Cass. civ., sez. II, ordinanza 13/08/2018, n. 20719

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. II, ordinanza 13/08/2018, n. 20719
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 20719
Data del deposito : 13 agosto 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 10203/2013 R.G. proposto da M P, rappresentato e difeso dall'Avv. iGH_Lrnre Gervasi, con domicilio eletto in Roma, via Costantino Morin n. 45, presso l'Avv. Michele Arditi di Castelvetere;

- ricorrente -

contro

G D;

- intimato -

avverso la sentenza della Corte d'appello di Lecce n. 77 depositata il 24 gennaio 2013 e notificata 1'11 febbraio 2013. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 gennaio 2018 dal Consigliere M F. Osserva in fatto e in diritto Ritenuto che: - il Tribunale di Lecce - Sezione distaccata di Galatina, con sentenza n. 192 del 1999, respingeva l'actio negatoria servitutis, diretta alla demolizione delle opere da cui veniva esercitata la veduta, proposta dalla Sicif s.r.l. (cui poi subentrava P M, in qualità di assegnatario dell'area in questione, a seguito di scioglimento della società e al fine di proseguire il giudizio instaurato dalla disciolta società) nei confronti di D G;
- sul gravame interposto dal M, la Corte d'appello di Lecce, nella resistenza dell'appellato, sospeso il giudizio con ordinanza del 13.07.2009, per consentire il passaggio in giudicato di sentenza pronunciata in altro giudizio sempre di negatoria servitutis, avente ad oggetto la stessa porzione di terreno (promosso dal M nei confronti di altri proprietari confinanti), che poi veniva riassunto, respingeva il gravame ritenendo l'appellante privo di legittimazione attiva per essere stato accertato nell'altro giudizio che il terreno in questione, originariamente classificato come "via da aprirsi", in realtà non aveva mai formato oggetto di alienazione, stante l'efficacia riflessa del giudicato ex art. 2909 c.c.;
- per la cassazione del provvedimento della Corte d'appello di Lecce ricorre il M sulla base di due motivi;
- l'intimato non ha svolto difese. Atteso che: - il primo motivo di ricorso (con il quale è dedotta la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c. per avere la corte territoriale - con travisamento dei fatti - ritenuto il difetto di legittimazione attiva della originaria società attrice, recependo un'eccezione formulata dalla controparte solo nella comparsa di costituzione in appello dell'8 maggio 2000, senza alcun cenno motivazionale agli scritti difensivi del ricorrente) è inammissibile.La questione della legittimazione attiva dell'attrice risulta essere stata ampiamente affrontata nella sentenza non definitiva n. 549 del 2007, resa dallo stesso giudice in questo giudizio, con pronuncia che ha accertato la mancanza del titolo di proprietà del fondo servente da parte della Sicif s.r.I., dante causa del M. La mancata impugnazione ovvero la mancata formulazione di riserva differita di gravame da parte del M rispetto a detta pronuncia non definitiva ha comportato il passaggio in giudicato della medesima in merito all'accertata "carenza di legittimazione attiva" per acquiescenza prestata alla stessa (Cass. 31 maggio 2010 n. 13240);
- il secondo motivo (con il quale viene denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. per avere la corte di merito ancorato la decisione alla sentenza n. 271 del 2007, secondo la quale il M, al pari della sua dante causa, Sicif, non risulterebbe titolare nel lato attivo del rapporto dedotto in giudizio, senza tenere conto che nessuna delle parti del presente giudizio lo è stata in quelli poi riuniti e definiti con la sentenza n. 271, che peraltro erano stati introdotti solo nel 1998, mentre quello odierno è dell'agosto 1987, oltre a presentare differente causa petendi e petitum) è manifestamente infondato. Occorre preliminarmente precisare che, essendo in discussione la corretta interpretazione dell'art. 2909 c.c., e quindi la dedotta violazione di questa norma di diritto, non rilevano i supposti errori motivazionali della decisione impugnata, perché, come si desume dall'art. 384 c.p.c., quando viene sottoposto a sindacato il giudizio di diritto, il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione, non è limitato alla plausibilità della giustificazione (da ultimo, Cass. 24 giugno 2015 n. 13086;
ma già, Cass. 6 luglio 1973 n. 1935;
Cass. 13 giugno 1972 n. 1863). Sicché un giudizio di diritto potrà risultare incensurabile anche se mal giustificato, perché, secondo quanto prevede appunto l'art. 384 3 c.p.c., comma 4, la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione, ma solo a correzione da parte della corte, quando il dispositivo sia conforme al diritto (Cass., sez. un., 25 novembre 2008 n. 28054). Ciò posto e passando al merito della questione prospettata dal ricorrente, va rilevato che, secondo una consolidata giurisprudenza di questa Corte, il giudice civile, in assenza di divieti (nella specie insussistenti quanto alla possibilità di utilizzare la decisione anzidetta, come, del resto, lo stesso ricorrente non contesta), può formare il proprio convincimento in base a prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, purché fornisca adeguata motivazione della relativa utilizzazione (tra le tante, Cass. 15 ottobre 2004 n. 20335;
Cass. 7 febbraio 2005 n. 2409;
Cass. 5 marzo 2010 n. 5440). In tale contesto, la prova può essere rappresentata anche dalla sentenza adottata dal diverso giudice (in quanto essa, di per sè, già non faccia stato nel giudizio nel quale è prodotta), che "costituisce in ogni caso un documento, che il giudice civile è tenuto ad esaminare e dal quale può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti" (Cass. 15 febbraio 2001 n. 2200). Sicché, il riferimento ad essa è da reputarsi legittimo "ogniqualvolta il giudice, riproducendo o richiamando nella propria sentenza gli elementi essenziali dell'altra motivazione )dimostri non solo di volere far propria tale motivazione, ma anche di avere esaminato le censure contro di essa proposte dalla parte e di averle ritenute infondate per motivi indicati specificamente, in modo da consentire il controllo delle ragioni logiche e giuridiche della decisione" (tra le tante, Cass. 22 marzo 1979 n. 1664). In altri termini, la necessità che il giudice proceda ad una diretta ed autonoma valutazione delle circostanze accertate con altra sentenza, non implica che debbano essere nuovamente esibiti e direttamente riesaminati i documenti presi in considerazione nell'altro giudizio, o che debbano essere riprodotti o ripetuti le prove o gli accertamenti ivi già compiuti, e non esclude che l'acquisizione o l'utilizzazione di quegli elementi e circostanze possa avvenire mediante adesione alla ricostruzione dei fatti eseguita dall'altro giudice, quando risulti che a tale adesione il giudice sia pervenuto attraverso un autonomo vaglio critico delle prove già raccolte e delle argomentazioni e deduzioni proposte dalle parti (cfr. Cass. 26 febbraio 1983 n. 1465). Nell'alveo dei richiamati principi si colloca la sentenza impugnata, 0-TerstIll la Corte territoriale, pur errando nel citare la rilevanza dell'art. 2909 c.c., nel contesto del complessivo vaglio del motivo di gravame proposto dal Mratto dalla pronuncia n. 271 del 2007 della stessa Corte di appello, quindi,pjosto in risalto) quelle circostanze che essa stessa Corte, secondo un proprio autonomo convincimento, ha reputato rilevanti ai fini della decisione da assumere (v. pag. 6 nell'ambito di "Motivi della decisione" della sentenza di appello), valorizzando, in particolar modo, ai fini del riscontro della proprietà del fondo servente, l'accertamento che il suolo de quo - asseritamente parte di una più vasta zona - classificato come "via da aprirsi", non aveva mai costituito oggetto di alienazione, da cui desumeva, che essendo stato destinato ad altri fini, per utilizzo promiscuo (strada), non era mai stato ceduto dall'originario unico proprietario e quindi non era stato trasmesso alla Sicif e quindi al M. Né colgono nel segno le doglianze del ricorrente, neppure là dove con esse si adduce che l'esito della valutazione del giudice di appello non si sarebbe misurato con le prove del giudizio. Conclusivamente, il ricorso va respinto. Nessuna pronuncia sulle spese processuali in mancanza di difese del Garzia, rimasto intimato. Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato, a carico della parte ricorrente, soccombente, ai sensi dell'art. 13. comma 1 -quater D.P.R. n. I 15/02, inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12.
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