Cass. pen., sez. I, sentenza 16/04/2018, n. 16945

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 16/04/2018, n. 16945
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16945
Data del deposito : 16 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

unciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da: T A, nato il 16/02/1987;
Avverso l'ordinanza n. 2/2017 del Tribunale di Rovigo in data 29/05/2017;
Visti gli atti e il ricorso;
Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. A M;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. L O, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Con ordinanza in data 29/05/2017 il Tribunale di Rovigo rigettava la richiesta di T A di revoca del provvedimento di esecuzione pene concorrenti emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Rovigo n. 149 del 2016. Rilevava il Tribunale che la richiesta si fondava sull'asserzione della mancata conoscenza del procedimento sino al momento dell'esecuzione, per cui si chiedeva l'annullamento della sentenza del Tribunale di Rovigo del 02/11/2011: tuttavia la contumacia era stata ritualmente dichiarata poiché l'interessato aveva eletto domicilio presso il difensore di ufficio ed ivi aveva ricevuto tanto l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare quanto il decreto di citazione a giudizio e l'estratto contumaciale, senza che si rilevassero nullità nelle notifiche;
se poi la richiesta andava considerata come fosse volta alla remissione in termini ex art. 175 cod.proc.pen., allora essa era tardiva poiché avanzata (il 28/12/2016) oltre i trenta giorni dall'avvenuta conoscenza del provvedimento (18/10/2016). Avverso detta ordinanza propone ricorso l'interessato personalmente. Con il primo motivo deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., erronea applicazione della legge penale: sostiene che non vi era alcuna prova che egli avesse tenuto contatti con il difensore di ufficio per cui il procedimento si era svolto in contumacia ed egli non aveva saputo alcunchè di esso, considerato che la notifica ad un domicilio eletto non equivale ad una notifica personale;
inoltre l'impugnazione nei termini richiede tecnicismo ed egli non era stato in grado di farlo tempestivamente. Con il secondo motivo deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen, manifesta illogicità di motivazione poiché la decisione negativa era stata illogica ed ingiustificata, considerata l'istruttoria e la documentazione prodotta. In subordine si chiedeva alla Corte la remissione in termini. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. Le doglianze del ricorrente sono manifestamente infondate. Il giudice dell'esecuzione ha correttamente rilevato che il ricorrente, contumace, aveva eletto domicilio presso il difensore di ufficio e che aveva così ricevuto la notifica dell'avviso di udienza preliminare nonché il decreto di citazione a giudizio e l'estratto contumaciale della sentenza: il ricorrente non censura affatto questi dati oggettivi ed allora va preso atto che non si trattava di meri atti di polizia giudiziaria, ma di atti che fanno conoscere in modo effettivo sia l'esistenza del procedimento che quella del provvedimento finale. Il ricorrente, per come detto, non contesta questi aspetti della notifica al domicilio eletto, ma sostiene che non vi era prova di un suo contatto con il difensore;
ma si tratta di una doglianza manifestamente infondata: il rapporto professionale è perdurato e comunque, in questo ambito, il giudice è certamente tenuto a verificare la conoscenza del provvedimento, ma altrettanto certamente deve farlo sulla base di idonee allegazioni dell'interessato che indichino le ragioni sottese alla mancata conoscenza del provvedimento regolarmente notificato (Sez. 5, n. 139 del 14/10/2015, Rv. 265678). Al contrario, nella fattispecie, il ricorrente formula, in modo generico peraltro, mere congetture a contrario. Quanto al secondo motivo, esso è ancora più generico e, pur denunciando formalmente vizi di motivazione, non individua singoli aspetti del provvedimento impugnato da sottoporre a censura giurisdizionale, ma tende in realtà a provocare una nuova e non consentita valutazione della posizione processuale, la quale, invece, è stata correttamente determinata. Quanto precede fa discendere l'inammissibilità della subordinata richiesta di remissione in termini.Il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in 2.000,00 euro, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen.
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