Cass. civ., sez. I, sentenza 29/07/2015, n. 16049
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La cessione del diritto di credito agli utili spettante al socio, posta in essere dopo che l'assemblea, a seguito dell'approvazione del bilancio, abbia deliberato di non distribuirli imputandoli a riserva, dà luogo alla garanzia per l'inesistenza del credito in favore del cessionario di cui all'art. 1266 c.c.
La cessione, separatamente dalla vendita della partecipazione sociale, del credito vantato dal socio nei confronti della società quale restituzione di un'erogazione del primo in favore della seconda dà luogo alla garanzia per inesistenza del credito di cui all'art. 1266 c.c. solo qualora risulti che la causa concreta del negozio societario posto in essere sia riconducibile ad un versamento assimilabile a capitale di rischio, in quanto, in tal caso, il trasferimento della partecipazione sociale include, quale bene "di secondo grado", quello di ogni posta esistente nel patrimonio sociale, incluso il denaro ricevuto dalla società; la garanzia non opera, invece, nelle ipotesi di finanziamento del socio o di versamento finalizzato ad un futuro aumento del capitale nominale, dai quali deriva il diritto di credito del socio alla restituzione, l'uno ai sensi dell'art. 1813 c.c. in tema di mutuo e l'altro qualora venga successivamente meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale eseguita in favore della società, onde il trasferimento della partecipazione sociale di regola non include anche tale credito, che può formare oggetto autonomo di diritti.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F F - Presidente -
Dott. B R - Consigliere -
Dott. D C C - Consigliere -
Dott. V A - Consigliere -
Dott. N L - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28227-2011 proposto da:
C E (C.F. CRNRNN50T06G560E), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso l'avvocato P P, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato C M, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
C S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 55, presso l'avvocato G G, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato G S, giusta procura a margine del controricorso;
OFFICINE BREVETTI C S.R.L. (c.f. 00171560246), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso l'avvocato C S, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato P G, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 1814/2010 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/09/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/05/2015 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato MARIO CALGARO che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente C S.R.L., l'Avvocato G G che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito, per la controricorrente SOC. OFFICINE BREVETTI C, l'Avvocato SABINA CICCOTTI che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso e condanna alle spese.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La C s.r.l. convenne C E innanzi al Tribunale di Bassano del Grappa, chiedendo l'accertamento dell'inesistenza di due crediti (per restituzione di un finanziamento di L. 95.000.000 e per utili non distribuiti di L. 132.451.743), oggetto del contratto di cessione dell'8 marzo 1999, che il cedente C E aveva dichiarato di vantare nei confronti della Officine Brevetti C s.r.l. (di seguito, O.B.C. s.r.l.) e che aveva ceduto all'attrice (nominata in base ad espressa riserva in tal senso contenuta nel contratto preliminare concluso il 27 gennaio 1999 tra Ermanno e C R), oltre alla condanna a corrispondere un importo, ai sensi dell'art. 1266 c.c., pari ai crediti non acquistati, almeno per il prezzo pagato di L. 227.451.742, interessi legali e maggior danno;
in subordine, chiese dichiararsi la nullità della cessione per inesistenza dell'oggetto e la restituzione del prezzo a titolo di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., con interessi legali e maggior danno.
Il convenuto si costituì, chiedendo il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale subordinata, l'annullamento per errore sul prezzo del contratto di compravendita di quota sociale della OBC s.r.l., parimenti concluso fra le parti;l'accertamento dell'effettivo prezzo di L. 3.235.000.000 concordato tra i fratelli C E e R per definire i loro rapporti nel contratto preliminare del 27 gennaio 1999;la condanna della C s.r.l., che era stata nominata da C R quale cessionaria nel suddetto contratto definitivo dell'8 marzo 1999, a corrispondergli il prezzo di L. 227.451.742;in ulteriore subordine, l'accertamento della sua qualità di socio "per la quota di L. 227.451.742 di valore nominale" e la condanna in solido di C R e della O.B.C. s.r.l. al pagamento in proprio favore della somma di L. 227.451.742, con iscrizione del proprio nominativo nel libro dei soci. Chiamata in causa dal convenuto C E, la O.B.C. s.r.l. eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva in ordine alla domanda di condanna alla predetta iscrizione nel libro soci;il chiamato C R eccepì la carenza di legittimazione passiva della domanda di annullamento parziale per errore sul prezzo della quota sociale.
Il Tribunale di Bassano del Grappa con sentenza del 1 luglio 2003 dichiarò l'inesistenza dei due crediti, condannando il cedente C E a pagare alla cessionaria C s.r.l., in forza della garanzia di cui all'art. 1266 c.c., la somma corrispondente al prezzo corrisposto, respingendo tutte le altre domande proposte dalle parti.
C E ha adito, quindi, la Corte d'appello di Venezia, che ha respinto l'impugnazione.
La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che:
il contratto preliminare concluso tra i fratelli C E e R, con il quale essi hanno inteso definire le loro questioni economiche, è stato attuato mediante cinque diversi contratti definitivi (cessione di quota, cessione di crediti, compravendita di immobili, compravendita di una vettura, cessione di altra quota sociale), che hanno interamente sostituito il preliminare, divenendo l'unica fonte dei reciproci diritti ed obblighi;
- l'estraneità della C s.r.l. al contratto preliminare concluso fra i due fratelli impedisce di ipotizzare la riconoscibilità del preteso errore del dante causa C E con riguardo al prezzo complessivamente pattuito da questi per l'uscita dalle varie attività svolte con il fratello R;
- i due fratelli, dopo aver concluso il contratto preliminare, hanno liberamente deciso di porre in essere sia il contratto di compravendita della quota sociale (ricomprendente il diritto agli utili per l'esercizio in corso del 1999), sia il distinto contratto di cessione dei due crediti per finanziamento ed utili afferenti i precedenti anni 1997 e 1998;
- quanto al primo, si tratta di un "finanziamento" ma "in conto capitale" da restituire in caso di liquidazione dell'ente, tuttavia "inattuale", essendo stata revocata la liquidazione e, comunque, restando esso subordinato all'effettiva sussistenza di un residuo all'esito di una liquidazione futura;quanto al secondo, non è stata deliberata dall'assemblea la distribuzione degli utili;
- nessuna residua posizione di socio della O.B.C. s.r.l. si configura in capo ad C E, posto che egli ha trasferito l'intera sua partecipazione, ne' certamente può dirsi titolare di una percentuale commisurata al prezzo asseritamente non ricevuto.
Avverso questa sentenza propone ricorso C E, affidato a quattro motivi, illustrati anche da una memoria. Resistono con controricorsi Officine Brevetti C s.r.l. e C s.r.l.. MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - I motivi del ricorso censurano la sentenza impugnata per:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1401 c.c., oltre al vizio d'insufficiente e contraddittoria motivazione, per non avere la corte del merito considerato che il dante causa C E ha concluso i contratti definitivi di compravendita con la C s.r.l., nominata a scioglimento della riserva contenuta nel contratto preliminare concluso dal promissario C R: onde essa ha preso il posto che aveva questi nel preliminare, e la corte del merito avrebbe dovuto considerare che il prezzo della cessione dei due predetti crediti non era ricompreso in quello previsto nel contratto di vendita della quota sociale;
2) violazione e falsa applicazione dell'art. 1266 c.c., oltre al vizio di omessa o insufficiente motivazione, per avere la sentenza impugnata escluso, confermando la valutazione del tribunale, che il credito per versamento soci in conto capitale fosse esistente, reputando costituire esso un apporto a fondo perduto, quando invece in tal caso si verifica la mera inesigibilità, non l'inesistenza del credito, come del resto affermato anche dalla corte d'appello;quanto al credito per utili non distribuiti, l'assemblea secondo il ricorrente ha "approvato l'esistenza di utili" e solo non ha manifestato la volontà di destinarli;
3) violazione degli artt. 1427, 1428, 1429 e 1431 c.c., oltre all'omessa o insufficiente motivazione, con riguardo alla disattesa domanda subordinata di annullamento parziale per errore del contratto di cessione della quota del 50% della O.B.C. s.r.l., in quanto, ove questo si reputasse ricomprendere anche la cessione dei predetti crediti del socio, C E sarebbe caduto in errore avendo escluso detta circostanza, errore riconoscibile ed essenziale;
4) in via subordinata, errata motivazione, per non avere la sentenza impugnata ritenuto sussistere la qualità di socio in capo al ricorrente, posto che, ove fosse stato nullo il contratto di cessione, i crediti sarebbero rimasti in capo al disponente e, avendo la società successivamente ai predetti contratti deliberato l'aumento del capitale sociale utilizzando entrambi i crediti oggetto della cessione, il ricorrente dovrebbe essere reputato socio della O.B.C. s.r.l..
2. - Il primo motivo è infondato.
È principio consolidato (e multis, Cass. 5 novembre 2009, n. 23455) che l'interpretazione del contratto costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione. Nè sono utilmente deducibili in sede di legittimità errores in iudicando risolventisi nella mera denuncia della violazione degli artt. 1362 ss. c.c., occorrendo invece che tale denuncia - la quale non può essere generica - specifichi in qual modo detto giudice, nel ricostruire la portata degli accordi delle parti, abbia deviato dal canone interpretativo che si assume violato.
Nella specie, la corte del merito ha dato ampia ed esauriente motivazione del suo convincimento, facendo altresì applicazione del principio, del tutto costante, secondo cui qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva;la presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova - la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili - di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l'adempimento di detto distinto accordo (cfr. Cass. 5 giugno 2012, n. 9063;11 luglio 2007, n. 15585;10 gennaio 2007, n. 233 del 2007;25 febbraio 2003, n. 2824). 3. - Il secondo motivo è fondato, nei limiti di seguito esposti. Al fine di una più chiara disamina va distinta la diversa tipologia dei crediti ceduti, l'uno per rimborso del finanziamento soci e l'altro per pagamento degli utili societari.
3.1. - Sono state da questa Corte più volte enunciate le differenze tra le varie modalità di dazione di denaro da parte del socio alla società;ciascuna di esse ha una propria causa concreta, e dalla relativa qualificazione discendono conseguenze rilevanti, anche per l'evenienza della cessione della quota sociale. Sono stati invero individuati, nell'ambito della prassi diffusa specie nelle società a ristretta base personale, apporti del socio a vario titolo, di cui i più frequenti sono i finanziamenti, i versamenti a fondo perduto (denominati anche in conto capitale) ed i versamenti finalizzati ad un futuro aumento del capitale.
3.2. - I primi sono mutui ex art. 1813 ss. c.c., derivano da un contratto a forma libera tra il socio e la società, vanno iscritti al passivo dello stato patrimoniale tra i debiti verso soci. Se questi cede la quota, conserva però - ove nulla le parti abbiano previsto - la titolarità del credito uti singulus.
3.3. - I versamenti del secondo tipo, dal lato opposto, sono certamente privi della natura del mutuo, in quanto non ne è pattuito il diritto al rimborso e vengono iscritti nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve, che l'assemblea può discrezionalmente utilizzare, con le ordinarie modalità, per ripianare le perdite o per aumentare gratuitamente il capitale, imputandole a ciascun socio proporzionalmente alla partecipazione al capitale sociale, senza che occorra tener conto del soggetto che abbia operato il versamento, proprio in ragione dell'inesistenza di qualsiasi credito alla restituzione delle somme.
Se ne è occupata questa Corte in varie occasioni (cfr. Cass. 13 luglio 2012, n. 12003;23 febbraio 2012, n. 2758;13 agosto 2008, n. 21563;24 luglio 2007, n. 16393;30 marzo 2007, n. 7980, ed altre). L'apporto del socio produce l'acquisizione definitiva al patrimonio della società delle somme versate, le quali sono da assimilare al capitale di rischio, cui vanno equiparate agli effetti sostanziali. La riserva così formata, al pari delle riserve ordinarie o facoltative per la quota eccedente la riserva legale, ha dunque di regola carattere disponibile, ma la distribuzione non costituisce un diritto soggettivo del socio.
Sostenere che, in tal caso, il diritto alla restituzione sussiste all'esito della liquidazione sociale ove vi sia un residuo da distribuire fra i soci, all'esito del pagamento di tutti i creditori, significa, allora, null'altro che assimilare in pieno tali apporti ai conferimenti ed al capitale di rischio: anch'esso, invero, verrà restituito all'esito della liquidazione dell'impresa collettiva. Vi è, per essi, una postergazione della restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali, esattamente come avviene per i conferimenti operati dal socio: è mera eventualità, dipendente dalla condizione in cui verrà a trovarsi il patrimonio sociale al momento della liquidazione della società ed alla possibilità che in tale patrimonio residuino valori sufficienti al rimborso dopo l'integrale soddisfacimento dei creditori. Come si è efficacemente chiarito (Cass., sez. un., 23 ottobre 2006, n. 22659), in alcun modo può dirsi che con il contratto di società o col conferimento successivo nasca in capo a ciascun socio una posizione giuridica soggettiva qualificabile in termini di diritto di credito ed avente ad oggetto la restituzione del conferimento, di cui è parola all'art. 2350 c.c.. Discorrere di diritto di credito, sia pure eventuale, alla restituzione del versamento può dunque dar luogo ad equivoci, salvo che si comprenda che ci si riferisce appunto alla "partecipazione al rischio d'impresa cui è esposto il capitale versato dal socio, la cui posizione efficacemente viene designata nel linguaggio economico- giuridico anglosassone come quella di un residuai claimant, proprio per sottolineare la residualità del suo soddisfacimento rispetto ai creditori sociali" (Cass. 23 febbraio 2012, n. 2758, cit.). Altro è, si noti, rispetto a tale regime quello dei finanziamenti dei soci nella s.r.l. e nel gruppo, i quali sono postergati ove concessi in una situazione di squilibrio patrimoniale (artt. 2467 e 2497 quinquies c.c.), ma restano, tuttavia, finanziamenti (per i profili di diritto intertemporale, v. Cass. 13 luglio 2012, n. 12003) e non costituiscono apporti assimilati al capitale di rischio (ed infatti, in ordine alle richiamate disposizioni, si suole utilizzare l'espressione di crediti sottochirografari, in quanto da rimborsare dopo gli altri creditori, ma prima dei soci). I finanziamenti cd. anomali restano prestiti e non divengono apporti di capitale, i quali ultimi verranno rimborsati solo all'esito della liquidazione, quindi dopo la restituzione anche dei prestiti anomali. Il finanziamento sarà non più discrezionalmente, ma solo subordinatamente restituibile, onde la causa resta quella di finanziamento;tanto è vero che, nel caso dell'art. 2467 c.c., apposita disciplina di legge, quale l'art. 182 quater l.f., ha potuto sottrarre alla regola della postergazione, ed anzi rendere prededucibili ai sensi dell'art. 111 l.f., i finanziamenti effettuati dai soci per la presentazione o per l'esecuzione di una domanda di ammissione a concordato preventivo o di un piano di ristrutturazione dei debiti, o per i finanziamenti di coloro che, dapprima terzi, siano diventati soci in esecuzione del concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione. Giova ancora precisare come la disciplina dei finanziamenti dei soci di s.r.l., introdotta con la riforma del 2003, lascia impregiudicata la questione della concreta qualificazione dell'apporto del socio, posto che l'art. 2467 c.c. si riferisce alla fattispecie già qualificata come finanziamento: onde dinanzi ad un apporto di danaro alla società, resta fermo che il giudice dovrà verificare se si tratta di versamento o di finanziamento attraverso un'analisi volta ad individuare la causa del negozio intervenuto fra socio e società. In caso di vendita della partecipazione sociale, la natura dei versamenti in discorso, assimilabili al capitale di rischio, ne rende impredicabile la cessione separata dalla stessa vendita della quota. 3.4. - I versamenti del terzo tipo appartengono alla categoria più sfumata, per la quale particolarmente attenta deve essere la ricostruzione in fatto, in cui la dazione dell'importo è finalizzata a liberare il debito da sottoscrizione di un futuro aumento del capitale sociale mediante successiva rinuncia, che il socio porrà in essere dopo la deliberazione assembleare di aumento e la sua sottoscrizione.
In particolare, questa Corte ha chiarito, con un'analisi qui condivisa, che poiché le parti stabiliscono un chiaro collegamento causale tra il versamento eseguito dal socio ed un prossimo aumento del capitale sociale, nel caso in cui l'aumento non sia eseguito il socio avrà diritto alla restituzione del versamento eseguito (Cass. 19 marzo 1996, n. 2314;un cenno vi è anche in Cass. 24 luglio 2007,
n. 16393, laddove si discorre di riserva "personalizzata" o "targata", in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che hanno effettuato i versamenti in relazione all'entità delle somme da ciascuno erogate).
In tale situazione, ove l'aumento non sia operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato: non a titolo di rimborso di somma data a mutuo, ma per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società (e, quindi, secondo i principi della ripetizione dell'indebito).
La vendita della partecipazione sociale può essere operata senza includervi tale versamento, la cui restituzione costituisce un credito in capo al disponente, sia pure condizionato ed inesigibile sino a quel momento (come ora esposto ed in senso diverso dal versamento del secondo tipo), il quale quindi può essere ceduto separatamente dalla quota sociale.
3.5. - Diviene allora decisiva l'interpretazione della volontà delle parti, in quanto l'utilizzo di formule non codificate impone di verificare con la massima cautela quale sia stata - in concreto - la reale intenzione dei soggetti, socio e società, tra i quali il rapporto si è instaurato: occorrendo di volta in volta accertare se si sia trattato di un rapporto di finanziamento riconducibile allo schema del mutuo, o di un contratto atipico di conferimento, ed, in quest'ultimo caso, se esso sia stato condizionato ad un futuro aumento del capitale nominale della società.
Con l'accortezza, attesa la frequenza dell'uso, spesso a fini tributari, di termini non intesi nel loro significato tecnico- giuridico, che è "necessario non arrestarsi alla mera denominazione adoperata nelle scritture contabili della società, per volgere invece l'attenzione soprattutto al modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, alle finalità pratiche cui esso appare essere diretto ed agli interessi che vi sono sottesi" (come richiedeva già la citata Cass. 19 marzo 1996, n. 2314): in definitiva, agli accordi tra soci e società, secondo gli artt. 1362 ss. c.c.. L'indagine sul punto deve tenere conto delle clausole statutarie che tali versamenti prevedano, delle scritture contabili, dei bilanci, del comportamento delle parti e di ogni altra circostanza del caso concreto. Ove, inoltre, risulti che il socio abbia eseguito l'erogazione del denaro in vista di un futuro aumento, del quale avrebbe per definizione in tale veste beneficiato, e che, mutata la sua prospettiva all'interno dell'ente collettivo, egli abbia inteso uscirne disponendo sia della quota e sia separatamente - di quel credito, tale elemento potrebbe essere complementarmente indicativo proprio della qualificazione del versamento nel terzo tipo, sopra descritto.
3.6. - Restano ancora da delineare i profili della cessione del credito cd. inesistente.
L'art. 1266 c.c. pone la cd. garanzia dell'esistenza del credito al momento della cessione, disciplinando i casi in cui il credito, in tale momento, non esista o in quanto mai sorto (avvenga ciò per invalidità o inefficacia del negozio che ne costituisce titolo), oppure in quanto già estinto, e ne fa derivare la responsabilità del cedente, a cui carico pone il rischio del mancato effetto traslativo della cessione per inesistenza del credito. La norma va letta in chiave sistematica con l'art. 1325 c.c., n. 3, art. 1346 c.c. e art. 1418 c.c., comma 2, da una parte, e artt. 1348
e 1472 c.c., dall'altra parte: dovendosi stabilire se la "garanzia" ex art. 1266 c.c. derivi dalla nullità del contratto di trasferimento del credito inesistente, o, in caso contrario, quali siano gli effetti della garanzia legale. Occorre cioè chiedersi se la ratio dell'art. 1266 c.c. lo assimili al primo o al secondo nucleo normativo, dovendosi solo nel primo caso ritenere nulla la cessione di credito inesistente e il prezzo costituente indebito. Secondo alcune pronunce, sia pure non recenti, di questa Corte, alla cessione di credito futuro va ricondotta anche quella di credito semplicemente sperato ovvero eventuale, ed essa è valida, ma l'effetto reale si realizza solo quando il credito viene ad esistenza (cfr. Cass. 22 novembre 1993, n. 11516;11 maggio 1990, n. 4040);ed il cedente pro soluto deve garantire non solo che il credito è sorto, ma anche che non si è ancora estinto al tempo della cessione (Cass. 5 febbraio 1988, n. 1257). Il Collegio ritiene di ribadire ora questo orientamento: l'art. 1266 c.c. finisce - così sciogliendo la duplice opzione interpretativa
sopra accennata - per derogare all'art. 1325 c.c., n. 3, art. 1346 c.c. e art. 1418 c.c., comma 2, inserendosi invece nell'ambito delle
disposizioni di cui agli artt. 1348 e 1472 c.c.: mentre, secondo il principio comune dettato dai primi, la cessione di credito inesistente sarebbe nulla per mancanza di oggetto, una deroga al riguardo emerge dalle disposizioni in tema di contratto e di vendita ad oggetto futuro nonché dall'art. 1266 c.c., il quale, ponendo a carico del cedente una mera obbligazione di "garanzia", costituisce particolare eccezione alla regola secondo cui l'inesistenza dell'oggetto dell'obbligazione dedotta in contratto ne determina la nullità. Ne deriva che la cessione di un credito inesistente è valida, onde il cessionario è tenuto al pagamento del prezzo, che non diviene indebito, nel contempo godendo della "garanzia" ex lege. Al pari delle cd. garanzie quale effetto naturale della vendita, non si tratta di una garanzia in senso tecnico, ma una tutela contro la perdita del prezzo della cessione allorché il credito fosse, già a tale momento, inesistente. Sebbene la garanzia riguardi l'esistenza del credito e non la solvenza del debitore, dunque un evento diverso, il meccanismo non è distante da quello per quest'ultima evenienza espressamente delineato all'art. 1267 c.c. (e cfr. artt. 760, 1829, 1858, 2255 e 2342 c.c.), dovendo in sostanza il cessionario conseguire un risultato analogo a quello che sarebbe conseguito alla realizzazione del contratto.
Questa Corte ha già affermato che, nella cessione del credito, l'obbligazione di garanzia del cedente ex art. 1266 c.c. è accessoria, costituisce un effetto naturale del contratto ed ha la funzione di assicurare comunque il ristoro dell'interesse positivo del cessionario alla cessione, nei casi in cui l'effetto traslativo del contratto manchi, totalmente o parzialmente, a causa dell'inesistenza, completa o in parte, del credito o per altro impedimento equipollente (es. mancanza di legittimazione del cedente o nullità del credito). Nel caso di cessione di credito pecuniario, in particolare, l'obbligazione di cui si tratta ha eguale natura, consistendo nel dover corrispondere al cessionario, indipendentemente da colpa o dolo, l'ammontare rispetto al quale egli non ha acquisito il credito mediate il contratto di cessione;è quindi un'obbligazione di valuta, cui è applicabile l'art. 1224 c.c. (così, in motivazione, Cass. 18 dicembre 1987, n. 9428;in tema di contratto di sconto, per Cass. 11 agosto 2000, n. 10689, in mancanza di pagamento da parte del debitore ceduto diviene attuale l'obbligazione dello scontatario alla restituzione dell'anticipazione conseguita).
3.7. - Va, concludendo sul punto, dichiarato il seguente principio di diritto: "La cessione, separatamente dalla vendita della partecipazione sociale, del credito vantato dal socio nei confronti della società quale restituzione di un'erogazione dal primo eseguita da luogo alla garanzia per l'inesistenza del credito, di cui all'art. 1266 c.c., solo qualora risulti che la causa concreta del negozio
posto in essere sia riconducibile ad un versamento assimilabile a capitale di rischio, in quanto, in tal caso, il trasferimento della partecipazione sociale include, quale bene "di secondo grado", quello di ogni posta esistente nel patrimonio sociale;la garanzia non opera, invece, nelle ipotesi di finanziamento del socio o di versamento finalizzato ad un futuro aumento del capitale nominale, dei quali sussiste il diritto di credito del socio alla restituzione, l'uno ai sensi dell'art. 1813 c.c. e l'altro qualora venga successivamente meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale eseguita in favore della società, onde il trasferimento della partecipazione sociale di regola non include anche tale credito, che può formare oggetto autonomo di diritti". 3.8. - Nella specie, la pronuncia impugnata non ha fatto buon governo di tali principi, ne' ha esplicitato compiutamente e congruamente di avere operato l'accertamento della effettiva volontà delle parti. Essa si limita, infatti, a richiamare il fatto che le parti del giudizio fossero concordi nel ritenere esistente un "finanziamento in conto capitale (il che del resto risulta documentalmente ed è corrispondente ad un finanziamento per pari importo del fratello)", stimando tuttavia che il credito è inesistente perché "la liquidazione della società era stata revocata" e perché "l'esistenza di un surplus può essere verificata solo all'esito della liquidazione".
La sentenza, in particolare, non sembra avere riscontrato quanto contabilizzato come credito dei soci nella situazione patrimoniale al 30 novembre 1998, che fu tenuta presente dalle parti al momento della conclusione della cessione, nonché il contenuto dello stesso negozio di cessione e la circostanza che, poco dopo la vendita dei due crediti e della quota, la società avesse effettivamente aumentato il capitale sociale (non è dato sapere se a titolo gratuito o a pagamento) utilizzando quelle somme.
In tal modo, tuttavia, la corte incorre nel vizio di violazione di legge ed in quello di motivazione: il primo perché, qualora il silenzio serbato dal giudice sul punto implichi il ritenere mancante l'obbligo di restituzione anche nell'ipotesi del versamento finalizzato al successivo aumento del capitale, in ciò è ravvisabile uno specifico profilo di violazione dell'art. 1266 c.c., che prevede la garanzia solo per il caso di credito inesistente, nonché sotto specie di applicazione di un'ipotesi normativa ad una fattispecie concreta non adeguatamente delineata, contenente in sè la commistione fra gli elementi qualificatori, non compatibili, del finanziamento e del versamento a fondo perduto;il secondo in quanto sussiste intima contraddizione nel qualificare un'erogazione come "finanziamento" e nel subordinare poi il diritto alla restituzione alla liquidazione della società.
3.9. - Il motivo non merita, invece, accoglimento nella parte in cui censura la decisione relativa all'inesistenza del credito per utili non distribuiti.
Come è dato evincere dal ricorso e dalla sentenza impugnata, i soci avevano approvato il bilancio (così dovendo intendersi l'affermazione del ricorrente riportata nel secondo motivo), ma non avevano poi disposto la distribuzione degli utili di esercizio, allocati a riserva al passivo dello stato patrimoniale. Infatti, si è chiarito (Cass. 29 gennaio 2008, n. 2020;28 maggio 2004, n. 10271;e sez. un., 23 ottobre 2006, n. 22659) come anche nelle società a responsabilità limitata non è configurabile un diritto del socio agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare in tal senso, rientrando nei poteri dell'assemblea - in sede approvativa del bilancio - la facoltà di disporne l'accantonamento o il reimpiego nell'interesse della stessa società. Esso si inserisce parimenti nel citato art. 2350 c.c. e non acquista natura e sostanza di vero e proprio "diritto di credito" se non in quanto il bilancio d'esercizio faccia effettivamente registrare l'esistenza di utili e l'assemblea sociale ne deliberi la distribuzione ai soci, ond'è che solo da quel momento un simile diritto può dirsi acquisito al patrimonio del socio. Non si vuoi dire che singoli e speciali diritti afferenti la posizione di socio non possano essere separatamente alienati, specialmente se di natura patrimoniale (che sia vero il contrario è dimostrato, per tutti, dalla cedibilità del diritto di opzione in occasione di un aumento del capitale sociale), anche in quanto beni futuri.
Anche il diritto alla percezione degli utili conseguibili nel corso di un successivo esercizio sociale potrebbe formare oggetto di cessione, ai sensi dell'art. 1348 c.c., mediante negozio ad effetti meramente obbligatori, il quale produrrebbe il trasferimento della titolarità del credito al momento della sua venuta ad esistenza:
vale a dire, dell'assunzione della relativa deliberazione assembleare di distribuzione degli utili (art. 2433 c.c.). Ma ove al contrario, in sede di approvazione del bilancio, l'assemblea deliberi, come nella specie, di non distribuirli, il diritto perderebbe definitivamente la chance di venire ad esistenza: onde - se pure prima si volesse discorrere di cessione di una cd. aspettativa (posto che, come si è affermato, nelle società di capitali il diritto del singolo socio a percepire la propria quota di utile sorge solo a seguito della Delib. assembleare che decide la devoluzione ai soci, in tutto o in parte, dell'utile accertato in sede di approvazione del bilancio, e che prima di tale deliberazione non esiste alcun diritto del socio all'utile ma solo uno stato di semplice aspettativa: Cass. 11 marzo 1993, n. 2959) - la cessione del medesimo dopo
l'approvazione del bilancio che ne neghi la distribuzione sarebbe invece priva di oggetto, come appunto accade nel caso di specie. Dunque, la riserva in questione, dopo la deliberazione assembleare di destinazione degli utili a patrimonio netto, non può in alcun modo dirsi separatamente imputabile, neppure in astratto, pro parte a ciascun socio. Ne deriva che va esclusa l'esistenza di un credito, sia pure eventuale, che potesse formare oggetto di cessione mediante negozio autonomo e separato rispetto alla vendita della intera quota sociale, con tutti i diritti amministrativi e patrimoniali che ad essa pertengono.
Va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: "La cessione del credito agli utili di esercizio spettanti al socio, posta in essere dopo che l'assemblea ne abbia deliberato l'appostazione a riserva, da luogo alla garanzia in favore del cessionario, di cui all'art. 1266 c.c.". 4. - I motivi terzo e quarto restano assorbiti.
5. - In conclusione, la sentenza va cassata, in relazione al motivo parzialmente accolto, con rinvio alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, affinché riesamini il materiale istruttorio, alla stregua del principio di diritto enunciato al punto 3.7;alla corte del merito si demanda pure la liquidazione delle spese del giudizio.