Cass. civ., SS.UU., sentenza 12/06/2006, n. 13523
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La domanda diretta a denunziare la violazione della distanza legale da parte del proprietario del fondo vicino e ad ottenere l'arretramento della sua costruzione, tendendo a salvaguardare il diritto di proprietà dell'attore dalla costituzione di una servitù di contenuto contrario al limite violato e ad impedirne tanto l'esercizio attuale, quanto il suo acquisto per usucapione, ha natura di " actio negatoria servitutis "; essa, pertanto, è soggetta a trascrizione ai sensi sia dell'art.2653 n.1 cod. civ., che, essendo suscettibile di interpretazione estensiva, è applicabile anche alle domande dirette all'accertamento negativo dell'esistenza di diritti reali di godimento, sia del successivo n.5, che dichiara trascrivibili le domande che interrompono il corso dell'usucapione su beni immobili.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Presidente aggiunto -
Dott. IANNIRUBERTO Giuseppe - Presidente di sezione -
Dott. DUVA Vittorio - Presidente di sezione -
Dott. PAPA Enrico - Consigliere -
Dott. VARRONE Michele - Consigliere -
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Consigliere -
Dott. GRAZIADEI Giulio - Consigliere -
Dott. MARZIALE Giuseppe - Consigliere -
Dott. SETTIMJ Giovanni - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RR IN, ZO ZI, IA AN, AN AS, NT MA, SI GI, NA BI, LA NI, CO AN, ST AL, VA PP, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell'avvocato MARTA LETTIERI, rappresentati e difesi dagli avvocati VITOBELLO Emanuele, ALFONSO CAPOTORTO, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
RD OR CIRO FORTUNATO, domiciliato in ROMA, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato OLIVERIO Luigi, giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
e contro
IO PO;
- intimato -
avverso la sentenza n. 34/2001 della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 10/01/2001;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/11/2005 dal Consigliere Dott. Giovanni SETTIMJ;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
PO IO realizza un edificio in Cercola e ne aliena i singoli appartamenti;
realizza, poi, sull'area latistante all'edificio, dodici box per auto e li aliena a loro volta.
LV DI, acquirente d'uno degli appartamenti, ritenendo che i box fossero stati realizzati a distanza dall'edificio inferiore a quella prescritta dal regolamento edilizio locale, conviene in giudizio PO IO onde sentirlo condannare alla demolizione dei box.
PO IO resiste alla domanda.
Il Tribunale di Nola accoglie parzialmente la domanda, disponendo che sette dei box vengano arretrati per la parte risultata non conforme alle disposizioni regolamentari in quanto realizzata a distanza inferiore ai 13,90 metri dall'edificio.
Avverso tale sentenza PO IO propone appello cui aderiscono, con appello incidentale ad adiuvandum, EL CA ed altri sei consorti, tutti acquirenti dei box, i quali, contestualmente, propongono anche appello incidentale autonomo inteso a far dichiarare comunque inopponibile nei loro confronti la sentenza resa tra il DI e lo IO.
La Corte d'Appello di Napoli rigetta entrambi i gravami evidenziando, per quanto interessa in questa sede, come la situazione soggettiva fatta valere dagli acquirenti fosse, ex art. 111 c.p.c., dipendente da quella del venditore e non potesse essere utilmente invocata l'inopponibilità per mancata trascrizione della domanda, ciò sulla considerazione che la previsione dell'art. 2653 c.c., n. 1, non troverebbe applicazione, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, nell'ipotesi di domanda intesa a far valere il rispetto dei limiti legali della proprietà.
Inerte lo IO, il EL e consorti impugnano anche tale sentenza con ricorso per Cassazione affidato a tre motivi, l'uno dei quali investe la questione della possibilità di trascrivere la domanda intesa a far valere il rispetto delle distanze legali tra edifici, ai fini dell'opponibilità della sentenza ai terzi successori a titolo particolare per atto tra vivi, evidenziando come la tesi da essi prospettata al Giudice di secondo grado fosse suffragata da altra giurisprudenza di legittimità immotivatamente negletta nell'impugnata sentenza.
Resiste il DI con controricorso.
La Seconda Sezione, riconosciuto il contrasto in ordine alla detta questione, ne ha rimesso la soluzione a queste Sezioni Unite. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti - denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 113 c.p.c., art. 873 c.c., art. 29 reg. edilizio, art. 14 preleggi, L. n. 122 del 1989, in generale, nonché vizi di motivazione - rilevano che anche dalla consulenza risultava come i box fossero stati realizzati nella parte retrostante del cortile gia realizzato,onde il Giudice a quo avrebbe erroneamente ritenuto applicabile la norma regolamentare di cui all'art. 48, per la quale la distanza è di m. 13,90, anziché quella speciale di cui al precedente art. 29, per la quale nel caso di cortili la distanza minima è di m. 8;
che, inoltre, la L. n. 122 del 1989, applicabile nella specie in quanto meno restrittiva ed in assenza di giudicato (come precisato in memoria), pone una deroga al rispetto delle distanze legali relativamente ai parcheggi privati in vista dell'interesse pubblico ad una migliore gestione delle aree di sosta. Con il secondo motivo, i ricorrenti - denunziando violazione degli artt. 813, 949 e 2653 c.c., nonché omessa motivazione - si dolgono che il Giudice a quo abbia affermato l'opponibllità della sentenza impugnata ad essi terzi acquirenti, nonostante la domanda introduttiva del giudizio promosso dal DI nei confronti dello IO non fosse stata trascritta, sull'erroneo convincimento, apoditticamente motivato con riferimento ad una sola parte della giurisprudenza in materia non sottoposta a vaglio critico in relazione alla giurisprudenza contraria pur segnalatagli, che la detta domanda non fosse suscettibile di trascrizione. Con il terzo motivo, i ricorrenti - denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 111 c.p.c. - si dolgono che il Giudice a quo non abbia ravvisato la natura strumentale della lite, tesa al raggiungimento di non meglio precisate utilità diverse dalla riduzione in pristino degli immobili da parte del DI, atteso che questi aveva alienato l'appartamento in corso di causa e che nell'atto pubblico s'era impegnato alla prosecuzione del giudizio con la precisazione che sarebbe andato a suo esclusivo favore "tutto ciò che la parte venditrice riceverà dal predetto giudizio", mentre "l'eventuale risultato di ripristino dell'originaria consistenza dei beni comuni andrà a beneficio dell'immobile venduto". Il secondo dei riportati motivi è fondato ed, atteso l'oggetto degli altri, all'evidenza assorbente.
Come già rilevato nell'ordinanza di rimessione, l'indirizzo giurisprudenziale tradizionale, dal quale si escludeva la trascrittibilità ex art. 2653 c.c., n. 1, delle domande dirette a far valere il rispetto dei limiti legali della proprietà, trova una delle sue prime compiute espressioni nella sentenza di questa Corte 05/05/1960, n. 1029, alle cui tesi si sono, in seguito, acriticamente adeguate, con varianti di scarso rilievo, nonostante le opinioni contrarie formulate al riguardo dalla maggioranza della dottrina, altre pronunzie (e pluribus, Cass. 18/02/1963, n. 392, 29/07/1963 n. 2141, 05/10/1963 n. 2260, 11/06/1965 n. 1185, 31/01/1969 n. 290, 22/04/1980 n. 2592). Il richiamato indirizzo si basa su di une serie di considerazioni che, se pure non tutte suscettibili di puntuale censura, tuttavia, o perché inesatte o perché ininfluenti ai fini della soluzione del problema, non appaiono idonee e sufficienti a giustificare la conclusione cui è pervenuto.
Con l'iter argomentativo principale, si muove dalla premessa che le ipotesi di trascrizione, in quanto normativamente predeterminate, sono tassative;
si rileva, poi, che le azioni intese a far valere le limitazioni legali al diritto di proprietà non si risolvono, neppure parzialmente, ne' in un'azione di revindica, ne' in una azione d'accertamento, così della proprietà come della sussistenza (confessoria servitutis) o della insussistenza (negatoria servitutis) di un diritto reale di godimento, id est non sono riconducibili ad alcuna delle ipotesi espressamente regolate dall'art. 2653 c.c., n. 1, in quanto, in particolare, i detti limiti non sono servitù ne'
sono ad esse equiparabili, onde all'azione de qua non può essere riconosciuta natura di azione negatoria ex art. 949 c.c.;
si conclude, quindi, con l'osservare che, in definitiva, non essendo espressamente prevista nella norma in esame la trascrizione, oltre che delle domande singolarmente menzionatevi, anche delle diverse domande intese a far valere una violazione dei limiti legali della proprietà, queste sarebbero insuscettibili di trascrizione, giacché in nessun modo riconducibili alle ipotesi espressamente previste ed in ispecie all'azione negatoria.
È quest'ultima considerazione, in particolare, che non è esatta e che, pertanto, inficia di per sè la validità dell'intero ragionamento, sebbene anche la prima considerazione, nella sua assolutezza, non resti immune da censura, come meglio in seguito. La domanda con la quale l'attore fa valere, in proprio favore, i limiti che, ex lege, vincolano le facoltà ricomprese nell'altrui diritto di proprietà denunziandone la violazione, non tende, infatti, ad uno sterile accertamento del regime vincolistico e della sua violazione, bensì - attraverso la contestazione del fatto posto in essere dal convenuto come illegittimamente impositivo sul fondo