Cass. pen., sez. V, sentenza 11/12/2019, n. 50201

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 11/12/2019, n. 50201
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 50201
Data del deposito : 11 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

iato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: RB RC nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 23/02/2018 del GIP TRIBUNALE di TORINOudita la relazione svolta dal Consigliere MATILDE BRANCACCIO;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, precedenti alla decisione della Corte costituzionale n. 222 del 2018 e che chiedevano di attendere gli esiti del giudizio di costituzionalità. b.gs

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe, il GUP del Tribunale di Torino, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., ha applicato la pena di anni tre di reclusione e le pene interdittive accessorie previste dall'art. 216, ultimo comma, cod. proc. pen. a RB MA per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata commessi nell'ambito del fallimento RB Metalli s.p.a.

2. Avverso il citato provvedimento propone ricorso l'imputato, tramite il suo difensore avv. Bucci, deducendo vizio di illegalità della sanzione concordata su richiesta delle parti in riferimento alla misura della pena accessoria della inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e dell'incapacità ad esercitare uffici direttivi, prefissata dal legislatore nella misura obbligata di anni dieci. Si deduce l'incostituzionalità della misura fissa di tali sanzioni accessorie.

3. Con memoria depositata il 14 aprile 2019, il difensore dell'imputato rappresenta che è intervenuta dichiarazione di incostituzionalità della disciplina obbligata di commisurazione della durata delle pene accessorie previste dall'art. 216, ultimo comma, I. fall. - con sentenza n. 222 del 3.12.2018 Corte cost. - e chiede che il criterio di rideterminazione della pena illegale da adottarsi sia quello discrezionale demandato al giudice di merito piuttosto che quello, a sua volta automatico, previsto dall'art. 37 cod. proc. pen. ed applicabile direttamente dalla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 620, lett. I), del codice di rito.

3.1. Il 30 luglio 2019 il difensore dell'imputato ha fatto pervenire ulteriore memoria con cui chiede che il Collegio, alla luce dell'arresto delle Sezioni Unite n. 28909 del 18.2.2019, Suraci, Rv. 276286, secondo cui le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., individui le concrete modalità con le quali deve essere ricondotta a legalità le sanzioni accessorie ex art. 216, ult. comma, I. fall. inflitte al ricorrente, tenuto conto che la sentenza da cui esse derivano è di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. In particolare, si chiede di indicare se il giudice del rinvio dovrà procedere in contraddittorio con le parti alla rideterminazione, in udienza partecipata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Anzitutto, trattandosi di ricorso avverso una sentenza di "patteggiamento" ex art.444 cod. proc. pen., deve premettersi che il vizio dedotto è ricompreso nel novero di quelle illegittimità espressamente indicate dall'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., g2& attenendo a questione di illegalità della pena, che ricomprende sia quella principale che quella accessoria, così come determinata in sede di patteggiamento. Infatti, secondo quanto previsto dall'art. 448, comma 2 bis, cod. proc. pen. disposizione introdotta con la I. 23 giugno 2017, n. 103 -, il pubblico ministero e l'imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di patteggiamento solo per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all'erronea qualificazione giuridica del fatto e all'illegalità della pena o della misura di sicurezza. Tale norma, ai sensi dell'art. 1, comma 51, della citata legge n. 103 del 2017, si applica ai procedimenti — come il presente — per i quali la richiesta di patteggiamento sia stata avanzata successivamente al 3 agosto 2017. La censura mossa dal ricorrente, dunque, in astratto, "sopravvive" all'intervento normativo, essendo stata dedotta l'illegalità della pena accessoria prevista in misura fissa decennale dall'art. 216, ult. comma, I. fall., disposizione effettivamente colpita da dichiarazione di incostituzionalità del criterio di commisurazione automatico e prefissato, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018. A giudizio del Collegio, infatti, deve essere ribadito il principio recentemente affermato (sebbene in ipotesi differente da quella oggi in esame) secondo cui, in tema di patteggiamento, ai sensi dell'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., può essere dedotta con il ricorso per cassazione anche l'illegalità della pena accessoria applicata, in quanto anch'essa riconducibile al concetto di illegalità della pena (Sez. 3, n. 28581 del 24/5/2019, L., Rv. 275791;
nella fattispecie, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza di patteggiamento per il reato di cui all'art. 609-bis cod. pen. limitatamente alla disposta applicazione della pena accessoria della sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte, introdotta, nell'art. 609-nonies cod. pen., dalla legge 1 ottobre 2012, n. 172, per fatto commesso antecedentemente alla entrata in vigore di quest'ultima). Anche Sez. 6, n. 17119 del 14/4/2019, P., Rv. 275898 offre spunti di interesse e condivisibili sul tema, là dove precisa che, nel concetto di pena illegale rientra tutto ciò che comunque incide sul trattamento punitivo. Ed è proprio tale estensione interpretativa dei confini concettuali della "pena illegale" a dover guidare, a giudizio del Collegio, l'analisi dell'ipotesi in esame. Le stesse Sezioni Unite, del resto, con la sentenza Sez. U, n. 28910 del 28/2/2019, Suraci, Rv. 276286, che - come si dirà di qui a poco - ha risolto l'empasse sulle modalità di riproporzionamento al modello costituzionale della sanzione accessoria inflitta ex art. 216, ultimo comma, I.fall., hanno sottolineato il carattere sanzionatorio sempre più marcato e rilevante delle pene accessorie, anche nelle opzioni del legislatore, ed il loro ruolo, di fatto, non più meramente "ancillare", come tradizionalmente ritenuto, bensì di parte sempre più rilevante di un sistema integrato della pena complessivamente intesa, in un'ottica che ponga mente alla sua valenza repressiva nell'attuazione concreta;
esse, peraltro, spesso sono dotate in concreto di efficacia afflittiva anche maggiore della pena principale, in relazione alla quale può usufruirsi eventualmente della sospensione condizionale, come sottolineato ancora dalle Sezioni Unite nella sentenza Suraci. Proprio in tale pronuncia, si è inoltre evidenziato che, se da un lato le pene principali svolgono funzioni retributive, preventive di carattere generale e speciale, nonché rieducative mediante la sottoposizione al trattamento orientato al graduale reinserimento sociale del condannato, le pene accessorie, specie quelle interdittive ed inabilitative, collegate al compimento di condotte postulanti lo svolgimento di determinati incarichi o attività, sono più marcatamente orientate a fini di prevenzione speciale, oltre che di rieducazione personale, che realizzano mediante il forzato allontanamento del reo dal medesimo contesto operativo, professionale, economico e sociale, nel quale sono maturati i fatti criminosi e dallo stimolo alla violazione dei precetti penali per impedirgli di reiterare reati in futuro e per consentirne l'emenda. Anche la sentenza Sez. 6, n. 12541 del 14/3/2019, Ferraresi, Rv. 275925 ha offerto elementi di interesse per ampliare l'ottica entro cui inscrivere funzione e finalità delle pene collegate alla condanna principale, sempre più parte rilevante della complessiva afflittività sanzionatoria commisurata al disvalore del fatto di reato e, pertanto, rientranti nell'alveo del concetto di pena illegale cui l'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., ricollegando la possibilità di proporre ricorso per cassazione alla statuizione relativa alla riparazione pecuniaria di cui all'art. 322-quater cod. pen., riconosciutane la natura di sanzione civile accessoria, sicché la sua applicazione in assenza dei presupposti di legge è riconducibile nell'ambito delle ipotesi di irrogazione di "pena illegale"). L'illegalità della pena accessoria è stata ritenuta deducibile in sede di patteggiamento in appello, ex art. 599 cod. proc. pen., anche dalla sentenza Sez. 6, n. 29898 del 10/1/2019, Maesano, Rv. 276228, in tema di interdizione dai pubblici uffici seguita a condanna per corruzione, sul diverso presupposto, tuttavia, che tale sanzione rappresenti una statuizione sottratta all'accordo delle parti e perciò esclusa dalla previsione limitativa di cui all'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (sulla base della stessa argomentazione Sez. 6, n. 15848 del 5/2/2019, Moretti, Rv. 275224 motiva l'ammissibilità del ricorso per cassazione avverso la statuizione con cui si è applicata la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida in misura inferiore al minimo legale). Infine, a riprova della continua elaborazione sul tema dei confini applicativi della disposizione citata rispetto alla nozione di pena illegale, si evidenziano le due recenti decisioni assunte dalle Sezioni Unite sulle questioni collegate relative a se, in caso di sentenza di applicazione della pena, a seguito dell'introduzione della previsione di cui all'art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., sia ammissibile o meno, e, nel primo caso, in quali limiti, il ricorso per cassazione che abbia ad oggetto l'applicazione o l'omessa applicazione di sanzioni amministrative accessorie e con cui si deduca il vizio di motivazione in ordine all'applicazione di misura di sicurezza, personale o patrimoniale. In entrambi i casi le Sezioni Unite hanno aperto all'ammissibilità del ricorso per cassazione e, sebbene le motivazioni delle due pronunce - assunte all'udienza del 26/9/2019 - non siano ancora note, dalle informazioni provvisorie è possibile arguire che una linea di discrimine sarà costituita dall'aver fatto oggetto o meno la statuizione accessoria dell'accordo tra le parti.

3. Quanto alla specifica ragione di illegalità della pena accessoria inflitta al ricorrente, è noto che la Corte costituzionale, con

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