui la persona offesa era titolare, alla luce delle risultanze probatorie e delle censure difensive;
la Corte d'appello, invece, nel recepire acriticamente il costrutto accusatorio e senza rapportarsi alle doglianze sviluppate nell'atto di gravame, ha desunto la responsabilità della ricorrente dalla comparazione della carta di identità prodotta al Credito Siciliano [ove le polizze erano riscosse] e del cartellino anagrafico del Comune di Partinico dell'imputata, acquisiti in copia, che presentavano medesimi dati e firme. Tale argomentazione sarebbe priva di pregio rispetto a quanto emerso dal dibattimento in ordine ai legami tra l'imputata e la persona offesa, nonché illogica ed autoreferenziale. La Corte territoriale non avrebbe inoltre così fornito riscontro al rilievo difensivo con cui si era censurata la mancanza di prove della partecipazione della ricorrente [alla riscossione delle polizze] e che la presenza di una copia del documento di identità presso l'istituto di credito de quo non potesse automaticamente determinare un giudizio di responsabilità a carico dell'imputata. Ciò, anche considerato che non era stata dimostrata l'esistenza di una ricevuta dell'operazione economica riportante l'autografia della ricorrente, risultando agli atti esclusivamente gli estratti informatici del Credito Siciliano relativi alle polizze di pegno oggetto di denuncia, in cui è indicato, fra l'altro, il nominativo della Vacchi, ma che sono prive di sottoscrizione. La ricorrente passa poi in rassegna talune delle emergenze probatorie che renderebbero indimostrata la presenza dell'imputata presso l'istituto di credito (la Vacchi e la persona offesa si frequentavano spesso ed avevano trascorso insieme il giorno antecedente alla riscossione delle polizze;
l'imputata sarebbe venuta a conoscenza dell'esistenza di tali documenti solo il 14/12/2011, allorquando la persona offesa dava comunicazione al figlio del loro intervenuto smarrimento;
il giorno dei fatti oggetto di contestazione l'imputata si trovava con il proprio compagno presso la propria abitazione ad accudire la figlia ammalata;
allega le trascrizioni dell'udienza dell'8/04/2014 e del 10/06/2014). Ciò posto, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente motivato sui profili oggetto di contestazione, sarebbe incorsa in automatismi motivazionali e avrebbe addotto una motivazione illogica ed apparente, non essendosi espressa sull'assoluta mancanza di elementi certi e dimostrativi della presenza dell'imputata presso l'istituto di credito il giorno della presunta riscossione delle polizze, secondo quanto espressamente dedotto dalla difesa. Il travisamento del fatto e la sussistenza degli ulteriori vizi dedotti emergerebbero poi dalla motivazione resa dai giudici di appello nella parte in cui, "a fugare ogni dubbio circa la commissione del reato di ricettazione", rilevano che "l'asserito fraudolento impossessamento del documento d'identità dell'imputata da parte di soggetto ignoto non risulti da alcuna denuncia di smarrimento o furto di essa, mai prodotta in giudizio e oggetto di labiale allegazione solo da parte nell'atto di gravame". Invero, la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che dalle emergenze processuali sia emersa la costante frequentazione tra l'imputata e la persona offesa, anche con altri appartenenti alla famiglia;
circostanza dalla quale risulterebbe evidente come, ad insaputa dell'imputata e senza che essa se ne sia accorta, qualche famigliare avesse sottratto, anche temporaneamente, il documento, al fine di farne copia e consegnarlo alla Gambino [coimputata in primo grado], sicché non sarebbe stata necessaria alcuna denuncia. Peraltro, la motivazione sarebbe manchevole in punto di elemento soggettivo;
né esso avrebbe potuto desumersi dalla condotta, per essere questa non auto-evidente e priva di efficacia dimostrativa, nonché in presenza di una motivazione illogica ed incoerente con le emergenze processuali, dalle quali era peraltro desumibile l'assenza di difficoltà economiche dell'imputata e la sussistenza di rapporti di familiarità e cordialità con la persona offesa.
Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi